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DOPO L’AMORE

REGIA di Joachim Lafosse.  Titolo originale L’économie du couple.

Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 100 min. – Francia, Belgio 2016.

 

Risultati immagini per dopo l'amore scene film

 

INDICE

  1. TRAMA
  2. RECENSIONI
  3. VIDEO

1) TRAMA

Per Marie e Boris è l’ora dei conti. In tutti i sensi. Dopo quindici anni di matrimonio e due bambine, decidono di mettere fine alla loro relazione, consumata da incomprensioni e recriminazioni. Marie non sopporta i comportamenti infantili del marito, Boris non perdona alla moglie di averlo lasciato. In attesa del divorzio e costretti alla coabitazione, Boris è disoccupato e non può permettersi un altro alloggio, lei detta le regole, lui le contraddice. L’irritazione è palpabile, la sfiducia pure. Arroccati sulle rispettive posizioni sembrano aver dimenticato il loro amore, il cui frutto è al centro della loro attenzione. Genitori di due gemelle che stemperano con intervalli ludici le tensioni, Marie e Boris condividono una proprietà su cui non riescono proprio a mettersi d’accordo. A chi appartiene la casa? A Marie che l’ha comprata o a Boris che l’ha rinnovata raddoppiandone il valore? La disputa è incessante, il dissidio incolmabile. Ma è fuori da quella ‘loro’ casa che Marie e Boris troveranno la risposta. Una possibile

2) RECENSIONI

Un dramma borghese intimo e vibrante in cui ogni piano risplende di un’intensità eccezionale, approssimandosi ai suoi personaggi dissonanti di Marzia Gandolfi  mynovie.it

Per Marie e Boris è l’ora dei conti. In tutti i sensi. Dopo quindici anni di matrimonio e due bambine, decidono di mettere fine alla loro relazione, consumata da incomprensioni e recriminazioni. Marie non sopporta i comportamenti infantili del marito, Boris non perdona alla moglie di averlo lasciato. In attesa del divorzio e costretti alla coabitazione, Boris è disoccupato e non può permettersi un altro alloggio, lei detta le regole, lui le contraddice. L’irritazione è palpabile, la sfiducia pure. Arroccati sulle rispettive posizioni sembrano aver dimenticato il loro amore, il cui frutto è al centro della loro attenzione. Genitori di due gemelle che stemperano con intervalli ludici le tensioni, Marie e Boris condividono una proprietà su cui non riescono proprio a mettersi d’accordo. A chi appartiene la casa? A Marie che l’ha comprata o a Boris che l’ha rinnovata raddoppiandone il valore? La disputa è incessante, il dissidio incolmabile. Ma è fuori da quella ‘loro’ casa che Marie e Boris troveranno la risposta. Una possibile.
Troppo spesso in una coppia il denaro diventa il mezzo migliore per esercitare potere sull’altro, per fargli pagare letteralmente il fallimento della relazione. Dopo l’amore abita lo scacco e presenta la fattura del disamore di una coppia che non sa più come accordare i propri sentimenti, regolare i propri conti, le responsabilità genitoriali, le tenerezze intermittenti, i rancori costanti. Joachim Lafosse, che ha fatto delle relazioni umane il suo terreno di elezione (Proprietà privata, Les Chevaliers blancs), dirige un dramma borghese in più atti intimo e vibrante. Ogni piano risplende di un’intensità eccezionale, approssimandosi ai suoi personaggi dissonanti.
Interpretato da Bérénice Béjo e Cédric Kahn, che superano i confini della rappresentazione, Dopo l’amore mette in scena con rara proprietà, eludendo cliché e psicologismi, i dubbi, le paure e la vitalità, malgrado tutto, di una coppia arrivata a fine corsa. Abile nell’individuare ed emergere i movimenti sottili che corrompono i sentimenti, l’autore belga chiude i suoi protagonisti in un interno e fa di quel domicilio coniugale qualcosa su cui litigare ma non la ragione del litigio, che è sempre altrove. La casa è il terreno su cui si cristallizza il loro rancore, su cui prendono posizione, ciascuno la sua, su cui pesano i rispettivi orgogli. Ma quel domicilio è soprattutto il valore aggiunto in termini d’amore che ciascuno apporta in una relazione. Boris reclama per sé la metà di quella casa certo, ma vuole soprattutto che Marie riconosca che lui è stato lì, che l’ha abitata, l’ha ristrutturata e ne ha aumentato il valore. Lui vuole che lei riconosca che è stato presente, utile, che ha contribuito con la sua ‘competenza’, tecnica e umana, alla costruzione della loro famiglia.
Per Lafosse l’economia di coppia, quella del titolo francese (L’économie du couple), è anche questo, piccole impronte, pennellate, tracce mai sentimentali. È l’amore e non si può ridurre alla metà del valore di una casa. L’amore di cui Marie e Boris si sono amati. Lo attesta ogni sguardo, lo dimostra ogni rimprovero. Marie e Boris sono stati felici e da quella loro felicità sono nate due gemelle, duo inseparabile e opposto ai genitori, isole provvisorie in cui abbandonarsi e abbandonare per qualche minuto la lotta. Le figlie li sfidano disarmanti, li catturano nelle loro coreografie del cuore, li confondono il tempo di una canzone (“Bella” di Maître Gims). Prima che ciascuno ritorni al suo esilio, al frigo diviso in due, a una coabitazione forzata regolata al millimetro e per questo quasi comica. È la loro antica passione a nutrire il rancore di oggi, è la loro economia che adesso si disputano. Ciascuno reclama la sua parte, prigionieri di uno spazio da cui non possono (e non vogliono) uscire. La macchina da presa li segue, li sfiora rimarcando l’erranza disordinata, ripetitiva, ossessionata che li trasloca attraverso l’appartamento, silenziosi, incomprensibili l’uno all’altra. Marie e Boris hanno perso il controllo del quotidiano, sono apparizioni indesiderabili nella cena o negli spazi dell’altro che sembrano godere dell’irritazione che suscita la loro presenza. Ma alla circolazione esasperata dei corpi e dei sentimenti, Lafosse guadagna questa volta la via d’uscita, l’accidente che determinerà una presa di coscienza provvidenziale per Marie e Boris, aggrappati alla routine del loro odio e incapaci di guardare il mondo fuori.
Dopo l’amore termina con un compromesso, un finale aperto e all’aperto, che fa respirare ambiente e personaggi, figurando come eccezione nell’opera al nero dell’autore. Una filmografia che fa vedere senza mostrare. Un’economia straordinaria, pertinente all’amore e al cinema. A una storia semplice così complicata da vivere.

 

L’économie du couple (Dopo l’amore da cinematographe.it Di Virginia Campione

L’économie du couple (Dopo l’amore) è un film di Joachim Lafosse presentato nella sezione Festa Mobile della 34esima edizione del Torino Film Festival dopo il passaggio a Cannes 2016 nella sezione parallela Quinzaine des Réalisateurs. La pellicola ha per protagonisti Marie (Bérénice Bejo) e Boris (l’attore/regista Chédrik Khan), due coniugi inquadrati nel momento più doloroso di una relazione sentimentale: la fine.

Marie e Boris si trovano ad affrontare un’ulteriore imbarazzante difficoltà: vivono ancora sotto lo stesso tetto in attesa di stabilire quanto e cosa spetti a chi con l’ulteriore responsabilità di dover far vivere tale limbo alle loro gemelline. Marie è quella che detiene il maggiore potere economico, avendo potuto la coppia comprare la casa grazie ai soldi della sua famiglia, mentre per Boris finire questo matrimonio senza una cospicua buona uscita significherebbe la rovina, anche a causa dei debiti contratti, che lo portano ad essere periodicamente minacciato dai suoi creditori.

Dopo l’amore (L’économie du Couple): un “noi” che pretende invano di tornare ad essere l’ “io” di un tempo

 

Nessuna parola o riferimento ai motivi della separazione e dei problemi dei due quasi ex coniugi, Lafosse sceglie di raccontare la più banale delle situazioni sentimentali dal punto di vista toccante e meno esplorato delle conseguenze economiche della fine di una relazione. Un’economia che non si ferma all’aspetto monetario, declinandosi nell’accezione di quel delicato insieme di significati condivisi che non permette di dividersi tornando ad essere quelli di prima, ormai irreversibilmente cambiati dal valore aggiunto e non semplicemente sottraibile di un amore che ha costruito case e figli.

Dopo l’amore si pone così come un ritratto struggente di una famiglia ormai irrimediabilmente divisa ma che ha ancora bisogno di elaborare il lutto edulcorandolo con una vicinanza forzata ma forse non così necessaria come entrambi i coniugi vogliono far credere a se stessi e all’altro.

Marie e Boris affrontano allora tutte quelle piccole grandi insofferenze quotidiane che caratterizzano la fine dell’amore, esasperandole con la pretesa impossibile di salvare spazi e diritti delimitati all’interno della stessa casa, e finendo inevitabilmente per coinvolgere le bambine, confuse e innervosite da una mamma ed un papà che non viaggiano più sulla stessa lunghezza d’onda ma le contendono per prevalere l’uno sull’altra.

 

Quando la tensione emotiva si fa troppo alta, Lafosse permette ai suoi personaggi perfettamente tratteggiati di lasciarsi andare a sfoghi catartici che coinvolgono anche lo spettatore (in primis il toccante ballo sulle notte di “Bella”), partecipe passivo di un dramma che viene mostrato con un’onestà disarmante e dolorosa, riuscendo tuttavia a far sorridere amaramente per quanto si diventa buffi quando si è in realtà disperati.

Dopo l’amore (L’économie du Couple): fare i conti con un amore finito

 

Dopo l’amore è la dolorosa esplicitazione di come, soprattutto quando una coppia diviene famiglia, uno più uno non faccia più due ma si trasformi in una nuova entità la somma dei cui elementi non può più dare origine agli stessi, se divisa. Perché la coppia crea un nuovo microcosmo fatto di progettualità e beni condivisi, un universo non più scomponibile in modo razionale ma soprattutto impossibile da traslare altrove, fra le pagine di un futuro che – tuttavia – ogni esistenza infelice merita di poter cambiare.

3) VIDEO

 

 

 

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Il passato

il passato

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Il passato

Un film di Asghar Farhadi.

Con Bérénice Bejo, Tahar Rahim,

 Titolo originale Le passé.
Drammatico, durata 130 min. –
Francia, Italia 2013. –
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RECENSIONE
mymovies, Giancarlo Zappoli

Ahmad arriva a Parigi da Teheran. Marie, la moglie che ha lasciato quattro anni prima, ha bisogno della sua presenza per formalizzare la procedura del divorzio. Marie ha due figlie nate da altre relazioni e ha un difficile rapporto con la più grande, Lucie. Ahmad viene invitato a non risiedere in hotel ma a casa e ha così modo di scoprire che Marie ha una relazione con Samir la cui moglie si trova in coma.
Asghar Farhadi si è fatto conoscere sugli schermi occidentali grazie all’Orso d’argento vinto al Festival di Berlino con About Elly e ha confermato le sue qualità con il successivo Una separazione (vincitore, tra gli altri premi, di un Oscar di cui la stampa ufficiale iraniana non ha dato notizia all’epoca). Ora con The Past offre un’ulteriore conferma delle proprie doti di scrittura oltre che di regia. Lo spazio architettonico e sociologico è mutato. La casa di vacanza e la dimensione urbana della capitale iraniana vengono ora sostituiti da una Parigi periferica così come periferiche sono apparentemente le une per le altre le vite dei protagonisti.
Ahmad, Marie, Samir e Lucie si vorrebbero sentire ‘fuori’ dalla complessità e dalle problematiche degli altri ma ciò è impossibile. Se Ahmad ha pensato che il ritorno in patria lo separasse definitivamente da Marie si trova costretto a scoprire che non è così. Se Marie ha creduto che bastasse una firma per chiudere definitivamente con lui è costretta ad accorgersi di avere sbagliato. Se lei e Samir si illudono di poter staccare i legami che li collegano a quella donna che sta su un letto di ospedale ci penseranno gli eventi a dissuaderli. Se Lucie ritiene che ridurre la propria presenza in casa al solo dormire possa cancellare la sua ostilità per il ruolo assunto da Samir nella vita della madre dovrà accettare una realtà ben diversa.
Perché Farhadi ci ricorda che per guardare avanti nelle nostre esistenze è indispensabile prendere atto del passato (remoto o prossimo che sia) evitando di rappresentarlo a noi stessi grazie a rimozioni che rendano più accettabile il peso. Il vetro che separa (e forse protegge) Ahmad e Marie all’aeroporto è presto destinato ad andare in pezzi. Saranno lo sguardo ribelle del piccolo Fouad (figlio di Samir) e quello solo apparentemente rassegnato della coetanea Léa a provocare le prime crepe. Perché i bambini, come al cinema ci ha insegnato Vittorio De Sica, ci guardano e ci giudicano. Anche quando sembrano pensare alla catena saltata di una bicicletta o a un elicottero telecomandato finito su un albero in giardino.

(clicca sopra)
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TRAILER

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A Family Is a Family Is a Family – Cos’è una famiglia? (2010)

hbofamilyA Family Is a Family Is a Family – Cos’è una famiglia? (2010)

Documentario, durata 41′

Regia diAmy Schatz
Con Rosie O’Donnell, Ziggy Marley, Elizabeth Mitchell

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Le testimonianze di diversi bambini offrono riflessioni toccanti, profonde e spesso divertenti, su cosa significa per loro la famiglia. Tra i bambini, ve ne sono alcuni con situazioni familiari particolari, come chi ha due padri o due madri, una ragazza adottata dai genitori in Cina o tre fratelli che vivono con la madre e la nonna. Alle loro riflessioni si affiancano gli interventi di Rosie O’Donnell (che parla della propria famiglia con la figlia Vivienne Rose) e diversi intermezzi musicali, alcuni dei quali di Ziggy Marley (che canta con la madre e la sorella) e della musicista folk Elizabeth Mitchell (che canta con il marito e la figlia di sette anni).

IL PROGRAMMAZIONE SU LAEFFE

  • A FAMILY IS A FAMILY – COS’E’ UNA FAMIGLIA?
    LUNEDÌ 1 LUGLIO ALLE 21:45

     

  • A FAMILY IS A FAMILY – COS’E’ UNA FAMIGLIA?
    MERCOLEDÌ 3 LUGLIO ALLE 22:45

     

  • A FAMILY IS A FAMILY – COS’E’ UNA FAMIGLIA?
    SABATO 6 LUGLIO ALLE 20:05

     

  • A FAMILY IS A FAMILY – COS’E’ UNA FAMIGLIA?
    DOMENICA 7 LUGLIO ALLE 23:10

“Caro Babbo Natale”, nelle letterine i sogni e le paure dei bambini

“Caro Babbo Natale”, nelle letterine al Corriere i sogni e le paure dei bambini

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Caro Babbo, fai ricrescere la betulla che si è spezzata nel mio giardino?». «Caro Babbo, vorrei che la mia mamma e il mio papà smettessero di litigare e tornassero insieme». «Ehi, Babbo, porti un regalo anche al mio amico Redi, che è musulmano?». «Ma le tue renne puzzano davvero? E tu, quando giochi con me?» Disegnate. Via mail. Su cartoncini colorati o figli di quaderno. Sognanti, confidenziali o piene di richieste…..

Leggi l’articolo completo sul corriere.it

Leggi le lettere inviate sul corriere.it

 

Ernest & Celestine (Aubier 2012, )

Ernest & Celestine (2012)

 E’ un film di genere animazione della durata di .

diretto da: Aubier,  Patar, Renner .

Sacher Distribuzione – .

 

 

 

Sinossi

Intervista a Daniel Pennac

Video

 

Sinossi
Questa è la storia di Ernest e Celestine, un orso grande e grosso che sogna di fare l’artista e di una topolina che non vuole fare la dentista.

Nel convenzionale mondo degli orsi, fare amicizia con un topo non è certo cosa ben vista. Nonostante questo, Ernest, un orso che vive ai margini della società facendo il clown e il musicista, accoglie in casa sua la piccola topolina Celestine, orfanella fuggita dal mondo sotterraneo dei roditori. Questi due esseri solitari cercando sostegno e conforto uno nell’altra sfidano le regole dei loro rispettivi mondi e scompigliano così l’ordine stabilito…

Intervista a Daniel Pennac

Il film d’animazione Ernest e Celestine di Stéphane Aubier, Vincent Patar, Benjamin Renner (presentato a Cannes 65 nella sezione  Quinzaine des Réalisateurs, ottenendo una mezione speciale) e sceneggiato dal grande scrittore francese Daniel Pennac che era qui a Roma a presentare il film insieme al doppiatore italiano di Ernest, ossia Claudio Bisio.


L’animazione di questo film ha richiesto più di 4 anni di lavoro, come e quando è stato coinvolto? Lo considera una vacanza dal suo lavoro di scrittore?

 

La storia è lunga, ma ve la faccio breve. Nel 1983 una scrittrice belga, Monique Martan (in arte Gabrielle Vincent), scrisse un libro che mi piacque moltissimo. Così è nata una corrispondenza epistolare durata 10 anni, parlavamo di molte cose, ma non ci siamo mai nè incontrati nè sentiti per telefono.  Poi purtroppo Monique morì e 10 anni dopo i produttori di questo film mi hanno chiamato per scrivere una sceneggiatura tratta dalla serie di Ernest e Celestine scritta ovviamente da lei. Loro pensavano che nemmeno conoscessi queste opere che in fondo in Francia non erano così famose. Io ovviamente ho accettato e ho scritto sia la sceneggiatura che un romanzo che spazia un po’ con questi personaggi.
L’universo tipico di Pennac sembra gettare qualche ombra sui personaggi originali di Gabrielle Vincent, è vero?

Gli originali Ernest e Celestine disegnavano un mondo ideale, attraverso piccoli momenti di quotidianità nella relazione adulto/bambino. Racconti che tra l’altro mi hanno ricordato il mio stesso rapporto con mia figlia. Ma sarebbe stato impossibile trarre un film solo da quei brevi momenti paradisiaci. Io volevo raccontare una storia che raggiungesse quel Paradiso partendo però dall’Inferno per quei personaggi.
Tu Claudio hai già portato a teatro qui in Italia due spettacoli tratti da Pennac, è una felice collaborazione?

 

Bisio: Non solo ho fatto quei due spettacoli, ma conosco interamente e approfonditamente tutta l’opera di Daniel. E concordo che in questo caso la firma di Pennac si sente molto nella differenza culturale tra orsi e topi nel film: la multietnicità è una chiave fondamentale delle sue opere. Ho tentato per tanto tempo di portare al cinema uno dei suoi romanzi, ma non voglio fare il passo più lungo della gamba, sono romanzi molto difficili da immaginare e non si è mai trovata la chiave giusta per una trasposizione soddisfacente. In più so bene quanto lui sia esigente.

 

Pennac: Io ho visto solo 15 minuti di film doppiato in italiano. Ma mi sarebbe piaciuto vederne di più, per apprezzare il lavoro di Claudio. Una volta l’ho ascoltato a teatro su uno dei miei testi, è stato grandissimo! In Francia i doppiatori sono Lambert Wilson e Pauline Brunnier che ha confessato di essere molto affezionata aErnest e Celestine perchè suo padre le leggeva i racconti da piccola prima di andare a dormire.
Il tema della paura entra qui sin dalla primissima sequenza, mi sembra fonadamentale, come l’hai affrontato?

Pennac: La paura è una delle passioni della mia vita. Perchè da scrittore è interessante pensare che le cose peggiori che succedono derivano unicamente da quella. Mi interessa sempre la paura come la passione. Io poi non voglio mai dare dei messaggi, voglio essere me stesso, detesterei un film o un romanzo che si proponesse di demandare un semplice messaggio. Al di là della sceneggiatura che ho scritto che può essere interpretata in vari modi, la bellezza del film sta nella pittura ad acquerello che è magnifica.

VIDEO

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Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro (Anna Oliverio Ferraris )

Anna Oliverio Ferraris

Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro

Raffaello Cortina, Milano 1997

 

 

 

 

Recensione

Sempre più spesso i figli si trovano a dover accogliere il nuovo partner del papà o della mamma che, separati, hanno deciso di rifarsi una vita. Questa “new entry” non è facile, ma con il tempo e la giusta sensibilità il rapporto tra il co-genitore (o terzo genitore) e i figli nati dalla precedente unione può diventare costruttivo e ricco di affetto e condivisione.

Sono tante le coppie celebri atipiche o allargate, nelle quali i partner sono subentrati nella vita familiare condividendo anche i figli di altri. Basti pensare ad Alessia Marcuzzi e Francesco Fachinetti, che hanno avuto da poco una bambina, ma la conduttrice ha un altro figlio, Tommaso, avuto dalla relazione con il calciatore Filippo Inzaghi. La coppia di attori Stefano Accorsi e Laetitia Casta, o ancora Claudio Amendola, Diego Abatantuono, Nancy Brilli, sono tutti personaggi famosi che hanno in comune una separazione, una nuova famiglia e figli da dover condividere con il partner. Certo, si tratta di un modello di famiglia elastica, che può essere sana e affettuosa, ma che può anche rivelarsi fonte di conflitti pesanti.

 

Una famiglia allargata deve stabilire al proprio interno delle regole dettate principalmente dal buon senso. Il co-genitore non ha affatto un ruolo facile, e soprattutto all’inizio rischia di fare troppo o troppo poco, sconfinando talvolta nel campo del genitore biologico, che invece non andrebbe toccato. Bisogna invece essere abili a ritagliarsi un ruolo equilibrato e preciso rispetto ai figli del partner, senza però sostituirsi al genitore biologico. E’ importante costruire un rapporto sincero, diretto, adulto, di rispetto reciproco. E’ necessario dare il tempo ai figli di capire e accettare questa nuova figura accanto al genitore, ed il nuovo arrivato deve tenere conto che la rottura tra i genitori può rappresentare un trauma difficile da superare, per un figlio.

Una buona regola è mettersi nei panni dei figli, cercare di guardare le cose dal loro punto di vista. La prima cosa che un co-genitore dovrebbe fare è conoscere bene i figli, evitando di formulare giudizi su come sono e come si comportano, ma soprattutto sulle regole di educazione impartite dal genitore biologico. Il passato familiare e la storia vissuta dai figli vanno rispettati senza essere mai giudicati, e anzi il rapporto con entrambi i genitori va stimolato anche dal co-genitore. Questo evita l’insorgere di eventuali conflitti. Per il bene dei figli e la loro crescita sana e serena dal punto di vista psicologico bisogna ridurre al minimo i contrasti e non entrare in competizione con il genitore naturale. Queste dinamiche non fanno bene neppure al rapporto di coppia.

In Francia, dove il fenomeno delle famiglie allargate è in crescita, si sta pensando ad una legge che disciplini lo status giuridico di co-genitore (anche nel caso di coppie omosessuali con figli). In Italia siamo ben lungi dall’attribuire uno status giuridico al “terzo genitore”, poiché il nostro ordinamento giuridico fa sempre e solo riferimento all’altro genitore biologico.

http://notizie.guidaconsumatore.com/009895_terzo-genitore-quando-la-famiglia-e-allargata

INTRODUZIONE (dal sito olivero.eu)

“Ma come! tuo padre non viene in vacanza con te?!” “No, viene, ma può fermarsi soltanto due giorni. E’ molto impegnato, lavora, lui…”

Il patrigno di Marica diventa rosso per la collera ma Sandra, prevenendo una bufera, allunga la mano e gli stringe il polso: “Marica, perché non vai a finire i compiti?” suggerisce per cercare di interrompere sul nascere un diverbio in cui la figlia, come spesso avviene, rinfaccerebbe al patrigno di vive- re sugli alimenti che il proprio padre passa alla moglie e a lei.

Dinamiche come questa sono frequenti tra le.figlie adolescenti e il partner della moglie, compagno o nuovo marito che sia. Spesso una bambina può accettare la presenza di un nuovo uomo quando è piccola, ma altrettanto spesso con l’adolescenza i rapporti possono divenire tesi e cancellare un periodo di convivenza che sembrava procedere con una certa tranquillità. Il caso di Marica, come quello di altri bambini, adolescenti e adulti che devono trovare una nuova collocazione nell’ambito di una famiglia mista – composta cioè da un genitore biologico e dal suo nuovo partner eventualmente con i suoi figli -, è uno dei tanti casi che si affacciano sulla scena delle nuove famiglie, sempre più frequenti al giorno d’oggi, da quando cioè la società ha accettato un’evoluzione dei legami familiari.

Sino a qualche decennio fa, infatti, la famiglia, unita o disgregata che fosse, legata da vincoli affettivi o lacerata da dissidi e confronti anche violenti, continuava comunque a resta- re ‘integra” negli anni: non era soltanto la mancanza del divorzio a “tenere unite” le famiglie, ma anche una tradizione culturale che si è consolidata nell’Ottocento; tradizione che considerava la famiglia come una istituzione che non poteva essere sciolta che dall’eventuale morte di uno dei genitori.

In passato era soltanto la vedovanza che, salvo rare eccezioni, consentiva di portare dentro casa un altro partner e di far sì che figli e figliastri potessero convivere. Dal passato derivano anche stereotipi come quello di patrigno e matrigna ve- nati di connotazioni negative. Oggi invece le separazioni e i divorzi, nonché le unioni senza matrimonio, portano di frequente a nuove famiglie, famiglie miste appunto, in cui un partner non deve soltanto confrontarsi con il compagno o la compagna che ha scelto ma anche con i suoi figli e con una lunga storia precedente: una serie di memorie, regole non scritte, dinamiche consolidate e stereotipie, che identificano un nucleo familiare anche quando da esso si è sottratto o è stato espulso un genitore, madre o padre che sia. Sono queste memorie del passato – che costituiscono non soltanto l’identità della famiglia ma l’identità stessa dei figli – a rappresenta- re una ragnatela in cui il nuovo partner può impigliarsi se pro- cede troppo rapidamente, se prova a tendere a sua volta una nuova ragnatela…

Il problema è che le dinamiche emotive e istintuali delle singole persone, nonché gli stereotipi culturali, entrano facilmente in opposizione con le dinamiche di un gruppo preesistente: il nuovo partner si sente quasi chiamato a imporre un suo ruolo “tipico”, quello di madre o di padre, a dettare regole, a proteggere, a ricostituire insomma quella che è in genere l’essenza della famiglia nucleare. In qualche modo egli cade nella trappola del suo passato, cercando cioè di ricreare ciò che gli è noto o che si aspetta debba essere una famiglia. Tuttavia è impossibile cercare di sostituire la nuova realtà alla precedente, ignorare il passato, trasformare la famiglia mista in una nuova famiglia nucleare.

Questo libro affronta le nuove realtà con particolare attenzione al terzo genitore, che è la cartina di tornasole di una complessa chimica familiare, il punto di incontro e di scontro di forze diverse. Le emozioni e le “regole” delle famiglie miste possono essere infatti considerate da varie angolature: da quella dei figli con le loro necessità, da quella del partner con l’affetto che lo lega ai propri figli e le dinamiche spesso ancora aperte che lo legano al partner precedente, da quella del terzo genitore con le sue aspettative, le sue difficoltà, i suoi senti- menti di solitudine nel sentirsi talora emarginato da rapporti affettivi in cui non gli è consentito entrare.

I vari capitoli del libro considerano le differenze che esisto- no tra le vecchie e le nuove famiglie, le necessità dei figli, il ruolo dei “terzi genitori”, dell’uno e dell’altro sesso. Una serie di storie familiari, casi di usuale quotidianità, indicano come siano complesse e caleidoscopiche le dinamiche delle famiglie miste: non esistono infatti semplici regole o suggerimenti per far funzionare queste nuove realtà, tuttavia esistono errori che possono essere evitati soprattutto nella prima fase, quella di un difficile rodaggio in cui ognuno guarda l’altro con sospetto e ha delle aspettative che probabilmente nessuno può soddisfare.

Questo saggio si basa, ovviamente, su un sapere psicologico che spesso non viene esplicitato in modo formale per non appesantire la lettura a quanti vogliono comprendere quali sono i problemi di questa nuova realtà sociale. Si rivolge in primo luogo a coloro che, dall’interno, vivono questo tipo di realtà familiare e potranno confrontare le loro esperienze con quelle raccontate dalla viva voce di uomini e donne che, intervistati, hanno fornito un quadro sincero e variegato della loro esperienza di vita, dei loro sentimenti e delle complesse dina- miche emotive e relazionali che caratterizzano le famiglie miste o ricomposte. Ma il saggio è indirizzato anche agli psicologi, ai magistrati, agli avvocati divorziati, agli assistenti sociali, agli insegnanti, che vi troveranno spunti per riflettere e alcune delle risposte agli interrogativi che spesso si pongono di fronte a una realtà che non è ancora emersa appieno nella nostra società ma che è impossibile ignorare, rifugiandosi dietro l’illusione che continui a esistere un modello unico di famiglia ideale. La crescente accettazione sociale delle famiglie non tradizionali farà sì che adulti e bambini trovino più facilmente un loro ruolo nell’ambito delle nuove realtà familiari e delle istituzioni sociali come la scuola.

 

Dal sito annaoliveroferraris.it IL TERZO GENITORE

Spazio genitori

 

Consulenza

 

Spazio genitori
consulenza educativa e mediazione familiare

  • Consulenza educativa: a volte i genitori si trovano in difficoltà nella  relazioni con i figli (“non  vuole andare a scuola”, “non riesco a  gestirlo”, “fa sempre i capricci“, ecc). Spazio genitori vuole essere un  luogo dove provare a capire quello che sta succedendo, analizzare l’origine  del disagio per restituire ai genitori una buona relazione con i figli.
  •  Mediazione familiare: i conflitti familiari  possono creare nei figli  forti disagi, da qui la necessità di gestire  il  conflitto aiutando i  genitori   a trovare soluzioni alternative .
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DOVE: Castiglione Olona (VA) – Spazio TEMPOINSIEME – via Marconi 4 

Il calamaro e la balena (Baumbach 2005)

INDICE
SINOSSI
RECENSIONE
TRAILER

SINOSSI

Il calamaro e la balena un film di Noah Baumbach. Titolo originale The squid and the whale. Drammatico, durata 81 min. – USA2005. –

Tutto scorre apparentemente tranquillo nella vita di quella che potrebbe essere una qualsiasi famiglia di Brooklyn, padre, madre e due figli, ma a dispetto della facciata perfettamente integra le fondamenta barcollano non poco, fino a crollare fragorosamente. Così, a seguito della separazione tra Bernard, scrittore senza più editori, e l’esasperata Joan, decisa a liberarsi dall’ego e dall’ombra del marito, i figli Walt e Frank si troveranno a fare la spola tra gli appartamenti dei due genitori. Gli adulti si daranno da fare imbarcandosi in relazioni improbabili, chi con un giovane istruttore di tennis, chi con un’acerba ma smaliziata studentessa, influenzando giocoforza le vite dei ragazzi, in una girandola di confusione adolescenziale di mezza età.
Noah Baumbach scrive e dirige l’autobiografia della propria adolescenza, facendoci assistere al racconto da un punto di vista privilegiato: quello di chi lo ha vissuto. Visione cinica quanto trasparente di un particolare collasso familiare e delle sue conseguenze più immediate, Il Calamaro e la Balena (si lascia scoprire allo spettatore il perché del titolo) è un’opera che gioca sulla fragilità dell’essere umano e l’impalpabilità dei suoi sentimenti, sospesi in equilibrio improbabile tra routine, sicurezza e felicità dimenticata per strada. (Giovanni Idili Mymovies)

RECENSIONE

Il calamaro e la balena, uscito in sordina sugli schermi cinematografici italiani, ha avuto una candidatura agli Oscar 2006 come migliore sceneggiatura originale. Noah Baumbach, che ha iniziato la sua carriera come regista nel 1995, a 26 anni, con Scalciando e strillando (Kicking and Screaming, Usa), è stato anche sceneggiatore diLe avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Aquatic With Steve Zissou, Usa, 2004) diWes Anderson, che gli ha reso il favore ne Il calamaro e la balena producendo il film. Ne Il calamaro e la balena, Baumbach riflette autobiograficamente sulla crisi familiare che caratterizzò la sua adolescenza, celandosi dietro il personaggio di Walt, allampanato diciassettenne, la stessa età che aveva il regista nel 1986, anno in cui si svolge il film.
Il Bernard Berkman del film, padre di Walt, riflette il vero padre di Noah, Jonathan Baumbach, scrittore dalle alterne fortune: grazie al rapporto tra Bernie e Walt nel film è però possibile notare le influenze cinematografiche adolescenziali di Noah dovute indirettamente ai gusti del padre Jonathan, che in una fase della sua vita è stato anche critico cinematografico per la “Partisan Review”, storica rivista di sinistra fondata dal teorico del Masscult e Midcult Dwight MacDonald. Ciò che nella pellicola si nota superficialmente è una grande passione per il cinema francese, soprattutto per quello della Nouvelle Vague, di cui si citano Il ragazzo selvaggio (L’enfant Sauvage, Francia, 1970) di François Truffaut eFino all’ultimo respiro (À boute de souffle, Francia, 1960) di Jean-Luc Godard, in particolare l’ultima scena, quella in cui Jean-Paul Belmondo, poco prima di morire, offende Jean Seberg toccandosi le labbra da parte a parte. Sul muro spoglio dell’abitazione di Bernie compare poi la locandina di La maman et la putain (Francia, 1973), capolavoro travagliato di un talento altrettanto inquieto della Nouvelle Vague francese come Jean Eustache. La filiazione, seppur ad una lettura epidermica, appare chiara: così come il cinema francese del periodo a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta puntava a far diventare il film una sorta di diario intimo, sulla scorta di una serie di teorie ed interventi di vari studiosi e critici (Astruc, Bazin, Truffaut stesso), Baumbach assume in prima persona questo invito quasi cinquant’anni dopo e realizza il suo personale diario intimo di un’adolescenza sofferta, condotta all’ombra di un padre frustrato ed egoista, cultore di una personalità continuamente preda della superbia e dei rovesci del destino. L’altro riferimento nel film è a Velluto blu (Blue Velvet, Usa, 1986) di David Lynch, film uscito nel periodo in cui è ambientata la vicenda, altra imposizione di Bernie/Jonathan nei confronti della formazione culturale del figlio: l’assunzione in questo caso è forse meno percepibile e forse anche maggiormente forzata, se si suppone che l’ispirazione lynchiana possa aver influenzato Baumbachnella creazione di un universo in cui l’angoscia si nasconde dietro la patina di perfetta, anche se squilibrata, rispettabilità.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Una partita di tennis familiare

Le vicende narrate in Il calamaro e la balena iniziano in un campo da tennis, con una partita di doppio misto. Misto non tanto perché include anche una donna, quanto perché mette di fronte quasi programmaticamente gli schieramenti protagonisti dell’aspro e rovinoso conflitto che di lì a pocoBaumbach svilupperà in seno alla famiglia Berkmann. Da un lato Bernie, il padre, e Walt, il figlio maggiore, invogliato ad insistere “sul rovescio debole della madre” per portare in porto una partita la cui unica posta in gioco è una vuota soddisfazione personale. Dall’altro, Joan, la madre, moglie di Bernie da diciassette anni, e Frank, il figlio minore della coppia, che nella partita pare essere spettatore della sfida in atto, nella quale invece Walt, stimolato da Bernie, ha invece una ruolo da protagonista. Ed è un incipit che, allegoricamente, anticipa gli equilibri presenti nella storia narrata immediatamente dopo: Bernie e Joan intenti a gestire il loro ormai logoro rapporto; Frank in veste di osservatore passivo e vittima di una situazione che per età e dinamiche non può comprendere appieno; Walt spesso utilizzato dal padre come leva per mutare i già precari equilibri in atto e come figura su cui proiettare i valori ideali a cui farebbe costantemente riferimento se una profonda frustrazione, dovuta all’eclissi del successo letterario, non lo avesse attanagliato. Ma anche la posizione in campo assunta dai due figli è emblematica di ciò che il film rappresenta: Frank, più di Walt – indotto dal padre a gestire insieme la partita contro la madre – è bloccato in quella che nel gergo del tennis si chiama “Nobody’s Land”, terra di nessuno, ossia lo spazio compreso tra fondo campo (in cui ci sono Bernie e Joan) e la rete, una superficie sconsigliata da tutti gli istruttori e i commentatori televisivi perché improduttiva ai fini del risultato, troppo lontana dalla rete per fornire il colpo decisivo (ancor di più se tale colpo non lo si è preparato adeguatamente dal fondo campo), troppo scoperta per potersi difendere in caso di contrattacco. Perfetta metafora della situazione di Frank, costretto, suo malgrado, da una partita che per età e costituzione non può condurre, a vivere senza una vera dimora da sentire propria, alternativamente a casa della madre che egli continua a definire “casa nostra” (mentre Bernie gli fa notare come sia casa della madre) e la nuova abitazione del padre, contraddistinta con “casa di papà” (mentre Bernie si premura di fargli notare come anche quella nuova abitazione, in fondo, sia casa sua). Esemplare è, a questo proposito, l’inquadratura che mostra il povero Frank in campo medio, affranto, seduto su una sedia con bracciolo per mancini (lui che è destrorso) compratagli da Bernie per permetterli di studiare anche nel nuovo appartamento. Terra di nessuno dettata dall’affidamento congiunto, quello stesso affidamento congiunto che “fa schifo”, secondo le parole di Otto, un compagno di scuola di Walt, che ha già provato l’esperienza sulla sua pelle: metodo ipocrita di condivisione di spazi e momenti, perché ciò che interessa realmente è soltanto un risparmio sugli alimenti.
Così, se per il piccolo Frank la separazione dei genitori è dolore da allontanare con improprie bevute di birra e vino e smarrimento in un’ipotetica e confusa dimensione in cui contano le pulsioni sessuali ossessive e la possibilità di circoscrivere gli ambienti frequentati con il proprio seme (il ragazzino, dopo essersi masturbato, “spalma” con lo sperma armadietti e scaffali della biblioteca) quasi a creare quel senso di appartenenza che prima la posizione sul campo da tennis e poi lo squallore scrostato della nuova abitazione di Bernie non gli hanno fornito, per Walt, personaggio dietro cui si cela la figura del regista, si tratta invece di un faticoso percorso di crescita adolescenziale. Walt, seppur illudendosi di gestire individualmente la difficile situazione, vive la sua vita ad immagine della volontà di Bernie, come suo braccio armato pronto a sfruttare “il rovescio debole della madre”: la sua è un’esistenza priva di autenticità, vissuta come proiezione dell’ingombrante – seppur in disarmo – personalità paterna. Il rapporto con Sophie, sua tenera compagna di scuola, è prima diretto, poi catastroficamente mediato dal consiglio paterno volto a crearsi una vasta rete di esperienze; il conversare di letteratura non è scambio di esperienze genuino, ma un pontificare altezzoso e vuoto con il chiaro obiettivo di fornirsi di quella statura culturale che Walt riconosce nel padre; l’attribuirsi la composizione di Hey You dei Pink Floyd non è volontà di frodare il concorso scolastico, quanto il tentativo sconclusionato e irrazionale di garantirsi l’ammirazione paterna. Il cammino di Walt dev’essere indirizzato a recuperare una propria individualità slegata dall’aura di Bernie, una serenità in cui sia possibile anche recuperare il rapporto con una madre che ha mostrato di odiare (ma solo per appartenenza alla “squadra” del padre): l’inquadratura che segna inequivocabilmente questa possibilità è il particolare della mano del ragazzo che si stacca da quella di Bernie, convalescente nel letto di ospedale. Il cammino successivo di Walt è indirizzato al museo di storia naturale di New York, verso quel calamaro addentato dalla balena simbolo di una paura infantile condivisa con la madre, ancora fonte di conforto e non nemica. Osservare da soli quell’enorme duplice mostro, il cui terrore era stato confessato allo psicologo, è un piccolo ma decisivo passo verso la conquista della maturità. (Giampiero Frasca, minori.it)-

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