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L’Innocenza: La verità a tre voci nel nuovo film di Kore’eda

Regia di Kore’eda Hirokazu. Titolo originale: Mostro

Giappone, 2023, durata 126 minuti. Età: dai 13 anni

TRAMA

Minato che ha 11 anni e vive con sua mamma vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un insegnante, così la madre si precipita a scuola per scoprire cosa sta succedendo. Ma la verità, come spesso accade nei film di Kore-eda, si rivelerà essere un’altra e i fatti sveleranno una profonda e toccante storia di amicizia.

RECENSIONE di STEFANO LO VERME movieplayer.it

Se soltanto alcuni possono averla, quella non è felicità: non ha senso. La felicità è qualcosa che chiunque può avere.

È con queste parole che Makiko Fushimi (Yuko Tanaka), direttrice di una scuola elementare, tenta di rassicurare Minato Mugino (Soya Kurokawa), l’alunno che le ha appena rivelato una parte del suo segreto. Il dialogo fra i due personaggi avviene in prossimità della conclusione de L’innocenza e rappresenta un momento in cui le barriere della prudenza e del sospetto vengono scavalcate dal bisogno di una condivisione autentica e sincera. E nel cinema di Hirokazu Koreeda, da sempre improntato a un profondo umanesimo, la connessione fra gli esseri umani costituisce un ingrediente fondamentale: la chiave di volta necessaria su cui sperare di erigere la propria felicità e quella altrui. La dicotomia tra la forza delle connessioni e il muro dei pregiudizi è dunque al centro del nuovo film del più celebrato regista giapponese della scena contemporanea.

Ma la condivisione e, di conseguenza, l’empatia sono obiettivi quanto mai difficili da raggiungere: non a caso l’intreccio de L’innocenza si sviluppa come un’ideale corsa a ostacoli tra fraintendimenti, menzogne e accuse, in cui spesso sembra che sia la società stessa a ingabbiare e reprimere gli istinti più genuini dei protagonisti. Un’impressione accentuata dalla peculiare struttura narrativa adottata da Hirokazu Koreeda, che per la prima volta dalla sua opera d’esordio (Maborosi, del 1995) sceglie di dirigere un copione firmato da un altro autore, Yuji Sakamoto, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2023. Lo script di Sakamoto, infatti, si ammanta a più riprese di un’aura di mistero, inducendo gli spettatori, così come i personaggi, a elaborare dubbi e ipotesi. Chi ha appiccato l’incendio mostrato nella scena d’apertura? Quali sono le ragioni del malessere dell’undicenne Minato? E perché il suo compagno di classe Yori Hoshikawa (Hinata Hiiragi) è convinto di essere un mostro?

Tre punti di vista sulla verità

Monster (Kaibutsu), del resto, è il titolo originale del film, in cui il concetto di ‘mostruosità’ si affaccia alla mente più volte, ma con sfumature via via differenti. Un potenziale atto mostruoso è alla radice delle angosce di Saori Mugino (Sakura Ando), giovane vedova e madre di Minato, che vede crescere le preoccupazioni per lo strano comportamento del figlio, fino a convincersi che a scuola gli sia accaduto qualcosa di terribile. Il primo segmento de L’innocenza aderisce completamente alla prospettiva di Saori, sconvolta dalle frasi deliranti di Minato (“Il mio cervello è stato scambiato con quello di un maiale”) e determinata a individuare il responsabile del suo disagio. E mentre l’istituzione scolastica si trincea dietro una cortesia di facciata, ad emergere è l’ambiguo ruolo svolto da un insegnante, Michitoshi Hori (Eita Nagayama), il quale pare aver colpito – per errore? – Minato, ma che imputa allo studente di essere un bullo a danno di Yori, bersaglio delle discriminazioni omofobe dei compagni.

Ma la verità, ci suggerisce Koreeda, è una faccenda molto più complicata di quanto appaia a prima vista. La diversa percezione di rapporti e sentimenti è un tema già esplorato in precedenza dal regista, a partire dal titolo emblematico del suo film francese del 2019, Le verità; e in questa occasione, Yuji Sakamoto costruisce la storia mediante tre capitoli che ripercorrono di volta in volta gli stessi eventi da tre punti di vista distinti: prima quello di Saori, poi del maestro Michitoshi e infine di Minato. Si tratta di un tòpos entrato nel codice genetico del cinema nipponico (e non solo) fin dai tempi dell’ormai mitico Rashomon di Akira Kurosawa: in questo caso, però, non si tratta di sottolineare l’inaffidabilità dei narratori, ma piuttosto di mettere in evidenza la parzialità inesorabile dello sguardo, e pertanto l’impossibilità di giungere a una piena comprensione del reale. Perlomeno, fin quando non si è disposti ad abbracciare anche le prospettive degli altri, ad accoglierne l’esperienza e a capirne le ragioni.

È quanto prova a fare Michitoshi, la cui visione ribalta quella di Saori: se per la madre Minato è la vittima, per Michitoshi al contrario il ragazzo è il bullo che si accanisce su Yori, la cui delicatezza lo rende inerme – ma forse anche immune – di fronte alle angherie dei coetanei (“Quando vieni attaccato, abbandoni tutta la tua forza e ti arrendi… non provi più niente”, afferma lo stesso Yori nella gara a indovinelli con Minato). Né Saori, né Michitoshi hanno un quadro completo della realtà, ma Hirokazu Koreeda evita di giudicare – e tantomeno condannare – i propri personaggi, motivati da nobili intenzioni. La ‘mostruosità’, semmai, è negli occhi di chi non riesce a provare amore né empatia, come il padre di Yori, Kiyotaka (Shido Nakamura), che a proposito del figlio sostiene: “Lui è un mostro. Il suo cervello non è un cervello umano, è il cervello di un maiale”. Nel titolo italiano, l’attenzione si sposta invece sulla purezza dei più piccoli, immersi in un microcosmo in cui faticano ad accettare davvero se stessi e il proprio universo emotivo.
E i due giovanissimi co-protagonisti, Soya Kurokawa e Hinata Hiiragi, lasciano meravigliati per la spontaneità e l’intensità con cui prestano volto e voce ai turbamenti di Minato e Yori: il primo con un’inquietudine in cui si mescolano rabbia e paura, il secondo con la granitica dolcezza che manifesta in ogni situazione. Nell’ultimo segmento de L’innocenza, lo sguardo di Minato non soltanto aggiunge i tasselli mancanti al nostro mosaico, ma carica il racconto di nuove sfumature: dall’incertezza insita nell’abbandono dell’infanzia per fare ingresso nell’adolescenza all’avventuroso romanticismo della foresta che lui e Yori trasformano in uno spazio privato e ‘magico’. Uno spazio in cui pensieri e sentimenti possono esprimersi in piena libertà, al riparo dalle pressioni e dai soprusi del mondo degli adulti, e in cui a una furiosa notte di tempesta può far seguito al mattino un’esplosione di gioia e di rinascita.

VIDEO

TRAILER

https://youtube.com/watch?v=r9xDiKD9_oc%3Fsi%3DpnFJjQALDKmk1T2T

Un gioco innocente

https://youtube.com/watch?v=BVNYCpv33CU%3Fsi%3Dymnjgk7B55D5JT43

il nocciolo

Il nocciolo
di Isabel Pin

Editore: Nord-Sud
Collana: Libri illustrati
Traduttore: Clementi N.
Data di Pubblicazione: 2001

Sinossi

In una terra divisa da un confine quasi invisibile, vivono due popoli in pace tra loro, fino al giorno in cui un oggetto misterioso, venuto da chissà dove, cade proprio sul confine… È un nocciolo di ciliegia! I due popoli iniziano, quindi, a preparare una vera e propria guerra per impossessarsi del nocciolo. Passano anni in cui fabbricano armi e pianificano strategie e, coinvolti nei preparativi della battaglia non ne ricordano più il motivo, fino a quando arriva il giorno dello scontro, ma il nocciolo non c’è più, è diventato un ciliegio e tutti ne possono mangiare i frutti.

Questa è la storia di due popoli che non vogliono condividere uno stesso oggetto, ma che alla fine capiscono che questo dono è dato per tutti.

Temi

  • Conflitto
  • Condivisione
  • Convivenza
  • Crescita
  • Affermazione
  • confini
  • guerra\pace

Attività con i bambini sulla condivisione e sul  conflitto 

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LINK: https://www.comunicazionepositiva.it/dp/dwnl/Attivit%C3%A0%20e%20giochi%20su%20empatia,%20emozioni.pdf

LIBRO: Risolvere i conflitti in classe

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La città che sussurrò.

 

La città che sussurrò

AutoreJennifer Elvgren

IllustrazioniFabio Santomauro

Anno di edizione: 2015
Traduzione: Shulim Vogelmann
Pagine: 32
Illustrato: si
N° illustrazioni: A colori
Legatura: Rilegato
 Prezzo: 15 €
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Presentazione
Anett scopre che nello scantinato della sua casa si nasconde una famiglia di ebrei. Anche se scendere le scale buie dello scantinato le fa un po’ paura, è lei a portar loro da mangiare oltre a tutte le cose di cui hanno bisogno. Così conosce Carl, un bambino come lei, con cui fa presto amicizia. La famiglia di Carl sta aspettando una notte di luna piena per raggiungere il porto e fuggire in Svezia, ma le nuvole non vogliono diradarsi ed è troppo buio per scappare. Finché ad Anett non viene in mente un’idea geniale per salvare il suo amico Carl dai soldati nazisti che si stanno avvicinando sempre di più. Ma per metterla in pratica dovrà coinvolgere l’intero villaggio e soprattutto non fare troppo rumore… Questa storia, fatta di coraggio e solidarietà, è basata su una vicenda realmente accaduta durante la seconda guerra mondiale, un episodio che tiene accesa fino ad oggi la luce della speranza nella bontà umana.
Video

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 Immagini
 
Recensione
” Circa 1700 ebrei fuggirono dal piccolo villaggio di pescatori di Gilleleje. In una notte senza luna, gi abitanti del villaggio, dalla soglia delle loro abitazioni, sussurrarono loro la direzione giusta per il porto.”

Con questa nota si chiude il libro e la storia de La città che sussurrò. Una storia semplice ma pericolosa, umana e incredibile, condotta da molte persone con poche parole sussurrate.

Narra un fatto realmente accaduto durante la seconda guerra mondiale, quando un intero villaggio danese si prodigò per salvare degli amici o persone sconosciute dall’orrore dei lager.

La forza e la delicatezza di questo racconto hanno portato al libro il Premio Andersen 2105 e numerosi riconoscimenti delle Comunità ebraiche.

COME FUNZIONA LA MAESTRA

come-funziona-la-maestraCOME FUNZIONA LA MAESTRA

Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer

Ed. IL CASTORO

PUBBLICAZIONE febbraio 2013
DIMENSIONI 23 x 30 cm
PAGINE 28

Per bambini e adulti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un divertente e raffinato albo illustrato che parla ai bambini di oggi e… ai bambini di ieri.
“Dentro la maestra ci sono i numeri, le tabelline, i fiumi, i monti, l’orologio, i cinque sensi, l’uomo primitivo e tante altre cose che a poco a poco finiscono anche dentro ai bambini.”

Ci sono maestre lunghe o maestre corte. Maestre larghe oppure sottili. Maestre scure, chiare, ricce, lisce, a pallini, a fiori, a spirali, a scacchi e in varie fantasie. Anche a righe e a quadretti, naturalmente. E dentro le maestre, invece, cosa c’è? Un ritratto gioioso e scanzonato di tutte le maestre. Guarda bene, e troverai anche la tua o quella che hai conosciuto da piccolo!
Un intero universo da scoprire, per giocare con la curiosità dei bambini e sorridere insieme a loro sul mondo della scuola. Dedicato a una delle persone più importanti nella vita di ogni bambino.
Illustrazioni di Chiara Carrer.

RECENSIONI

di Micol De Pas

«Ci sono maestre lunghe o maestre corte. Maestre larghe oppure sottili. Una maestra piccola non è mezza maestra, così come una molto grande non vale doppio». Possono avere colori diversi, possono essere chiare, scure, ricce, lisce, a pallini, a scacchi… su quelle a righe si scrive e su quelle a quadretti si fanno le operazioni. Così le descrivono Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer in Come funziona la maestra, un manuale per bambini, appena uscito per Il Castoro.

La maestra («che a volte è un maschio») è un essere a sé, diverso da tutti gli altri, perché «Dentro la maestra ci sono i numeri, le tabelline, i fiumi, i monti, l’orologio, i cinque sensi, l’uomo primitivo e tante altre cose che a poco a poco finiscono anche dentro ai bambini». Ma come tutti gli altri, si veste, è alta o bassa, ha i capelli in un certo modo e un carattere particolare. «Alcune sono sempre contente, altre sempre arrabbiate. Quando la maestra è arrabbiata si ferma tutto. Non si aggiunge più, non si riesce a dividere niente, i fiumi non scorrono e l’uomo primitivo resta bloccato con la lancia alzata. Solo se torna la calma, allora tutto ricomincia a funzionare».

Poi, un giorno, la maestra diventa quella di qualcun altro. Allora si potrà incontrarla per caso, al cinema, al supermercato e per la strada e sembrerà un grande come tutti gli altri. «Però quando se ne incontra una, si capisce. Si sa che quella era la maestra. Solo, è diventata un po’ più piccola. E insieme alla maestra, anche la classe, se ci si ritorna dopo qualche tempo, si è trasformata, è sempre la stessa classe, ma si è rimpicciolita».

Ma il gioco non finisce mai, perché «quando bisogna ritrovare una poesia, un lago o una vecchia storia sentita in classe, basta cercare bene e alla fine usciranno fuori tutti insieme, come li aveva messi la maestra, i più piccoli seduti davanti e i più alti dietro in piedi».

 

 RECENSIONE 2 

di Margherita D’Alessandro

 

È appena ricominciata la scuola, ne parlano i giornali, i tg, la gente per strada, i genitori che non vedevano l’ora di poter riorganizzare al meglio il tempo.

Io ricordo bene il mio primo giorno nella scuola elementare: ci radunarono tutti in palestra –  genitori e bambini – e aspettammo con pazienza che ci chiamassero. Ero curiosa di sapere che viso avesse la mia “prima” maestra, se fosse dolce o severa, simpatica o seria. Arrivò con un po’ di ritardo e … sorpresa! Si chiamava proprio come me. Poi ci mise in fila ed io diedi la mano a Loretta con cui avrei diviso 5 anni di studi e di giochi. Quest’anno ho visto mia nipote fare le stesse cose e mi chiedevo, guardando i volti di tanti bimbi, cosa possa passare nella loro mente quando lasciano la mano del genitore per seguire una persona, che li guiderà nei passi fondamentali dell’apprendimento.Così ho ripreso in mano “Come funziona la maestra” diSusanna Mattiangeli con le illustrazioni della grande Chiara Carrer (Il Castoro), un libro di qualche mese fa, e ho pensato di proporvelo perché quando l’ho letto la prima volta ho avuto un groppo in gola per l’emozione, sia come ex alunna che come insegnante.

Guardate un po’ se le sue parole non sembrano espresse da quei frugoletti con i grembiulini e gli zaini:

 

«Ci sono maestre lunghe o maestre corte. Maestre larghe oppure sottili. Una maestra piccola non è mezza maestra, così come una molto grande non vale doppio … Le maestre a un certo punto diventano maestre di qualcun altro. Si possono rivedere dopo un po’ di tempo, per la strada, al cinema, al mercato, e sembrano dei grandi come tutti gli altri. Però quando se ne incontra una, si capisce. Si sa che quella era la maestra. Solo, è diventata un po’ più piccola. E insieme alla maestra, anche la classe, se ci si ritorna dopo un po’ di tempo, si è trasformata. È sempre la stessa classe, ma si è rimpicciolita».

 

Quando ho avuto il libro tra le mani è stato amore a prima vista e il giorno dopo l’avevo già letto ai miei alunni.

Quelle parole toccavano in profondità i miei ricordi perciò ho pensato che la scrittrice doveva essere un po’ speciale e le ho rivolto qualche domanda:

        Susanna, parlaci un po’ di te.

Io sono nata a Roma. Non sono lunga né larga, sono ocra anche se a volte divento marrone perché se voglio posso cambiare colore. Milioni di anni fa ho studiato disegno e storia dell’arte, ho costruito pupazzi per spettacoli e per video di animazione, attrezzeria e mobili perché mi piace il lavoro manuale anche se da solo non mi basta. Adesso abito ancora a Roma con Lorenzo, Elisa e Pietro. Invento laboratori per i bambini in spazi privati e nelle scuole. Imparo tante cose e, in qualche modo, ne insegno anche. In effetti ho molte cose che mi rendono simile ad una maestra: ho una parte davanti e se mi giro a scrivere o a disegnare ho anche io una parte di dietro. A volte i bambini e le bambine mi chiamano maestra, solo che io non mi siedo quasi mai alla cattedra e, anche se parlo con molte maestre, non conosco la lingua segreta che le maestre parlano tra loro. L’ambiente della scuola mi riempie di idee e di parole che devo mettere da qualche parte. Così oltre a “Come funziona la maestra” Editrice il Castoro è appena uscito “La mia scuola ha un nome da maschio” Edizioni Lapis. Così per un po’ sono a posto e dopo scriverò di altri argomenti.

      Come è nato “Come funziona la maestra”?

Come dicevo, incontro molte maestre durante l’anno. Spesso maestre donne, perché nel nostro paese vicino ai bambini e alle bambine ci sono soprattutto le donne. Se invece aggiungi un pallone da calcio, arrivano subito gli uomini, mentre le donne e le bambine si allontanano.  Se si rimescolassero più le cose tra uomini, donne, bambini, bambine e palloni questo sarebbe un paese diverso, ma per adesso il maestro è una rarità e nel linguaggio comune si parla di “maestre”: esseri con borsetta e poteri speciali, supereroi con la messa in piega.

Quando ho pensato di scrivere un testo per un albo ci ho messo poco a decidere di parlare della maestra e non mi pareva una scelta tanto originale. Solo dopo aver finito ho realizzato che non era ancora stato fatto uno studio scientifico sull’argomento, ovvero sulle varie forme di maestra presenti in natura, su come si muove, come parla, dove vive eccetera.

 

          Hai un ricordo particolare dei tuoi insegnanti?

La mia prima maestra della scuola materna si chiamava Armida e nella sua classe c’era una casetta di legno dove entravamo in tantissimi a ricreazione. Quando ho votato per la prima volta sono tornata a trovare la casetta e ho visto che si era rimpicciolita. A fatica ci sarei entrata io da sola. A dire il vero, tutta la classe si era ristretta e mi sono sentita come Alice quando diventa enorme. La mia maestra preferita però è stata Patrizia, che mi ha insegnato a leggere e a scrivere cantando e suonando la chitarra. In seconda elementare è stata sostituita da un’altra che aveva una bacchetta di legno da sbattere sui banchi per fare silenzio, ci buttava spesso fuori dalla classe e ogni tanto ci tirava i capelli. Così ho imparato che ci sono vari modelli di maestra al mondo, e che non tutte funzionano allo stesso modo.

          Ricordi il primo giorno di scuola?

No, non ho un ricordo preciso. Se ci penso vedo l’immagine della mia mano al lavoro sui primi quaderni e mi torna in mente quanto mi sembrava facile leggere e scrivere. Credo che in questo Patrizia c’entrasse e mi chiedo se lei se ne sia resa conto. Era giovane e chissà se ha continuato ad insegnare, magari in quegli anni se n’è andata in giro di classe in classe lasciando cose preziose senza pensarci troppo su.

         Qual era la tua merenda preferita?

Mi piaceva il pane con la nutella ma mia mamma mi faceva certe fette deprimenti, piccole e con un velo marrone inesistente e allora nemmeno lo chiedevo più. Andavo a scuola tutti i giorni con un tegolino e un mandarino. Poi però a ricreazione mi dimenticavo di mangiare e lasciavo tutto nella tasca dello zaino. Alla fine della settimana la tasca era piena e bisognava scavare gli strati di mandarini e tegolini tutti schiacciati e mummificati.

         E il libro a cui eri più legata, quello che leggevi e rileggevi?

Io leggevo fumetti. Sempre, ovunque. Soprattutto Topolino, quello che usciva in edicola ma anche le vecchie storie degli anni cinquanta di cui mio padre aveva una grande raccolta. Adesso, a parte qualche storia classica veramente bella, non mi piace più per niente ma alle elementari era la mia fissazione. Oltre a quello leggevo molto Asterix e qualunque fumetto girasse per casa, compreso Linus che era per grandi, pieno di cose strane e incomprensibili. Non saprei dire quale sia stato il mio primo libro vero: a scuola ci facevano prendere dei libri in biblioteca di cui non ricordo niente se non una riduzione di Fabiola, una storia sui primi cristiani perseguitati che ha segnato il mio breve momento di misticismo. Di sicuro ho letto e riletto le Filastrocche in cielo e in terra di Rodari, che resta una specie di maestro invisibile dei miei anni piccoli e anche di quelli un pochino più grandi.

Anna è furiosa

384-3403-7_6f35f80bf292539fb561ea0096034179ANNA È FURIOSA    di Christine Nöstlinger

ETA’ dai 5 anni

Collana Il Battello a Vapore
Serie Serie Bianca
Rilegatura brossura
Formato 12×19 cm
Pagine 64
 marzo 1993
ISBN 978-88-384-3403-7
Prezzo consigliato € 7,50

LA STORIA
Anna è una bambina con un grave problema: s’infuria per un nonnulla e non è capace di controllare in alcun modo la
sua arrabbiatura. Quando s’infuria perde il controllo di se stessa e tutti quelli che le stanno vicini in quel momento vengono aggrediti, anche se non le hanno fatto niente. I genitori cercano di aiutarla con dei consigli, e Anna si impegna a
seguirli, ma senza risultati. Alla fine, quando Anna non vuole più alzarsi dalla sua poltrona e uscire dalla sua came-
ra per paura d’infuriarsi ancora, arriva il nonno, con un regalo per lei: un tamburo. Suonando il tamburo quando
sente arrivare la rabbia, Anna riuscirà a scacciarla e a vincere così il suo problema.

 

I TEMI
Con la capacità di analisi e la lucidità che la contraddistinguono, Christine Nöstlinger affronta il problema del temperamento nervoso della bambina e la sua convenzionale soluzione. La forte personalità di Anna non riesce a svilupparsi armoniosamente perché dominata dal violento conflitto con la realtà. Con stile diretto e chiaro sono presentate le situazioni in cui tremenda scoppia la furia e il lettore non viene neppure sfiorato dall’idea che si tratti di capricci e che Anna sia una bambina viziata. No, Anna è pienamente consapevole del significato del suo modo di reagire e dell’ostacolo che costituisce alla sua relazione con il mondo, anche perché ne paga le conseguenze con l’isolamento.

È da rilevare il ruolo del nonno del quale, l’autrice fa notare, Anna si fida perché non le ha mai mentito, e la funzione liberatoria assegnata alla musica. È la musica, vissuta in prima persona, a risolvere il problema che affligge la bambina.

SPUNTI DI DISCUSSIONE
• Perché Anna si arrabbia spesso?
• Come diventa Anna quando si arrabbia?
• Cosa fa Anna quando si arrabbia?
• Cosa dicono gli altri bambini quando Anna s’infuria?
• Perché Anna non riesce a “mandar giù” la rabbia bevendo molta acqua?
• Cosa le propone la mamma per calmarsi?
• Chi le suggerisce l’idea del tamburo?
• In che modo gli altri bambini si convincono che Anna non è più furiosa?

 

PIANO DI LETTURA (clicca qui)

SPETTACOLO TEATRALE

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STOP CAMBIAMO IL FUTURO

STOP CAMBIAMO IL FUTURO

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I bambini usano i disegni per insegnare agli adulti come rispettare il mondo. Per realizzare il carto

ne animato, Stop, cambiamo il futuro il regista ha usato i lavori di 732 bambini delle scuole elementari di tutta la Liguria. “Si tratta di un progetto di educazione ambientale che vede i bambini diventare educatori di tutti”, spiega l’assessore regionale all’ambiente Renata Briano. “I più piccoli hanno una sensibilità notevolissima e il video mette in evidenza come l’uomo, modificando l’ambiente, crea problematiche. In questo caso i bimbi diventano motori di coscienza anche di noi adulti” (nel video un estratto del cartoon.

LEGGI IL PROGETTO E SCARICA GRATUITAMENTE IL FILM AL LINK: CLICCA QUI

 

ANTEPRIMA

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Che ruolo ha la scuola nel percorso di crescita del bambino?

Che ruolo ha la scuola nel percorso di crescita del bambino?

..l’insegnante deve essere anche un educatore che capisce la psicologia dei suoi alunni  e li aiuta a crescere, quindi non una persona che arriva e scompare dopo aver fatto la sua lezione ma che stabilisce una  relazione significativa che fa crescere i ragazzi ….

Guarda l’intervista a Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, dirige la rivista degli psicologi italiani “Psicologia Contemporanea”

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http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ABzsjyHyknc#at=73

Seduttività infantile e sfruttamento degli adulti

Articolo di Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, dirige la rivista degli psicologi italiani “Psicologia Contemporanea.

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I bambini di questi anni che vedono il Grande Fratello, invece di giocare ai cow-boy come facevano i loro genitori giocheranno ad appartarsi in coppia sotto un tavolo mimando una scena di sesso. Le bambine che vedono ogni sera uno show con ballerine in costumi molto succinti, vorranno giocare allo spogliarello invece che alle bambole. E ancora, i bambini che – dalla pubblicità, dai coetanei o dai loro genitori – vengono continuamente sollecitati al possesso di abiti all’ultima modascarpe firmate, oggetti status simbols entrano in competizione tra loro per l’acquisizione di questi prodotti, senza i quali si sentono infelici. Giorno dopo giorno essi fanno propria una visione del mondo che non apparterrebbe all’infanzia, modi di pensare e di atteggiarsi che possono avere dei risvolti non soltanto sullo stile di vita presente ma anche futuro.

Leggi l’articolo completo

 

http://www.annaoliverioferraris.it/infanzia-e-adolescenza/seduttivita-infantile-e-sfruttamento-degli-adulti.html

KIKI – Consegne a domicilio (animazione a partire dai 7 anni)

 

KIKI – Consegne a domicilio

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Anno 1989

Durata 102 min

Genere animazione

Regia Hayao Miyazaki

INDICE

– Trama

– recensioni

– Video
 

TRAMA

« Il sangue della strega, il sangue del pittore, il sangue del panettiere… Come dei poteri donatici da Dio o chi per lui, ma per questi doni possiamo anche soffrire… »
(Ursula)

Kiki è una giovane strega che come da tradizione, compiuti i 13 anni parte da casa sulla sua scopa in compagnia soltanto di Jiji, il suo gatto nero, per l’anno di noviziato da svolgere in un’altra città. Dopo aver superato una tempesta ed aver incontrato un’altra giovane strega ormai al termine del suo tirocinio, Kiki raggiunge una caratteristica cittadina di mare, meta prefissata nell’immaginario della ragazzina fin dalla sua partenza.

Le prime esperienze in città, per lei che dopotutto è una ragazza di campagna, non sono però positive e Kiki, scossa dall’accoglienza piuttosto fredda e deludente del luogo, si rende conto che forse aveva fin troppo idealizzato quell’avventura tanto attesa da piccola e che probabilmente quella città non era il posto giusto in cui fermarsi. Fortunatamente si imbatte nella gentile Osomo, una giovane fornaia che in cambio di un aiuto nel suo negozio le offre un alloggio in cui abitare. Kiki può finalmente mettere a frutto l’unica arte magica che possiede, quella di saper volare sulla scopa, e apre una piccola attività di consegne volanti di pacchi.

Kiki comincia quindi ad inserirsi nel tessuto della cittadina e impara lentamente a distinguere il lato buono che in fondo c’è in tutte le persone. Durante questa sua lenta maturazione, Kiki è talvolta euforica e talvolta depressa con repentini sbalzi di umore, e ne fa le spese il povero Tombo, un ragazzo di città affascinato dal volo, suo coetaneo e suo primo vero amico, che non sempre riesce a capire il carattere difficile della ragazza.

Un giorno però accade un evento apparentemente inspiegabile: la capacità di volare che Kiki possedeva fin da bambina, sembra svanita. Kiki è disperata e solo allora comincia a rendersi conto di cosa veramente rappresenti l’anno di noviziato: riuscire a trasformare le proprie attitudini e il proprio talento di bambina nell’attività da svolgere da adulti. Qualora avesse fallito, lei non avrebbe avuto più alcun valore. Con l’aiuto di Ursula, una sua amica pittrice, capisce però che la perdita dell’ispirazione o la paura di non essere in grado di svolgere il proprio compito, è una cosa naturale e che solo riuscendo a superare questi momenti di sconforto si può crescere e maturare.

Improvvisamente per televisione viene trasmesso un servizio in diretta: un dirigibile ancorato presso la cittadina ha rotto gli ormeggi a causa del forte vento ed è in balia della tempesta. Kiki si rende conto che il suo amico Tombo era salito proprio su quel dirigibile ed ora era rimasto aggrappato ad una fune fuoribordo. Mentre il dirigibile viaggia senza controllo sui tetti della città, Kiki riesce a superare il blocco psicologico che non le permetteva più di volare e a cavallo di uno spazzolone finalmente si libra nell’aria per salvare il suo amico.

RECENSIONI

Pur non nascondendo mai la sua natura di opera minore nell’ambito del corpus miyazakiano, Kiki – Consegne a domicilio è quantomai indicativo per comprendere le tematiche fondanti della poetica dell’autore nipponico. È spesso dalle opere minori, inclini alle semplificazioni e talvolta allo stereotipo, che si coglie con maggiore esattezza l’essenza di un grande artista e dei suoi topoi: Kiki non fa eccezione in questo senso.
Nella parabola della streghetta dagli umili abiti rivive il consueto viaggio iniziatico di Miyazaki, spesso condotto tra i cieli (in precedenza ne Il castello nel cielo, mentre Porco rosso innalzerà ai massimi livelli il feeling eroico con l’aria) e spesso con una ragazzina come protagonista. Kiki raggiunge la fatidica età di passaggio, quella dei quattordici anni, per abbandonare la dimora natia e scoprire la vecchia Europa, ancora una volta coacervo ideale di stilemi miyazakiani. Modellata su Stoccolma e Lisbona, la città in cui Kiki approda a cavallo della sua scopa volante è il luogo dello smarrimento e dell’emancipazione, in cui l’eroina è da un lato costretta ben presto a una necessaria e dura introspezione, ma può anche sentirsi accettata nonostante la sua diversità; il luogo in cui, attraverso il duro lavoro, conquistare la propria matura autonomia.
Terzo film dello Studio Ghibli e primo successo commerciale – sarà ugualmente il primo ad essere doppiato e distribuito dalla Disney – diretto da Hayao Miyazaki, Kiki mostra il lato più verista del Miyazaki-pensiero, limitando la sfera del magico a un ruolo di contrappunto nel percorso di crescita, totalmente umano, della protagonista. La perdita dei poteri magici, che comporta passaggi anche narrativamente traumatici – Jiji, gatto nero parlante e inseparabile compagno di Kiki, ritorna a essere un gatto qualsiasi, privando il film di un elemento caratterizzante – è del tutto assimilabile, in tutt’altra epoca e contesto, a quella che colpisce in Spider-man 2 il supereroe della Marvel. Pubertà come chiusura di una breve epoca felice di magia e ingresso nel mondo, meno accattivante ma capace di gratificare concretamente, delle responsabilità e dell’autonomia.
Forse è proprio l’eccesso di chiarezza nei segni disseminati da Miyazaki il principale punctum dolens di Kiki – Consegne a domicilio, quello sfiorare l’apologo che ha reso il film un prodotto più esportabile di altre opere del sensei, ma lontano dai vertici – non a caso oscuri ed ermetici, quasi esoterici, nelle loro allegorie – de Il castello errante di Howl o La città incantata. Emanuele Sacchi MyMovie.it

 

Recensione
Piccole streghe crescono
Come ogni strega che si rispetti, compiuti i 13 anni Kiki è chiamata a lasciare la casa dei propri genitori per andarsi a cercare un paese a cui offrire i propri servizi magici. Impacciata e un po’ arruffona, Kiki, oltre che sulla sua forza di volontà e sul supporto del simpatico gatto nero Jiji, potrà contare solo sulla sua capacità di volare sulla scopa, arte magica basilare per tutte le altre streghe. Atterrerà in una città caotica in cui la tradizione stregonesca è molto meno conosciuta e rispettata, ma grazie al buon cuore di una panettiera riuscirà a trovare una stanza e ad aprire una piccola attività di svolazzanti consegne a domicilio. Si nasconde però dietro l’angolo lo spettro della solitudine, delle insicurezze nelle relazioni coi coetanei e, come loro conseguenza, l’indebolirsi dei suoi poteri di stregoneria.Un classico per tutti, ventiquattro anni dopo
Nei cinque anni che oramai ci separano dall’uscita di Ponyo sulla scogliera, a tutt’oggi ultimo film firmato da Hayao Miyazaki, la distribuzione italiana ha fatto ammenda e ha trovato modo di concedere una ritardataria fiducia ai capolavori dello Studio Ghibli, colpevolmente ignorati per decenni (per intendersi, il primo film di Miyazaki distribuito dalle sale italiane è stato, con “soli” tre anni di ritardo, La Principessa Mononoke nel 2000, a 16 anni di distanza da Nausicaa nella Valle del Vento, primo lungometraggio a se stante del grande animatore, che tuttora conta solo alcuni passaggi televisivi). Dopo i recuperi de Il mio vicino Totoro e Porco Rosso, Lucky Red tributa il meritato esordio in sala anche a questo film del 1989, tratto da una serie di racconti giapponesi per ragazze ma rivoluzionato in fase di sceneggiatura, guadagnando la consueta innervatura tematica dello Studio Ghibli, fatta di sognanti malinconie nei confronti del mondo rurale e degli elementi naturali, sofferti passaggi all’età adulta e una concezione sfumata e matura del fantastico, utilizzato per indagare gli aspetti intimi dell’esperienza umana e dell’adolescenza in particolare. Kiki, perfetto archetipo di protagonista Miyaziakiana, non dovrà combattere con nemesi o incarnazioni del male, ma più semplicemente con le complessità dell’autodeterminazione e dei rapporti tra esseri umani. I suoi poteri da strega rappresentano la sublimazione fantastica dell’eredità famigliare e delle capacità di cui ognuno dispone, strumenti che bisogna imparare a padroneggiare affacciandosi all’indipendenza, al lavoro e agli approcci con l’altro sesso. Il concetto di volo, unico talento magico e mezzo di sussistenza di Kiki, pervade tematicamente tutto il film e viene investito con naturalezza del valore di metafora dell’appropriarsi della fiducia in se stessi: anche il buffo ammiratore di Kiki ne conquisterà la fiducia per i suoi tentativi cocciuti e appassionati di librarsi in aria, in lotta coi propri sogni e la propria autodeterminazione proprio come la streghetta. Dopo quasi un quarto di secolo, Kiki – Consegne a Domicilio rivela una freschezza inattacabile sotto tutti i suoi aspetti: una trama che conserva la sua portata universale e la capacità di parlare a pubblici di ogni età; tempi comici e drammatici ancora perfettamente funzionanti e coinvolgenti; soprattuto, un tratto limpido ed essenziale che tiene testa anche in spettacolarità ai suoi attuali concorrenti 100% digitali, capace di generare magoni e incanti anche solo con il distendersi di panorami nostalgici, cittadine colorate, coste luccicanti, foreste brulicanti, cieli da attraversare in dirigibile. Li attraverserà nella scena finale anche Kiki, a bordo di uno scopettone, in una prova di amicizia e fiducia in se stessa che decreterà una volta per tutte la sua appartenenza alla città che ha scelto e al suo avvenire da strega. Insomma, Benedetto sia l’Oscar a La città incantata e tutto quello che ne è scaturito negli anni seguenti in termini di valorizzazione dei lavori dello Studio Ghibli. La scoperta tardiva da parte della distribuzione di un’opera semplice e magistrale è l’occasione di regalarci e di regalare ai più piccoli un’esperienza visiva ed emotiva che il passare del tempo sembravano averci negato. Alfonso Mastrantonio – del 24/04/2013
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KIKI Consegne a domicilio – Jiji, aiutante gatto

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KIKI Consegne a domicilio – Una nuova casa

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