Regia di Kore’eda Hirokazu. Titolo originale: Mostro
Giappone, 2023, durata 126 minuti. Età: dai 13 anni
TRAMA
Minato che ha 11 anni e vive con sua mamma vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un insegnante, così la madre si precipita a scuola per scoprire cosa sta succedendo. Ma la verità, come spesso accade nei film di Kore-eda, si rivelerà essere un’altra e i fatti sveleranno una profonda e toccante storia di amicizia.
RECENSIONE di STEFANO LO VERME movieplayer.it
Se soltanto alcuni possono averla, quella non è felicità: non ha senso. La felicità è qualcosa che chiunque può avere.
È con queste parole che Makiko Fushimi (Yuko Tanaka), direttrice di una scuola elementare, tenta di rassicurare Minato Mugino (Soya Kurokawa), l’alunno che le ha appena rivelato una parte del suo segreto. Il dialogo fra i due personaggi avviene in prossimità della conclusione de L’innocenza e rappresenta un momento in cui le barriere della prudenza e del sospetto vengono scavalcate dal bisogno di una condivisione autentica e sincera. E nel cinema di Hirokazu Koreeda, da sempre improntato a un profondo umanesimo, la connessione fra gli esseri umani costituisce un ingrediente fondamentale: la chiave di volta necessaria su cui sperare di erigere la propria felicità e quella altrui. La dicotomia tra la forza delle connessioni e il muro dei pregiudizi è dunque al centro del nuovo film del più celebrato regista giapponese della scena contemporanea.
Ma la condivisione e, di conseguenza, l’empatia sono obiettivi quanto mai difficili da raggiungere: non a caso l’intreccio de L’innocenza si sviluppa come un’ideale corsa a ostacoli tra fraintendimenti, menzogne e accuse, in cui spesso sembra che sia la società stessa a ingabbiare e reprimere gli istinti più genuini dei protagonisti. Un’impressione accentuata dalla peculiare struttura narrativa adottata da Hirokazu Koreeda, che per la prima volta dalla sua opera d’esordio (Maborosi, del 1995) sceglie di dirigere un copione firmato da un altro autore, Yuji Sakamoto, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2023. Lo script di Sakamoto, infatti, si ammanta a più riprese di un’aura di mistero, inducendo gli spettatori, così come i personaggi, a elaborare dubbi e ipotesi. Chi ha appiccato l’incendio mostrato nella scena d’apertura? Quali sono le ragioni del malessere dell’undicenne Minato? E perché il suo compagno di classe Yori Hoshikawa (Hinata Hiiragi) è convinto di essere un mostro?
Tre punti di vista sulla verità
Monster (Kaibutsu), del resto, è il titolo originale del film, in cui il concetto di ‘mostruosità’ si affaccia alla mente più volte, ma con sfumature via via differenti. Un potenziale atto mostruoso è alla radice delle angosce di Saori Mugino (Sakura Ando), giovane vedova e madre di Minato, che vede crescere le preoccupazioni per lo strano comportamento del figlio, fino a convincersi che a scuola gli sia accaduto qualcosa di terribile. Il primo segmento de L’innocenza aderisce completamente alla prospettiva di Saori, sconvolta dalle frasi deliranti di Minato (“Il mio cervello è stato scambiato con quello di un maiale”) e determinata a individuare il responsabile del suo disagio. E mentre l’istituzione scolastica si trincea dietro una cortesia di facciata, ad emergere è l’ambiguo ruolo svolto da un insegnante, Michitoshi Hori (Eita Nagayama), il quale pare aver colpito – per errore? – Minato, ma che imputa allo studente di essere un bullo a danno di Yori, bersaglio delle discriminazioni omofobe dei compagni.
Ma la verità, ci suggerisce Koreeda, è una faccenda molto più complicata di quanto appaia a prima vista. La diversa percezione di rapporti e sentimenti è un tema già esplorato in precedenza dal regista, a partire dal titolo emblematico del suo film francese del 2019, Le verità; e in questa occasione, Yuji Sakamoto costruisce la storia mediante tre capitoli che ripercorrono di volta in volta gli stessi eventi da tre punti di vista distinti: prima quello di Saori, poi del maestro Michitoshi e infine di Minato. Si tratta di un tòpos entrato nel codice genetico del cinema nipponico (e non solo) fin dai tempi dell’ormai mitico Rashomon di Akira Kurosawa: in questo caso, però, non si tratta di sottolineare l’inaffidabilità dei narratori, ma piuttosto di mettere in evidenza la parzialità inesorabile dello sguardo, e pertanto l’impossibilità di giungere a una piena comprensione del reale. Perlomeno, fin quando non si è disposti ad abbracciare anche le prospettive degli altri, ad accoglierne l’esperienza e a capirne le ragioni.
È quanto prova a fare Michitoshi, la cui visione ribalta quella di Saori: se per la madre Minato è la vittima, per Michitoshi al contrario il ragazzo è il bullo che si accanisce su Yori, la cui delicatezza lo rende inerme – ma forse anche immune – di fronte alle angherie dei coetanei (“Quando vieni attaccato, abbandoni tutta la tua forza e ti arrendi… non provi più niente”, afferma lo stesso Yori nella gara a indovinelli con Minato). Né Saori, né Michitoshi hanno un quadro completo della realtà, ma Hirokazu Koreeda evita di giudicare – e tantomeno condannare – i propri personaggi, motivati da nobili intenzioni. La ‘mostruosità’, semmai, è negli occhi di chi non riesce a provare amore né empatia, come il padre di Yori, Kiyotaka (Shido Nakamura), che a proposito del figlio sostiene: “Lui è un mostro. Il suo cervello non è un cervello umano, è il cervello di un maiale”. Nel titolo italiano, l’attenzione si sposta invece sulla purezza dei più piccoli, immersi in un microcosmo in cui faticano ad accettare davvero se stessi e il proprio universo emotivo.
E i due giovanissimi co-protagonisti, Soya Kurokawa e Hinata Hiiragi, lasciano meravigliati per la spontaneità e l’intensità con cui prestano volto e voce ai turbamenti di Minato e Yori: il primo con un’inquietudine in cui si mescolano rabbia e paura, il secondo con la granitica dolcezza che manifesta in ogni situazione. Nell’ultimo segmento de L’innocenza, lo sguardo di Minato non soltanto aggiunge i tasselli mancanti al nostro mosaico, ma carica il racconto di nuove sfumature: dall’incertezza insita nell’abbandono dell’infanzia per fare ingresso nell’adolescenza all’avventuroso romanticismo della foresta che lui e Yori trasformano in uno spazio privato e ‘magico’. Uno spazio in cui pensieri e sentimenti possono esprimersi in piena libertà, al riparo dalle pressioni e dai soprusi del mondo degli adulti, e in cui a una furiosa notte di tempesta può far seguito al mattino un’esplosione di gioia e di rinascita.
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Un gioco innocente