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Sister (Meier 2012)

sister-lea-seydoux-e-kacey-mottet-klein-sono-fratello-e-sorella-in-una-scena-del-film-237417Sister

Regista: Ursula Meier

Anteprima nazionale: 13 febbraio 2012

Durata: 100 minuti

Musica: John Parish

Cast: Léa Seydoux, Gillian Anderson, Martin Compston, Jean-François Stévenin, Altro

Sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud,Gilles Taurand

Trama

Il dodicenne Simon e sua sorella Louise vivono in Svizzera nelle case popolari del cantone Vallese, sulle Alpi. Simon, il bambino, mantiene entrambi rubando sci e attrezzatura sportiva ai ricchi sciatori in vacanza per poi rivenderli.

Simon sembra così riuscire a legare a sé la sorella inaffidabile e sempre pronta a trascurarlo per l’uomo di turno, ma proprio davanti a uno di questi il bambino farà la rivelazione capace di sconvolgere ulteriormente il debole equilibrio familiare e di spezzare la trama del film in due.

Si scopre infatti che Louise è in realtà la madre del ragazzino e che tutta la sua insofferenza nell’essere madre non viene celata a Simon, costretto ad accontentarsi di un amore fraterno da parte di una mamma che si fa chiamare “sister”.

Tuttavia nella solitudine più disperata di questa valle Simon e Louise, pur faticando a trovare un punto di contatto meno squallido di quello dei soldi, non possono fare a meno uno dell’altra come è evidente dallo sguardo che i due, cercandosi, si scambiano dalle cabine della funivia che vanno in direzioni opposte nella bellissima scena finale.

Recensione 

 

Il cinema ha spesso raccontato storie di giovani e giovanissimi ladri, di bambini e ragazzini che vivono ai margini della società procurandosi come possono il necessario non solo per sopperire ai propri bisogni materiali, ma anche per esigenze solo apparentemente meno tangibili. Se è vero, infatti, che dietro la concretezza di ogni nostra azione, di ogni nostro gesto, si nasconde un universo simbolico fatto di desideri, tabù, sogni e trasgressioni, per un bambino o un adolescente forse questo è ancora più vero e offre la possibilità di analizzare la semplice linea degli eventi che scorrono sullo schermo all’interno di un orizzonte di senso più complesso e articolato. Sister, della giovane cineasta franco-elvetica Ursula Meier(qui alla sua seconda prova nel lungometraggio), non viene meno a questo schema, anzi lo rende quanto mai esplicito, raccontando le vicende del dodicenne Simon e della sua consanguinea Louise poco più che adolescente, residenti in una località svizzera ai piedi di una stazione sciistica meta di turisti in cerca di piste innevate e lussuosi resort. Simon è un intruso in questo mondo dorato, dato che vive a fondovalle, in un piccolo appartamento di un condominio popolare (il cui squallore è reso ancor più evidente dal contrasto con il panorama circostante, costellato di boschi lussureggianti e cime innevate), ma si muove con estrema sicurezza, confondendosi con i turisti che ogni giorno in funivia raggiungono le piste per sciare. Nel corso delle sue ascensioni, infatti, il protagonista svaligia gli zaini lasciati incustoditi dai villeggianti, impossessandosi di ogni accessorio che in seguito rivende a prezzi stracciati ai meno fortunati valligiani. Louise, che, vista la maggiore età, dovrebbe essere per Simon una figura protettiva e accudente, invece vive alle sue spalle, confidando sull’abilità del ragazzino nel furto e sui ricavi che riesce a trarre da questa attività illecita. Ma c’è di più: Simon a volte è costretto a contrattare con la ragazza – una figura misteriosa che spesso si eclissa per giorni senza dare notizie, persa dietro improbabili avventure amorose – per ottenere, in cambio di soldi, un po’ di calore umano (poter dormire con lei, ottenere qualche carezza, qualche parola affettuosa) che per lui, poco più che bambino, rappresenta un bisogno emotivo irrinunciabile ma che lei, non ancora adulta, non riesce a dargli incondizionatamente. Anche i sentimenti, dunque, per Simon sono monetizzabili, riconducibili a un controvalore economico al pari di ogni altra merce o oggetto, né più né meno che per un adulto che cerchi conforto alla propria solitudine in un rapporto a pagamento. Se, dunque, come si diceva in apertura, nel furto compiuto da un bambino è possibile rintracciare il desiderio di risarcire un universo affettivo limitato, il bisogno di segnalare una condizione di disagio, nel caso di Simon costituisce l’unico mezzo concreto per ottenere ciò che gli manca, all’interno di un contesto nel quale tutto può diventare oggetto di scambio. È solo verso la metà del film che la Meier rivela quale oscuro segreto familiare grava sui due protagonisti, la ragione della loro affettività distorta, attuando un capovolgimento repentino del punto di vista dello spettatore sulla vicenda e una ridistribuzione dei ruoli (già abbastanza confusi) tra i personaggi che, tuttavia, non produce catarsi e non risarcisce dell’angoscia suscitata dal rapporto disfunzionale di Simon e Louise. Disagio sociale, familiare e affettivo trovano nella figura del protagonista e in quella di Louise, nella strana famiglia da essi formata, una sintesi di straordinaria efficacia: la loro è una condizione in cui l’abbandono da parte dei servizi sociali è reso ancora più evidente dall’isolamento dei luoghi in cui è ambientata la vicenda (eppure siamo nella civilissima Svizzera) e dal contrasto con l’atmosfera svagata e vacanziera della stazione sciistica che li sovrasta. Appeso a un filo, quello della funivia che copre la distanza e il dislivello (non soltanto fisico ma anche sociale) tra le due location del film, Simon percorre uno spazio soprattutto simbolico, sospeso tra due dimensioni. La prima, a cui forse ambisce di appartenere (anche se dichiara di non saper sciare e di non voler neanche imparare), è un universo alle spalle del quale vive, che lo respinge ed emargina socialmente ma grazie al quale sopperisce ai propri bisogni, un non luogo che si riempie e si svuota di presenze a seconda della stagione e dei capricci del tempo meteorologico. La seconda è un mondo all’interno del quale Simon si è ricavato una propria nicchia, il piccolo appartamento spoglio e disordinato (in fondo, un altro non luogo), specchio della disfunzionalità del nucleo familiare al quale appartiene, un rifugio nel quale, tuttavia, non trova spazio quell’affettività e quell’accoglienza di cui avrebbe bisogno. È proprio all’interno di quella funivia sospesa tra questi due non luoghi, quella dimensione a metà strada tra terra e cielo, che il film si conclude con un’inquadratura formidabile, capace di far incrociare gli sguardi dei due protagonisti, consci di non poter fare a meno, malgrado tutto, l’uno dell’altro, e lasciare il finale aperto alla speranza in un futuro forse più sereno. Sister, che alla scorsa edizione del Festival di Berlino ha ottenuto una menzione speciale della giuria, colloca la Meier dalle parti dei fratelli Dardenne, per i profondi risvolti sociali della vicenda narrata e, allo stesso tempo, per la capacità di non concedere nulla a quell’ansia dimostrativa che spesso affligge i film d’autore cosiddetti impegnati. Questo rigore, ovviamente, non contraddice lo spirito di denuncia insito nel racconto, ma filtra il tutto attraverso il ritratto sensibile di due giovani esistenze allo sbando, la descrizione del loro rapporto conflittuale ma umanissimo, il loro legame ambiguo eppure necessario. A far da contorno ai due protagonisti un microcosmo inedito, il dietro le quinte delle settimane bianche di tante famiglie più o meno abbienti, popolato di addetti alle funivie, inservienti, camerieri e cuochi: vite precarie, esistenze stagionali costrette a migrare inseguendo la neve e i suoi appassionati, il volto reale che si cela dietro un manto nevoso candido in superficie ma che nasconde una realtà sociale come tante altre. Il rigore della Meier si riflette, allo stesso modo, nel suo sguardo sul paesaggio: la regista non concede enfasi agli splendidi panorami alpini che circondano la stazione sciistica, restringendo il campo a una descrizione minuta delle azioni di Simon e ai luoghi nei quali compie i furti (spogliatoi, bagni, vestiboli, luoghi di transito, di passaggio, ancora non-luoghi, simbolo di un’esistenza ai margini), mentre a dominare sono gli inediti scorci di un fondovalle anonimo e desolato, non molto diverso dalle periferie di tante metropoli.

Fabrizio Colamartino  minori.it

video

 

 

Trailer

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La tenerezza e la paura. Ascoltare i sentimenti dei bambini.(Bernardi-Tromellini 2004)

la-tenerezza-e-la-paura_31288La tenerezza e la paura. Ascoltare i sentimenti dei bambini

Bernardi Marcello – Tromellini Pina

Prezzo € 9,00

EditoreTEA

Anno pubblicazione2004

Numero pagine150

«Questo libro è nato dalla condivisione di un’unica concezione del bambino, del suo mondo e del suo futuro. Un bambino libero, potente, costruttore che ha tante cose da dire e da insegnare anche ai grandi. Un bambino affascinante che, a sua volta, può essere affascinato o spento dal contesto in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di nascere.»

Due guide d’eccezione – Marcello Bernardi, il grande pediatra italiano recentemente scomparso, e Pina Tromellini, pedagogista nelle scuole materne di Reggio Emilia – hanno raccolto, interpretato e commentato i pensieri e i sentimenti dei bambini sulla base delle proprie differenti esperienze professionali. Senza essere un vero e proprio manuale, ma piuttosto una lunga conversazione, questo libro ci suggerisce cosa e come fare per entrare nel meraviglioso mondo dell’infanzia: fermarsi un istante, partire dalle esperienze di tutti i giorni e ascoltare le voci dei bambini.

Marcello Bernardi, scomparso nel 2000, fu professore di Puericultura all’Università di Pavia e di Auxologia all’Università di Brescia, e inoltre, presidente del Centro Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale Italiano.

Pina Tromellini, pedagogista e specialista in terapia familiare e infantile, ha lavorato a lungo nell’équipe del professor Loris Malaguzzi. Da oltre vent’anni inoltre opera presso le strutture pubbliche per l’infanzia di Reggio Emilia. È consulente di case editrici e riviste specializzate.

Home (Meier 2008)

 000dfa8f_mediumTitolo originale HOME

Produzione Francia, Svizzera, Belgio

Anno 2008

Durata 98 min

Genere commedia drammatica

Regia Ursula Meier

 

 

Trama

La vita di una famiglia, composta da madre, padre e tre figli, scorre tranquilla e allegra nella loro isolata casa di campagna, situata a pochi metri da un’autostrada mai terminata. Ma la loro quiete viene interrotta da una notizia che speravano non dovesse mai arrivare: la strada verrà ultimata ed aperta al traffico in brevissimo tempo. Ciò accade e in pochi giorni l’autostrada viene invasa da migliaia di automobili. È la fine della serenità di questa famiglia; la confusione e il frastuono provocano il caos all’interno della loro casa, portando Marthe, la madre, ad un esaurimento nervoso, mentre Judith, la figlia più grande, fugge di casa. Il clima familiare si fa soffocante e Michel, il padre, decide di assecondare la moglie e tutti insieme prendono una decisione drastica e al tempo stesso suicida: barricarsi in casa, murando porte e finestre e isolandosi di fatto dal mondo. Ma proprio quando sembra che la situazioni diventi una tragedia e la famiglia sia condannata a morte per asfissia, è proprio la madre che abbatte una delle porte e permette all’aria di entrare. Tutta la famiglia, senza uno scopo, si allontana a piedi dalla casa, seguendo il sole.

 Recensione

Marthe, Michel e i loro tre figli vivono isolati lungo un’autostrada costruita da anni e mai inaugurata. Quel tratto d’asfalto è dunque parte del prato davanti a casa, o meglio ancora, parte di un gioco. Quando però l’autostrada viene messa in funzione e migliaia di macchine iniziano a sfrecciare, la famiglia attraversa impensate difficoltà ma alla fine scopre la solidarietà e l’amore al di sopra di tutto. Eccentrico e tenero, graffiante e a tratti esilarante,Home si candida come una delle commedie più originali dell’anno, grazie alle avventure di una famiglia bizzarra a cui è impossibile non affezionarsi. Accolto con entusiasmo all’ultimo Festival di Cannes, il film ha per protagonista una straordinaria Isabelle Huppert.La piccola casa nella prateria contro la volgare strada che sparge rumore e inquinamento: la metafora sembra chiara e il confronto manicheo, ma la posta in gioco di Home è ben altra. La lotta che si vede nel film è tutta interiore. Perché il fiume di macchine va soprattutto a incrinare l’equilibrio di questa famiglia, gettandola in una trincea estrema. Incapaci di rinunciare alla loro isola, i vari componenti della famiglia entrano in crisi e abbandonano il buon senso fino a perdere la ragione. La sceneggiatura si sposa perfettamente con la recitazione, la camera a spalla e il montaggio tagliente delle prime sequenze vengono poi sostituite con una realizzazione più statica e contenuta: scelte perfettamente adeguate al cambiare delle atmosfere e dei contenuti.

La scelta dei piani, come delle stesse immagini tendono a delineare l’isolamento dei personaggi. Anche la fotografia mostra questo scendere agli inferi dei vari membri della famiglia: i colori caldi iniziali vengono via via sostituiti dall’oscurità e da colori freddi.
Anche i rumori, il rumore dei motori e delle radio in lontananza sono solo l’eco di un mondo esterno vissuto come pericoloso.

Un film che ha come sua centrale caratteristica la mescolanza di toni (oltre che, come si è detto di colori e di suoni): momenti di dramma e di comicità di alternano con perfetta armonia compositiva così da dare allo spettatore un messaggio molto forte e chiaro sui contenuti autentici del film.

La critica francese

Thierry Méranger – Cahiers di Cinéma

«Se di favola si tratta, il suo contenuto non è così semplice. Nel film di Ursula Meier non c’è traccia di paradisi perduti o parabole ecologiste. Qualche scena d’interni, come quella della sala da bagno, è rivelatrice. Il luogo è decisivo, poiché mostra insieme l’apparente libertà dei corpi e la vertigine del soffocamento. La nudità originaria, infatti, non può essere accettata da tutti. La giovane Marion, coscienza pudica e sofferente della famiglia, non riesce ad adattarsi alla promiscuità dei corpi. Ed è così che dal frutto nasce il verme: la rinascita del traffico sull’autostrada non farà altro che svelare il carattere disfunzionale, i disaccordi e gli squilibri del sistema famigliare originale, mostrandone l’utopia e il pericolo mortale insito nella sua inscindibilità.
Ci si accorge, allora, che la figlia grande, Judith, egoista e fuori di testa, all’improvviso è uscita dal gruppo. Che la nevrosi materna e la devozione paterna – l’uomo non smette mai di alimentare la follia della moglie – costituiscono il collante dell’unità famigliare. Splendida e inquietante la complementarietà della Huppert e di Gourmet, rispettivamente musa e artefice di un ideale da incubo che fa scivolare il film da Tati verso Haneke. (…)
La sindrone buñueliana dell’angelo sterminatore, tipica della regista, si ritrova anche in Home, attraverso la dissezione dell’amour fou e la costante trasgressione della nozione di genere. Road movie dell’impasse, Shining del terzo tipo, Trafic* del settimo continente. Ci si rammenta anche che la meravigliosa Ursula ha di recente dato vita a un ritratto di Pinget, “re della contraddizione”. E tira fuori il meglio proprio dalle crepe di una sceneggiatura che ha il suo punto di forza nel fatto di non raccontare tutto».

Le Monde

«Sono rari i film capaci di tirare le fila di un intreccio imprevedibile. Il primo lungometraggio di Ursula Meier, una volta assistente di Alain Tanner, è al tempo stesso drammatico e burlesco, satirico e fantastico. Questa favola è immersa in un’estetica iperrealista che ricorda le pubblicità americane dedicate a glorificare gli elettrodomestici. (…)
Home segue il processo infernale di una famiglia che, nel voler coltivare la propria felicità marginale, non solo è braccata dai peggiori aspetti della civilizzazione (calca, mancanza di privacy, frastuono, inquinamento) ma si ritrova letteralmente imprigionata. Poiché la vita quotidiana di questi falsi Robinson diventa un incubo, i problemi nascosti della famiglia vengono a galla, e il film diventa la storia di una resistenza suicida. Non ci si comprende più, si dorme tutti nella stessa stanza che dà sul giardino, imbottiti di sonniferi, con le finestre sbarrate. Fino al soffocamento».

Di Grazia Casagrande wuz.it

Trailer

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MAMME ACROBATE (ELENA ROSCI 2007)

 

 

Autore: ELENA ROSCI

Titolo: MAMME ACROBATE

Editore: RIZZOLI

 

 

 

 

 

DALLA PREFAZIONE

Credo che i genitori di oggi amino più che mai i loro figli: li desiderano, ne limitano il numero per non privarli di nulla e, per quanto è possibile, li seguono personalmente preoccupandosi del presente e del futuro. Spesso però, di fronte a scelte, problemi e conflitti non sanno come comportarsi e si sentono spaesati e frastornati.  (Silvia Vegetti Finzi)

 

INTRODUZIONE

Le mamme di oggi vivono in bilico tra passato e futuro, tra figli e lavoro, tra realizzazione degli altri e realizzazione di sé. Lasciata alle spalle la sicurezza della famiglia tradizionale, le mamme acrobate vivono nell’incertezza: di valori, di ruoli, di identità. In questo loro viaggio creativo, riconoscono le loro contraddizioni, rinunciano all’onnipotenza e, soprattutto, accettano l’ambivalenza dei sentimenti. Non è facile rimettersi sempre in gioco, ma è proprio nel continuo domandare senza aspettarsi risposte che trovano la loro forza, anche quella di ritentare dopo aver sbagliato. Alla fine, ciò che le accomuna è la ricerca, l’aspirazione a un equilibrio che si conquista soltanto rischiando la propria fantasia, i propri sogni, la propria fragilità.

AUTRICE

ELENA ROSCI, psicoterapeuta, vive a Milano. Lavora all’Istituto Minotauro dove coordina l’équipe di psicologia femminile e insegna Psicologia della Coppia e della Famiglia presso la scuola di specializzazione in psicoterapia. Collabora con la Casa della Cultura. Ha pubblicato saggi sul femminile e l’adolescenza fra i quali: La seconda nascita (Unicopli 1990) con Gustavo Pietropolli Charmet, Io tu tutti (Archimede 1996) con Simona Rivolta. Ha curato due testi collettivi per Franco Angeli: Sedici anni più o meno (2000) e Fare male, farsi male (2003). elenarosci@alice.it

L’AMORE IMPERFETTO. Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo ( Attili 2012)

G. ATTILI

L’amore imperfetto

Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo

pp. 224, € 14,00

978-88-15-23992-1
anno di pubblicazione 2012

Scrisse Tolstoj che “tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.” E le famiglie disfunzionali sono stato oggetto di molte narrazioni, dai film ai romanzi, e a partire da questi, oltre che dalla cronaca, la psicologa  Grazia Attili nel suo libro cerca di capire come sia complesso, e spesso ambivalente, l’amore dei genitori verso i propri figli.

  • quarta di copertina

Dal padre padrone al padre «mammo», dalla madre iperprotettiva alla madre assassina

Madri accoglienti o intrusive, distanti o iperprotettive, madri fredde o incoraggianti, madri che sbagliano: amor di madre o «mal di madre»? Le madri possono essere molto diverse da come ce le aspetteremmo: possono assicurare il benessere psicologico dei figli ma anche arrecare loro gravi danni psicologici, o addirittura essere così violente da ucciderli. Come mai? E i padri? Padri autorevoli, autoritari, assenti, padri «mammo». Quanto è cambiato questo ruolo nel corso della storia? E come mai è così diverso da quello materno? Due storie parallele nella loro complessità che l’autrice scandaglia a partire da fattori evoluzionistici che ci fanno capire cosa può rendere ambivalente l’amore dei genitori. Tra letteratura, cinema, mitologia e cronaca, ancora una volta le vicende storiche e culturali affondano nella biologia.

Grazia Attili, psicologa evoluzionista, insegna Psicologia sociale nella Sapienza – Università di Roma. Tra i suoi volumi «Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente» (Cortina, 2004); con il Mulino «Attaccamento e amore» (2004) e «Psicologia sociale» (2011).

Immagini della persona (M. Conte 2009)

IMMAGINI DELLA PERSONA

Adolescenti, TV, educazione

a cura di Mino Conte

ed Carocci

 

 

 

 

Se i nostri adolescenti vedono così tanta televisione vuol dire che hanno tempo di vederla, che hanno tanto tempo vuoto in cui hanno poche occasioni di fare esperienze di relazione concreta e che la vedono da soli anche se probabilmente i genitori sono in casa, che questo mondo vitale spesso è povero di relazioni, offre solitudine piuttosto che contatto, calore, scambio, anche quando tutti sono in casa.”

Quarta di copertina

Nonostante la progressiva affermazione dei nuovi media, la TV rimane per gli adolescenti un’abitudine quotidiana. Il volume affronta il problema dell’impatto educativo che l’immagine di persona veicolata dal mezzo televisivo esercita sulla fascia d’età compresa tra i 14 e i 19 anni, in termini di modellizzazione imitativa e formazione di attitudini, comportamenti personali e di relazione, scelte e valutazioni preferenziali, criteri di significatività e di verità. Le tele-persone fanno parte del più vasto ambiente educativo e di apprendimento entro cui i giovani progressivamente strutturano la loro identità personale e sociale. La comprensione del profilo antropologico implicato nella programmazione televisiva, lo smontaggio critico del suo dispositivo, la valutazione pedagogica conseguente e l’indicazione di un modello educativo possibile costituiscono le finalità della ricerca qui presentata.

 

Dieci domande per guardare la TV con occhi diversi,  A seguito della pubblicazione del volume “Immagini della Persona. Adolescenti, Tv, Educazione” (Carocci 2009) curato dal Professor Mino Conte per conto della Fondazione Girolamo Bortignon per l’educazione e la scuola, abbiamo chiesto ad alcuni alunni che frequentano la scuola secondaria di primo e secondo grado quali provocazioni potrebbe lanciare loro la TV se, ipoteticamente, potesse parlare.

Ne sono uscite 10 domande (alcune fanno riferimento a note teorie sulla comunicazione televisiva) che abbiamo chiesto di illustrare al disegnatore Ugo D’Orazio.

Adatto a riunioni, incontri, focus group, confronti il sussidio si presta sia per avviare la discussione in gruppi di genitori e formatori, sia per essere utilizzato per interrogare i ragazzi stessi su uso ed impatto della tv nella loro vita.

Dieci domande per guardare la TV con occhi diversi

 

Indice libro

Presentazione
Parte prima
La ricerca come interpretazione
1. I perché: ragioni, finalità, struttura di Mino Conte
Il percorso e le sue fasi
2. Le conoscenze: panorama scientifico e criticità ricorrenti di Mino Conte
Televisione e violenza/Televisione, pubblicità e iniziazione alle condotte a
rischio/La televisione nella ricerca italiana
3. La tele-persona: messaggio antropologico ed emergenza educativa di Mino Conte
Premessa/Il profilo antropologico della persona tele-trasmessa
4. I risultati di Marco Ius, Simone Visentin, Elena Pegoraro e Sara
Serbati
A loro la tastiera: il questionario on line e l’indagine quantitativa/A loro la parola: i focus group e l’indagine qualitativa
Parte seconda
L’interpretazione come ricerca
5. Una lettura pedagogica per insegnanti ed educatori di Diega Orlando Cian
La partecipazione della scuola e delle associazioni educative/Interpretare pedagogicamente la ricerca: i dati/L’immagine della persona nelle espressioni libere dei ragazzi/Cenni conclusivi
6. Se questo è l’uomo. Per una critica della ragione televisivadi Mino Conte
Il fantasma/Il mito della mia caverna: retoriche della rappresentazione e determinismo visuale/Segnavia educativo
7. La famiglia sullo schermo. Il discorso degli screen- agers sulle immagini di famiglia trasmesse in TV di Paola Milani
Un gioco di specchi/Cosa vedono i ragazzi della famiglia in TV?/Cosa può fare la famiglia per educare i ragazzi alla televisione?
8. Non omologabli. Media e dimensioni escludenti di Roberta Caldin
La televisione: un medium pesante/L’estetica, l’apparenza, l’effimero/Lo strano caso del Dr. House/I non-contesti, l’eccezionalità e l’a-storicità/Alcune prospettive educative
9. Il ruolo dell’educatore nei focus group di Luca Sambugaro
Il focus group/Il focus group come esperienza educativa/Il primo approccio con i ragazzi in classe/Gli scambi comunicativi, il linguaggio e il contenuto delle riflessioni/La persona “vera” e la persona “falsa”
10. La TV nel sistema dei nuovi media: comunicare con i giovani oggi di Marco Sanavio
C’era una volta Pollicino…/L’orco che mangia i bambini/Gli stivali delle sette leghe/La coda lunga/La musica da portare in tasca/La TV dei ragazzi/La media education e i new media/La new media education/Il Web 2.0/Da www a ggg/La convergenza digitale/Gli scenari futuri
Appendice
Questionario on line “Giovani e TV”
Bibliografia di Mino Conte

COME EDUCARE IL TUO PAPÀ (Alain Le Saux)

COME EDUCARE IL TUO PAPÀ

Autore: Alain Le Saux  Casa editrice:Editrice Il Castoro 2005  Pagg: 72 Dimensioni: 25,5×21,5 cm

 RECENSIONE

Come educare il tuo pa è una vera e propria guida all’educazione dei papà condotta da uno spigliato bambino che segue i più solidi principi educativi. Il libro, davvero molto divertente, si basa sul capovolgimento di ruoli che vede il bambino trasformarsi in “papà” e il papà trasformarsi in “bambino”. Il presupposto di partenza è che, avendo a disposizione un solo papà, e posto che nessuno è perfetto, diventa necessario imparare tutti i modi per educarlo, perché un papà ben educato è un papà senza problemi! Il ribaltamento dei ruoli che sta alla base del libro e della sua comicità è un modo originale e divertente per affrontare il tema dei rapporti padre e figlio, che può essere utile come “specchio” ironico al padre, ai figli (di tutte le età!), ma anche alle mamme e ai futuri genitori. Lo stile inconfondibile di Alain Le Saux nasce dalla sua rara capacità di conciliare un tratto semplice e diretto con un acuto spirito di osservazione in grado di cogliere rapidamente le espressioni dei visi e i comportamenti e di trasformare le proporzioni e i rapporti tra le figure nello spazio (il bambino molto piccolo che “sgrida” il papà molto grande). Ne nasce un libro divertente, grottesco, ma anche tenero e affettuoso, accattivante per i bambini, che una volta tanto si sentiranno più responsabili e saggi dei papà, e per gli adulti che ne apprezzeranno pienamente la portata ironica.

Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro (Anna Oliverio Ferraris )

Anna Oliverio Ferraris

Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro

Raffaello Cortina, Milano 1997

 

 

 

 

Recensione

Sempre più spesso i figli si trovano a dover accogliere il nuovo partner del papà o della mamma che, separati, hanno deciso di rifarsi una vita. Questa “new entry” non è facile, ma con il tempo e la giusta sensibilità il rapporto tra il co-genitore (o terzo genitore) e i figli nati dalla precedente unione può diventare costruttivo e ricco di affetto e condivisione.

Sono tante le coppie celebri atipiche o allargate, nelle quali i partner sono subentrati nella vita familiare condividendo anche i figli di altri. Basti pensare ad Alessia Marcuzzi e Francesco Fachinetti, che hanno avuto da poco una bambina, ma la conduttrice ha un altro figlio, Tommaso, avuto dalla relazione con il calciatore Filippo Inzaghi. La coppia di attori Stefano Accorsi e Laetitia Casta, o ancora Claudio Amendola, Diego Abatantuono, Nancy Brilli, sono tutti personaggi famosi che hanno in comune una separazione, una nuova famiglia e figli da dover condividere con il partner. Certo, si tratta di un modello di famiglia elastica, che può essere sana e affettuosa, ma che può anche rivelarsi fonte di conflitti pesanti.

 

Una famiglia allargata deve stabilire al proprio interno delle regole dettate principalmente dal buon senso. Il co-genitore non ha affatto un ruolo facile, e soprattutto all’inizio rischia di fare troppo o troppo poco, sconfinando talvolta nel campo del genitore biologico, che invece non andrebbe toccato. Bisogna invece essere abili a ritagliarsi un ruolo equilibrato e preciso rispetto ai figli del partner, senza però sostituirsi al genitore biologico. E’ importante costruire un rapporto sincero, diretto, adulto, di rispetto reciproco. E’ necessario dare il tempo ai figli di capire e accettare questa nuova figura accanto al genitore, ed il nuovo arrivato deve tenere conto che la rottura tra i genitori può rappresentare un trauma difficile da superare, per un figlio.

Una buona regola è mettersi nei panni dei figli, cercare di guardare le cose dal loro punto di vista. La prima cosa che un co-genitore dovrebbe fare è conoscere bene i figli, evitando di formulare giudizi su come sono e come si comportano, ma soprattutto sulle regole di educazione impartite dal genitore biologico. Il passato familiare e la storia vissuta dai figli vanno rispettati senza essere mai giudicati, e anzi il rapporto con entrambi i genitori va stimolato anche dal co-genitore. Questo evita l’insorgere di eventuali conflitti. Per il bene dei figli e la loro crescita sana e serena dal punto di vista psicologico bisogna ridurre al minimo i contrasti e non entrare in competizione con il genitore naturale. Queste dinamiche non fanno bene neppure al rapporto di coppia.

In Francia, dove il fenomeno delle famiglie allargate è in crescita, si sta pensando ad una legge che disciplini lo status giuridico di co-genitore (anche nel caso di coppie omosessuali con figli). In Italia siamo ben lungi dall’attribuire uno status giuridico al “terzo genitore”, poiché il nostro ordinamento giuridico fa sempre e solo riferimento all’altro genitore biologico.

http://notizie.guidaconsumatore.com/009895_terzo-genitore-quando-la-famiglia-e-allargata

INTRODUZIONE (dal sito olivero.eu)

“Ma come! tuo padre non viene in vacanza con te?!” “No, viene, ma può fermarsi soltanto due giorni. E’ molto impegnato, lavora, lui…”

Il patrigno di Marica diventa rosso per la collera ma Sandra, prevenendo una bufera, allunga la mano e gli stringe il polso: “Marica, perché non vai a finire i compiti?” suggerisce per cercare di interrompere sul nascere un diverbio in cui la figlia, come spesso avviene, rinfaccerebbe al patrigno di vive- re sugli alimenti che il proprio padre passa alla moglie e a lei.

Dinamiche come questa sono frequenti tra le.figlie adolescenti e il partner della moglie, compagno o nuovo marito che sia. Spesso una bambina può accettare la presenza di un nuovo uomo quando è piccola, ma altrettanto spesso con l’adolescenza i rapporti possono divenire tesi e cancellare un periodo di convivenza che sembrava procedere con una certa tranquillità. Il caso di Marica, come quello di altri bambini, adolescenti e adulti che devono trovare una nuova collocazione nell’ambito di una famiglia mista – composta cioè da un genitore biologico e dal suo nuovo partner eventualmente con i suoi figli -, è uno dei tanti casi che si affacciano sulla scena delle nuove famiglie, sempre più frequenti al giorno d’oggi, da quando cioè la società ha accettato un’evoluzione dei legami familiari.

Sino a qualche decennio fa, infatti, la famiglia, unita o disgregata che fosse, legata da vincoli affettivi o lacerata da dissidi e confronti anche violenti, continuava comunque a resta- re ‘integra” negli anni: non era soltanto la mancanza del divorzio a “tenere unite” le famiglie, ma anche una tradizione culturale che si è consolidata nell’Ottocento; tradizione che considerava la famiglia come una istituzione che non poteva essere sciolta che dall’eventuale morte di uno dei genitori.

In passato era soltanto la vedovanza che, salvo rare eccezioni, consentiva di portare dentro casa un altro partner e di far sì che figli e figliastri potessero convivere. Dal passato derivano anche stereotipi come quello di patrigno e matrigna ve- nati di connotazioni negative. Oggi invece le separazioni e i divorzi, nonché le unioni senza matrimonio, portano di frequente a nuove famiglie, famiglie miste appunto, in cui un partner non deve soltanto confrontarsi con il compagno o la compagna che ha scelto ma anche con i suoi figli e con una lunga storia precedente: una serie di memorie, regole non scritte, dinamiche consolidate e stereotipie, che identificano un nucleo familiare anche quando da esso si è sottratto o è stato espulso un genitore, madre o padre che sia. Sono queste memorie del passato – che costituiscono non soltanto l’identità della famiglia ma l’identità stessa dei figli – a rappresenta- re una ragnatela in cui il nuovo partner può impigliarsi se pro- cede troppo rapidamente, se prova a tendere a sua volta una nuova ragnatela…

Il problema è che le dinamiche emotive e istintuali delle singole persone, nonché gli stereotipi culturali, entrano facilmente in opposizione con le dinamiche di un gruppo preesistente: il nuovo partner si sente quasi chiamato a imporre un suo ruolo “tipico”, quello di madre o di padre, a dettare regole, a proteggere, a ricostituire insomma quella che è in genere l’essenza della famiglia nucleare. In qualche modo egli cade nella trappola del suo passato, cercando cioè di ricreare ciò che gli è noto o che si aspetta debba essere una famiglia. Tuttavia è impossibile cercare di sostituire la nuova realtà alla precedente, ignorare il passato, trasformare la famiglia mista in una nuova famiglia nucleare.

Questo libro affronta le nuove realtà con particolare attenzione al terzo genitore, che è la cartina di tornasole di una complessa chimica familiare, il punto di incontro e di scontro di forze diverse. Le emozioni e le “regole” delle famiglie miste possono essere infatti considerate da varie angolature: da quella dei figli con le loro necessità, da quella del partner con l’affetto che lo lega ai propri figli e le dinamiche spesso ancora aperte che lo legano al partner precedente, da quella del terzo genitore con le sue aspettative, le sue difficoltà, i suoi senti- menti di solitudine nel sentirsi talora emarginato da rapporti affettivi in cui non gli è consentito entrare.

I vari capitoli del libro considerano le differenze che esisto- no tra le vecchie e le nuove famiglie, le necessità dei figli, il ruolo dei “terzi genitori”, dell’uno e dell’altro sesso. Una serie di storie familiari, casi di usuale quotidianità, indicano come siano complesse e caleidoscopiche le dinamiche delle famiglie miste: non esistono infatti semplici regole o suggerimenti per far funzionare queste nuove realtà, tuttavia esistono errori che possono essere evitati soprattutto nella prima fase, quella di un difficile rodaggio in cui ognuno guarda l’altro con sospetto e ha delle aspettative che probabilmente nessuno può soddisfare.

Questo saggio si basa, ovviamente, su un sapere psicologico che spesso non viene esplicitato in modo formale per non appesantire la lettura a quanti vogliono comprendere quali sono i problemi di questa nuova realtà sociale. Si rivolge in primo luogo a coloro che, dall’interno, vivono questo tipo di realtà familiare e potranno confrontare le loro esperienze con quelle raccontate dalla viva voce di uomini e donne che, intervistati, hanno fornito un quadro sincero e variegato della loro esperienza di vita, dei loro sentimenti e delle complesse dina- miche emotive e relazionali che caratterizzano le famiglie miste o ricomposte. Ma il saggio è indirizzato anche agli psicologi, ai magistrati, agli avvocati divorziati, agli assistenti sociali, agli insegnanti, che vi troveranno spunti per riflettere e alcune delle risposte agli interrogativi che spesso si pongono di fronte a una realtà che non è ancora emersa appieno nella nostra società ma che è impossibile ignorare, rifugiandosi dietro l’illusione che continui a esistere un modello unico di famiglia ideale. La crescente accettazione sociale delle famiglie non tradizionali farà sì che adulti e bambini trovino più facilmente un loro ruolo nell’ambito delle nuove realtà familiari e delle istituzioni sociali come la scuola.

 

Dal sito annaoliveroferraris.it IL TERZO GENITORE

E’ NATO UN PAPA’

È nato un papà

gruppo per tutti i papà


Quando nasce un figlio, nascono anche una madre ed un padre insieme a lui. Quindi anche per i papà la nascita di un figlio genera gioie, dubbi, insicurezze e domande “come sarà nostro figlio? Che padre sarò? E che madre sarà la mia compagna? Come saremo tutti insieme? Cosa cambierà nel rapporto di coppia?”.

Tali emozioni possono essere anche condivise con altri papà favorendo la nascita di gruppi per papà, ecco perché il Centro “Tempinsieme zerotre” in collaborazione con le associazioni l’Aquilone e Genitori e figli intende favorire la nascita di gruppi per papà

Questo percorso vuole dare voce al dialogo interiore dei padri, che se non ha un luogo in cui uscire allo scoperto, talvolta rischia di generare vissuti di inadeguatezza, di ansia, di insofferenza, ecc.

Il gruppo dei padri vuole essere un luogo accogliente e non giudicante in cui consegnare i propri vissuti e le proprie attese rispetto alla paternità.

Sarà quindi uno spazio di dialogo e di confronto fra chi sta vivendo un’esperienza simile, in cui ognuno avrà la possibilità di portare la propria irripetibile e irriducibile unicità.

 

Il gruppo è rivolto a tutti i papà o a chi lo sta per diventare.

 

I gruppi saranno condotti da Walter Brandani, insegnante, educatore professionale e mediatore familiare.

presso sede Associazione L’Aquilone via M.te Nero, 38 – 21049 Tradate (Va)

Informazioni e iscrizioni:

Walter Brandani         email: info@walterbrandani.it            Cell: 3470128839

 

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