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L’ottavo giorno

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L’ottavo giorno

Presentato in concorso al 49º Festival di Cannes, è valso ai suoi protagonisti Daniel Auteuil e Pascal Duquenne il premio per la migliore interpretazione maschile.
Regista: Jaco Van Dormael
Durata: 118 minuti
Anteprima nazionale: 22 maggio 1996
Musica: Pierre Van Dormael
Sceneggiatura: Jaco Van Dormael

Sinossi

Georges è un ragazzo affetto dalla sindrome di Down: da quando sua madre è morta, vive in un istituto cui la sorella l’ha affidato. La solitudine lo spinge a fuggire e, in una notte di pioggia, si imbatte in Harry, un quarantenne di successo che sta attraversando una profonda crisi esistenziale: interamente dedito al suo lavoro, l’uomo ha trascurato a tal punto la moglie e le figlie da costringerle a lasciarlo.

L’affettuosa invadenza di Georges – del quale, per una serie di contrattempi, Harry è costretto a occuparsi – sconvolge la sua vita fatta di regole astratte e fredde, basate sulla produttività e sul profitto, costringendolo a riscoprire emozioni che, per troppo tempo, aveva represso. Verrà licenziato, ma riuscirà a riconquistare l’affetto delle figlie e la stima della moglie grazie alla spontaneità appresa durante i giorni passati con Georges. Questi, invece, costretto a separarsi da Harry, rifiutato dalla sorella, allontanato dalla ragazza che ama, decide di suicidarsi lasciandosi cadere nel vuoto, dall’alto di un grattacielo.

Presentazione critica

Il film di Jaco Van Dormael si apre con un’inedita cosmogonia creata dalla fantasia di Georges, il giovane protagonista affetto dalla sindrome di Down, che immagina una creazione dell’universo diversa da qualsiasi altra, basata essenzialmente su una sorta di animismo che riesce a stabilire con qualsiasi essere – sia esso animato o inanimato – un senso di intimità e di contatto grazie al quale emerge la natura profonda e poetica del creato. La scommessa del film sta nel dimostrare come tali coordinate capovolte, attraverso le quali Georges riesce a orizzontarsi in un mondo tutto suo, possano essere colte e fatte proprie anche da chi, almeno apparentemente, se ne è allontanato per lasciare spazio soltanto alla logica del successo e del profitto. Anche Henry, difatti, alla sua prima apparizione, detta una serie di regole: quelle che possono trasformare un comune mortale in un uomo di successo, basate, al contrario della cosmogonia folle e spontanea di Georges, sul calcolo e sulla finzione.

Tra le altre ve n’è una che è interessante cogliere come chiave di lettura principale dell’intero film: Harry si occupa della formazione del personale di una grande banca e, il metodo che insegna ai suoi allievi per convincere i clienti è basato principalmente sull’imitazione delle pose, degli atteggiamenti, persino dei tic nervosi del cliente stesso. Appare immediatamente evidente come la filosofia di vita di Harry si basi sull’omologazione, dunque su una comunicazione che esclude il confronto con il diverso da sé. La prova cui viene sottoposto dall’incontro con Georges ha, perciò, dell’impossibile: come fare per assumere gli stessi atteggiamenti, le stesse espressioni di un ragazzo down e, in tal modo, giungere a comunicare con lui? È chiaro che sarà l’uomo a farsi conquistare non solo dalla folle logica, dall’animismo ingenuo, dalla tenerezza dei sentimenti, ma anche dall’improvviso erompere delle emozioni, dalla violenza goffa della gestualità di Georges che, se lo porteranno da un lato alla rovina economica, dall’altro gli permetteranno di riscoprire la propria reale indole di essere umano irriducibile a qualsiasi logica fredda e razionale.

Nel corso del racconto, infatti, ci viene proposta la progressiva conversione dell’uomo, i cui atteggiamenti divengono via via sempre più simili a quelli del ragazzo, arrivando fino a coincidervi: ad esempio, la scena in cui Harry discute con la moglie per rivedere le figliolette è praticamente identica a quella in cui Georges si reca a casa della sorella per chiederle di prenderlo con sé. L’ottavo giorno è un film tenero e ingenuo che, con le sue invenzioni stilistiche, le sue contaminazioni dai linguaggi più diversi (musica, fumetti, pubblicità), i suoi eccessi comici (Van Dormael, prima di fare il regista lavorava come clown), patetici e lirici, sembra ispirarsi alla stessa non-logica del suo protagonista/interprete, l’attore Pascal Duquenne che, grazie a una straordinaria carica vitale e una mimica eccezionale, riesce a rubare la scena al coprotagonista “normale” del film, il pur bravo Daniel Auteuil.

Con un finale amaro e antiretorico che ripaga lo spettatore di qualche lentezza e leziosità di troppo,L’ottavo giorno si inserisce in quello che potremmo definire quasi un genere cinematografico a sé stante: inaugurato da Rain Man (1988) di Barry Levison, il filone, che trova in Forrest Gump (1994) di Robert Zemeckis la sua definitiva consacrazione, vede nell’handicap fisico o mentale il segno di una libertà d’immaginazione e di una sensibilità superiori che divengono motivo di rivelazione al mondo cosiddetto normale di un modo di guardare la realtà diverso e sicuramente più autentico.

Fabrizio Colamartino minori.it

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Home (Meier 2008)

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Produzione Francia, Svizzera, Belgio

Anno 2008

Durata 98 min

Genere commedia drammatica

Regia Ursula Meier

 

 

Trama

La vita di una famiglia, composta da madre, padre e tre figli, scorre tranquilla e allegra nella loro isolata casa di campagna, situata a pochi metri da un’autostrada mai terminata. Ma la loro quiete viene interrotta da una notizia che speravano non dovesse mai arrivare: la strada verrà ultimata ed aperta al traffico in brevissimo tempo. Ciò accade e in pochi giorni l’autostrada viene invasa da migliaia di automobili. È la fine della serenità di questa famiglia; la confusione e il frastuono provocano il caos all’interno della loro casa, portando Marthe, la madre, ad un esaurimento nervoso, mentre Judith, la figlia più grande, fugge di casa. Il clima familiare si fa soffocante e Michel, il padre, decide di assecondare la moglie e tutti insieme prendono una decisione drastica e al tempo stesso suicida: barricarsi in casa, murando porte e finestre e isolandosi di fatto dal mondo. Ma proprio quando sembra che la situazioni diventi una tragedia e la famiglia sia condannata a morte per asfissia, è proprio la madre che abbatte una delle porte e permette all’aria di entrare. Tutta la famiglia, senza uno scopo, si allontana a piedi dalla casa, seguendo il sole.

 Recensione

Marthe, Michel e i loro tre figli vivono isolati lungo un’autostrada costruita da anni e mai inaugurata. Quel tratto d’asfalto è dunque parte del prato davanti a casa, o meglio ancora, parte di un gioco. Quando però l’autostrada viene messa in funzione e migliaia di macchine iniziano a sfrecciare, la famiglia attraversa impensate difficoltà ma alla fine scopre la solidarietà e l’amore al di sopra di tutto. Eccentrico e tenero, graffiante e a tratti esilarante,Home si candida come una delle commedie più originali dell’anno, grazie alle avventure di una famiglia bizzarra a cui è impossibile non affezionarsi. Accolto con entusiasmo all’ultimo Festival di Cannes, il film ha per protagonista una straordinaria Isabelle Huppert.La piccola casa nella prateria contro la volgare strada che sparge rumore e inquinamento: la metafora sembra chiara e il confronto manicheo, ma la posta in gioco di Home è ben altra. La lotta che si vede nel film è tutta interiore. Perché il fiume di macchine va soprattutto a incrinare l’equilibrio di questa famiglia, gettandola in una trincea estrema. Incapaci di rinunciare alla loro isola, i vari componenti della famiglia entrano in crisi e abbandonano il buon senso fino a perdere la ragione. La sceneggiatura si sposa perfettamente con la recitazione, la camera a spalla e il montaggio tagliente delle prime sequenze vengono poi sostituite con una realizzazione più statica e contenuta: scelte perfettamente adeguate al cambiare delle atmosfere e dei contenuti.

La scelta dei piani, come delle stesse immagini tendono a delineare l’isolamento dei personaggi. Anche la fotografia mostra questo scendere agli inferi dei vari membri della famiglia: i colori caldi iniziali vengono via via sostituiti dall’oscurità e da colori freddi.
Anche i rumori, il rumore dei motori e delle radio in lontananza sono solo l’eco di un mondo esterno vissuto come pericoloso.

Un film che ha come sua centrale caratteristica la mescolanza di toni (oltre che, come si è detto di colori e di suoni): momenti di dramma e di comicità di alternano con perfetta armonia compositiva così da dare allo spettatore un messaggio molto forte e chiaro sui contenuti autentici del film.

La critica francese

Thierry Méranger – Cahiers di Cinéma

«Se di favola si tratta, il suo contenuto non è così semplice. Nel film di Ursula Meier non c’è traccia di paradisi perduti o parabole ecologiste. Qualche scena d’interni, come quella della sala da bagno, è rivelatrice. Il luogo è decisivo, poiché mostra insieme l’apparente libertà dei corpi e la vertigine del soffocamento. La nudità originaria, infatti, non può essere accettata da tutti. La giovane Marion, coscienza pudica e sofferente della famiglia, non riesce ad adattarsi alla promiscuità dei corpi. Ed è così che dal frutto nasce il verme: la rinascita del traffico sull’autostrada non farà altro che svelare il carattere disfunzionale, i disaccordi e gli squilibri del sistema famigliare originale, mostrandone l’utopia e il pericolo mortale insito nella sua inscindibilità.
Ci si accorge, allora, che la figlia grande, Judith, egoista e fuori di testa, all’improvviso è uscita dal gruppo. Che la nevrosi materna e la devozione paterna – l’uomo non smette mai di alimentare la follia della moglie – costituiscono il collante dell’unità famigliare. Splendida e inquietante la complementarietà della Huppert e di Gourmet, rispettivamente musa e artefice di un ideale da incubo che fa scivolare il film da Tati verso Haneke. (…)
La sindrone buñueliana dell’angelo sterminatore, tipica della regista, si ritrova anche in Home, attraverso la dissezione dell’amour fou e la costante trasgressione della nozione di genere. Road movie dell’impasse, Shining del terzo tipo, Trafic* del settimo continente. Ci si rammenta anche che la meravigliosa Ursula ha di recente dato vita a un ritratto di Pinget, “re della contraddizione”. E tira fuori il meglio proprio dalle crepe di una sceneggiatura che ha il suo punto di forza nel fatto di non raccontare tutto».

Le Monde

«Sono rari i film capaci di tirare le fila di un intreccio imprevedibile. Il primo lungometraggio di Ursula Meier, una volta assistente di Alain Tanner, è al tempo stesso drammatico e burlesco, satirico e fantastico. Questa favola è immersa in un’estetica iperrealista che ricorda le pubblicità americane dedicate a glorificare gli elettrodomestici. (…)
Home segue il processo infernale di una famiglia che, nel voler coltivare la propria felicità marginale, non solo è braccata dai peggiori aspetti della civilizzazione (calca, mancanza di privacy, frastuono, inquinamento) ma si ritrova letteralmente imprigionata. Poiché la vita quotidiana di questi falsi Robinson diventa un incubo, i problemi nascosti della famiglia vengono a galla, e il film diventa la storia di una resistenza suicida. Non ci si comprende più, si dorme tutti nella stessa stanza che dà sul giardino, imbottiti di sonniferi, con le finestre sbarrate. Fino al soffocamento».

Di Grazia Casagrande wuz.it

Trailer

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L’AMORE IMPERFETTO. Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo ( Attili 2012)

G. ATTILI

L’amore imperfetto

Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo

pp. 224, € 14,00

978-88-15-23992-1
anno di pubblicazione 2012

Scrisse Tolstoj che “tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.” E le famiglie disfunzionali sono stato oggetto di molte narrazioni, dai film ai romanzi, e a partire da questi, oltre che dalla cronaca, la psicologa  Grazia Attili nel suo libro cerca di capire come sia complesso, e spesso ambivalente, l’amore dei genitori verso i propri figli.

  • quarta di copertina

Dal padre padrone al padre «mammo», dalla madre iperprotettiva alla madre assassina

Madri accoglienti o intrusive, distanti o iperprotettive, madri fredde o incoraggianti, madri che sbagliano: amor di madre o «mal di madre»? Le madri possono essere molto diverse da come ce le aspetteremmo: possono assicurare il benessere psicologico dei figli ma anche arrecare loro gravi danni psicologici, o addirittura essere così violente da ucciderli. Come mai? E i padri? Padri autorevoli, autoritari, assenti, padri «mammo». Quanto è cambiato questo ruolo nel corso della storia? E come mai è così diverso da quello materno? Due storie parallele nella loro complessità che l’autrice scandaglia a partire da fattori evoluzionistici che ci fanno capire cosa può rendere ambivalente l’amore dei genitori. Tra letteratura, cinema, mitologia e cronaca, ancora una volta le vicende storiche e culturali affondano nella biologia.

Grazia Attili, psicologa evoluzionista, insegna Psicologia sociale nella Sapienza – Università di Roma. Tra i suoi volumi «Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente» (Cortina, 2004); con il Mulino «Attaccamento e amore» (2004) e «Psicologia sociale» (2011).

COME EDUCARE IL TUO PAPÀ (Alain Le Saux)

COME EDUCARE IL TUO PAPÀ

Autore: Alain Le Saux  Casa editrice:Editrice Il Castoro 2005  Pagg: 72 Dimensioni: 25,5×21,5 cm

 RECENSIONE

Come educare il tuo pa è una vera e propria guida all’educazione dei papà condotta da uno spigliato bambino che segue i più solidi principi educativi. Il libro, davvero molto divertente, si basa sul capovolgimento di ruoli che vede il bambino trasformarsi in “papà” e il papà trasformarsi in “bambino”. Il presupposto di partenza è che, avendo a disposizione un solo papà, e posto che nessuno è perfetto, diventa necessario imparare tutti i modi per educarlo, perché un papà ben educato è un papà senza problemi! Il ribaltamento dei ruoli che sta alla base del libro e della sua comicità è un modo originale e divertente per affrontare il tema dei rapporti padre e figlio, che può essere utile come “specchio” ironico al padre, ai figli (di tutte le età!), ma anche alle mamme e ai futuri genitori. Lo stile inconfondibile di Alain Le Saux nasce dalla sua rara capacità di conciliare un tratto semplice e diretto con un acuto spirito di osservazione in grado di cogliere rapidamente le espressioni dei visi e i comportamenti e di trasformare le proporzioni e i rapporti tra le figure nello spazio (il bambino molto piccolo che “sgrida” il papà molto grande). Ne nasce un libro divertente, grottesco, ma anche tenero e affettuoso, accattivante per i bambini, che una volta tanto si sentiranno più responsabili e saggi dei papà, e per gli adulti che ne apprezzeranno pienamente la portata ironica.

Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro (Anna Oliverio Ferraris )

Anna Oliverio Ferraris

Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro

Raffaello Cortina, Milano 1997

 

 

 

 

Recensione

Sempre più spesso i figli si trovano a dover accogliere il nuovo partner del papà o della mamma che, separati, hanno deciso di rifarsi una vita. Questa “new entry” non è facile, ma con il tempo e la giusta sensibilità il rapporto tra il co-genitore (o terzo genitore) e i figli nati dalla precedente unione può diventare costruttivo e ricco di affetto e condivisione.

Sono tante le coppie celebri atipiche o allargate, nelle quali i partner sono subentrati nella vita familiare condividendo anche i figli di altri. Basti pensare ad Alessia Marcuzzi e Francesco Fachinetti, che hanno avuto da poco una bambina, ma la conduttrice ha un altro figlio, Tommaso, avuto dalla relazione con il calciatore Filippo Inzaghi. La coppia di attori Stefano Accorsi e Laetitia Casta, o ancora Claudio Amendola, Diego Abatantuono, Nancy Brilli, sono tutti personaggi famosi che hanno in comune una separazione, una nuova famiglia e figli da dover condividere con il partner. Certo, si tratta di un modello di famiglia elastica, che può essere sana e affettuosa, ma che può anche rivelarsi fonte di conflitti pesanti.

 

Una famiglia allargata deve stabilire al proprio interno delle regole dettate principalmente dal buon senso. Il co-genitore non ha affatto un ruolo facile, e soprattutto all’inizio rischia di fare troppo o troppo poco, sconfinando talvolta nel campo del genitore biologico, che invece non andrebbe toccato. Bisogna invece essere abili a ritagliarsi un ruolo equilibrato e preciso rispetto ai figli del partner, senza però sostituirsi al genitore biologico. E’ importante costruire un rapporto sincero, diretto, adulto, di rispetto reciproco. E’ necessario dare il tempo ai figli di capire e accettare questa nuova figura accanto al genitore, ed il nuovo arrivato deve tenere conto che la rottura tra i genitori può rappresentare un trauma difficile da superare, per un figlio.

Una buona regola è mettersi nei panni dei figli, cercare di guardare le cose dal loro punto di vista. La prima cosa che un co-genitore dovrebbe fare è conoscere bene i figli, evitando di formulare giudizi su come sono e come si comportano, ma soprattutto sulle regole di educazione impartite dal genitore biologico. Il passato familiare e la storia vissuta dai figli vanno rispettati senza essere mai giudicati, e anzi il rapporto con entrambi i genitori va stimolato anche dal co-genitore. Questo evita l’insorgere di eventuali conflitti. Per il bene dei figli e la loro crescita sana e serena dal punto di vista psicologico bisogna ridurre al minimo i contrasti e non entrare in competizione con il genitore naturale. Queste dinamiche non fanno bene neppure al rapporto di coppia.

In Francia, dove il fenomeno delle famiglie allargate è in crescita, si sta pensando ad una legge che disciplini lo status giuridico di co-genitore (anche nel caso di coppie omosessuali con figli). In Italia siamo ben lungi dall’attribuire uno status giuridico al “terzo genitore”, poiché il nostro ordinamento giuridico fa sempre e solo riferimento all’altro genitore biologico.

http://notizie.guidaconsumatore.com/009895_terzo-genitore-quando-la-famiglia-e-allargata

INTRODUZIONE (dal sito olivero.eu)

“Ma come! tuo padre non viene in vacanza con te?!” “No, viene, ma può fermarsi soltanto due giorni. E’ molto impegnato, lavora, lui…”

Il patrigno di Marica diventa rosso per la collera ma Sandra, prevenendo una bufera, allunga la mano e gli stringe il polso: “Marica, perché non vai a finire i compiti?” suggerisce per cercare di interrompere sul nascere un diverbio in cui la figlia, come spesso avviene, rinfaccerebbe al patrigno di vive- re sugli alimenti che il proprio padre passa alla moglie e a lei.

Dinamiche come questa sono frequenti tra le.figlie adolescenti e il partner della moglie, compagno o nuovo marito che sia. Spesso una bambina può accettare la presenza di un nuovo uomo quando è piccola, ma altrettanto spesso con l’adolescenza i rapporti possono divenire tesi e cancellare un periodo di convivenza che sembrava procedere con una certa tranquillità. Il caso di Marica, come quello di altri bambini, adolescenti e adulti che devono trovare una nuova collocazione nell’ambito di una famiglia mista – composta cioè da un genitore biologico e dal suo nuovo partner eventualmente con i suoi figli -, è uno dei tanti casi che si affacciano sulla scena delle nuove famiglie, sempre più frequenti al giorno d’oggi, da quando cioè la società ha accettato un’evoluzione dei legami familiari.

Sino a qualche decennio fa, infatti, la famiglia, unita o disgregata che fosse, legata da vincoli affettivi o lacerata da dissidi e confronti anche violenti, continuava comunque a resta- re ‘integra” negli anni: non era soltanto la mancanza del divorzio a “tenere unite” le famiglie, ma anche una tradizione culturale che si è consolidata nell’Ottocento; tradizione che considerava la famiglia come una istituzione che non poteva essere sciolta che dall’eventuale morte di uno dei genitori.

In passato era soltanto la vedovanza che, salvo rare eccezioni, consentiva di portare dentro casa un altro partner e di far sì che figli e figliastri potessero convivere. Dal passato derivano anche stereotipi come quello di patrigno e matrigna ve- nati di connotazioni negative. Oggi invece le separazioni e i divorzi, nonché le unioni senza matrimonio, portano di frequente a nuove famiglie, famiglie miste appunto, in cui un partner non deve soltanto confrontarsi con il compagno o la compagna che ha scelto ma anche con i suoi figli e con una lunga storia precedente: una serie di memorie, regole non scritte, dinamiche consolidate e stereotipie, che identificano un nucleo familiare anche quando da esso si è sottratto o è stato espulso un genitore, madre o padre che sia. Sono queste memorie del passato – che costituiscono non soltanto l’identità della famiglia ma l’identità stessa dei figli – a rappresenta- re una ragnatela in cui il nuovo partner può impigliarsi se pro- cede troppo rapidamente, se prova a tendere a sua volta una nuova ragnatela…

Il problema è che le dinamiche emotive e istintuali delle singole persone, nonché gli stereotipi culturali, entrano facilmente in opposizione con le dinamiche di un gruppo preesistente: il nuovo partner si sente quasi chiamato a imporre un suo ruolo “tipico”, quello di madre o di padre, a dettare regole, a proteggere, a ricostituire insomma quella che è in genere l’essenza della famiglia nucleare. In qualche modo egli cade nella trappola del suo passato, cercando cioè di ricreare ciò che gli è noto o che si aspetta debba essere una famiglia. Tuttavia è impossibile cercare di sostituire la nuova realtà alla precedente, ignorare il passato, trasformare la famiglia mista in una nuova famiglia nucleare.

Questo libro affronta le nuove realtà con particolare attenzione al terzo genitore, che è la cartina di tornasole di una complessa chimica familiare, il punto di incontro e di scontro di forze diverse. Le emozioni e le “regole” delle famiglie miste possono essere infatti considerate da varie angolature: da quella dei figli con le loro necessità, da quella del partner con l’affetto che lo lega ai propri figli e le dinamiche spesso ancora aperte che lo legano al partner precedente, da quella del terzo genitore con le sue aspettative, le sue difficoltà, i suoi senti- menti di solitudine nel sentirsi talora emarginato da rapporti affettivi in cui non gli è consentito entrare.

I vari capitoli del libro considerano le differenze che esisto- no tra le vecchie e le nuove famiglie, le necessità dei figli, il ruolo dei “terzi genitori”, dell’uno e dell’altro sesso. Una serie di storie familiari, casi di usuale quotidianità, indicano come siano complesse e caleidoscopiche le dinamiche delle famiglie miste: non esistono infatti semplici regole o suggerimenti per far funzionare queste nuove realtà, tuttavia esistono errori che possono essere evitati soprattutto nella prima fase, quella di un difficile rodaggio in cui ognuno guarda l’altro con sospetto e ha delle aspettative che probabilmente nessuno può soddisfare.

Questo saggio si basa, ovviamente, su un sapere psicologico che spesso non viene esplicitato in modo formale per non appesantire la lettura a quanti vogliono comprendere quali sono i problemi di questa nuova realtà sociale. Si rivolge in primo luogo a coloro che, dall’interno, vivono questo tipo di realtà familiare e potranno confrontare le loro esperienze con quelle raccontate dalla viva voce di uomini e donne che, intervistati, hanno fornito un quadro sincero e variegato della loro esperienza di vita, dei loro sentimenti e delle complesse dina- miche emotive e relazionali che caratterizzano le famiglie miste o ricomposte. Ma il saggio è indirizzato anche agli psicologi, ai magistrati, agli avvocati divorziati, agli assistenti sociali, agli insegnanti, che vi troveranno spunti per riflettere e alcune delle risposte agli interrogativi che spesso si pongono di fronte a una realtà che non è ancora emersa appieno nella nostra società ma che è impossibile ignorare, rifugiandosi dietro l’illusione che continui a esistere un modello unico di famiglia ideale. La crescente accettazione sociale delle famiglie non tradizionali farà sì che adulti e bambini trovino più facilmente un loro ruolo nell’ambito delle nuove realtà familiari e delle istituzioni sociali come la scuola.

 

Dal sito annaoliveroferraris.it IL TERZO GENITORE

E’ NATO UN PAPA’

È nato un papà

gruppo per tutti i papà


Quando nasce un figlio, nascono anche una madre ed un padre insieme a lui. Quindi anche per i papà la nascita di un figlio genera gioie, dubbi, insicurezze e domande “come sarà nostro figlio? Che padre sarò? E che madre sarà la mia compagna? Come saremo tutti insieme? Cosa cambierà nel rapporto di coppia?”.

Tali emozioni possono essere anche condivise con altri papà favorendo la nascita di gruppi per papà, ecco perché il Centro “Tempinsieme zerotre” in collaborazione con le associazioni l’Aquilone e Genitori e figli intende favorire la nascita di gruppi per papà

Questo percorso vuole dare voce al dialogo interiore dei padri, che se non ha un luogo in cui uscire allo scoperto, talvolta rischia di generare vissuti di inadeguatezza, di ansia, di insofferenza, ecc.

Il gruppo dei padri vuole essere un luogo accogliente e non giudicante in cui consegnare i propri vissuti e le proprie attese rispetto alla paternità.

Sarà quindi uno spazio di dialogo e di confronto fra chi sta vivendo un’esperienza simile, in cui ognuno avrà la possibilità di portare la propria irripetibile e irriducibile unicità.

 

Il gruppo è rivolto a tutti i papà o a chi lo sta per diventare.

 

I gruppi saranno condotti da Walter Brandani, insegnante, educatore professionale e mediatore familiare.

presso sede Associazione L’Aquilone via M.te Nero, 38 – 21049 Tradate (Va)

Informazioni e iscrizioni:

Walter Brandani         email: info@walterbrandani.it            Cell: 3470128839

 

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il libro bianco delle vacanze

PROGETTO

UN LIBRO BIANCO PER LE VACANZE

 un libro per dare spazio alla creatività dei bambini
ma  anche un progetto al quale tutti possono aderire
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INDICE

DESCRIZIONE PROGETTO E INDICAZIONI OPERATIVE

Dare i compiti durante le vacanze agli alunni della scuola primaria non è un obbligo di legge ma è ormai una prassi consolidata. Eppure è molto difficile capire quale sia il reale presupposto pedagogico dell’assegnare tanti compiti nel periodo estivo, obbligando così i bambini a portare libri e quaderni nei luoghi di vacanza. Molti infatti credono che lasciare i bambini senza svolgere un’attività didattica per un lungo periodo possa far dimenticare loro quanto appreso durante l’anno scolastico. Forse, invece, assegnare pochi esercizi e fare un veloce ripasso prima dell’inizio della scuola permetterebbe ai bambini di trascorre il tempo delle vacanze facendo “veramente vacanza”

Una vacanza che rappresenta una pausa preziosa dalle attività quotidiane (scuola, sport e corsi vari), una pausa serena per poter staccare da un’organizzazione della giornata forse poco a misura di bambino.

Un tempo utile per recuperare le energie, per oziare, per rilassare la mente e per dar spazio alle mille avventure offerte dai libri, dai giochi all’aperto e dalla creatività, unica e magica, che ogni bambino potrà esprimere sui fogli bianchi di questo libro.

Indicazioni operative per gli adulti: a seconda dell’età del bambino e dell’abitudine ad utilizzare in modo creativo dei fogli bianchi, ogni adulto valuterà se dare qualche indicazione generica: “incolla qui un ricordo delle tue vacanze, disegna il colore del mare, descrivi l’emozione della gita in montagna, ecc”. Dovrà lasciare spazio alla fantasia dei bambini e soprattutto considerare un dono prezioso ogni volta che il bambino gli mostrerà il  libro.

 

ELENCO AGGIORNATO DELLE PERSONE CHE ADERISCONO AL PROGETTO:

  1. Alessandro Borghetti, educatore e allenatore Lugano Rugby
  2. Alessia Giordana Bergamaschi, mamma e avvocato
  3. Alessio Raffaele Genitore di 3 figli, Animatore del Rugby Nola settore propaganda
  4. Angelo Croci, pedagogista e critico cinematografico
  5. Anna Diani, insegnante
  6. Annalisa Masciadri, Educatore Professionale e Counsellor  a Mediazione Corporea ad indirizzo Bioenergetico
  7. Barbara Gavardini, educatrice
  8. Chiara Camerini, Medico Veterinario
  9. Chiara Nepgen, genitore
  10. Daniela Cattaneo, Insegnante
  11. Daniela Migliaro insegnante scuola primaria I.C Galilei Busto Arsizio
  12. Daniela Mosca, mamma e blogger
  13. Daniela Spiller,  educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  14. Deborah Cornwell-Kelly, Managing Translator
  15. Emanuela Basilico, insegnante
  16. Federica Croci, educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  17. Francesca Nisoli Genitore, logopedista fondazione Maugeri Tradate
  18. Francesco Apuzzo, architetto e genitore
  19. Gabriella Romano, insegnante
  20. GeA , associazione Genitori Ancòra Milano
  21. Giovanna Caserta, educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  22. Giuliana Cattaneo, insegnante
  23. Hellen Hidding , genitore
  24. Ilaria Casalecchi, genitore e architetto
  25. Irina Ferrario, mamma e pedagogista
  26. Lara Veratelli, educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  27. Laura Brandani, assistente sociale
  28. Laura Zoccoli, giornalista.
  29. Lidia Puccini, insegnante
  30. Lorena Maistrello, educatrice
  31. Manuela Tomisich psicoterapeuta, docente università Cattolica Milano e genitore.
  32. Manuela Birattoni mamma ed educatrice professionale
  33. Maria Rosaria Maggio, psicoterapeuta e insegnante
  34. Massimo Lupo, insegnante
  35. Margherita Bauducco, Tecnico della riabilitazione Psichiatrica e psicomotricista
  36. Miriam Cattaneo, insegnante
  37. Monica Giannone,  educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  38. Olimpia Addabbo,  educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  39. Paola Scarpa educatore,responsabile dell’area infanzia e adolescenza Venezia
  40. Raffaele Mantegazza, docente università Bicocca Milano
  41. Roberta e Davide Gabrieli  Genitori Imperfetti
  42. Rosalina Barbati, educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  43. Samantha Righetto,  educatrice “Tempinsieme” Castiglione Olona
  44. Sarah Catenacci mamma e formatrice
  45. Selene Cakilli  mamma di 4 bambini,  Insegnate  scuola primaria Cassina de’ Pecchi
  46. Silvia Taglioretti, Insegnante
  47. Silvia Turati, insegnante
  48. Stefania Crema Avvocato Specialista in Criminologia
  49. Tiziana Pisu, orientatrice e genitore
  50. Valentina Calcaterra, docente universitaria
  51. Walter Brandani, insegnante

 

 

COME ADERIRE

L’adesione al progetto è completamente gratuita , basta inviare una email a info@walterbrandani.it con Nome Cognome e professione, chi vuole può aggiungere “genitore e professione”.

L’adesione al progetto, oltre ad indicare una condivisione all’idea di offrire ai bambini  “ un tempo utile per recuperare le energie, per oziare, per rilassare la mente e per dar spazio alle mille avventure offerte dai libri, dai giochi all’aperto e dalla creatività, unica e magica, che ogni bambino potrà esprimere sui fogli bianchi di questo libro” , è anche un modo per diffondere e sostenere culturalmente il progetto.

Nella  copertina ( che verrà aggiornata periodicamente) saranno indicati  i nomi di chi aderirà al progetto.
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L’idea è che ognuno da casa potrà realizzare il libro scaricando la copertina e incollando o graffettando dei fogli bianchi
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RASSEGNA STAMPA:

È nato un papà

È nato un papà

 

 

 

Quando nasce un figlio, nascono anche una madre ed un padre insieme a lui.

 

Quindi anche per i papà la nascita di un figlio genera gioie, dubbi, insicurezze e domande “come sarà nostra/o figlia/o? Che padre sarò? E che madre sarà la mia compagna? Come saremo tutti insieme? Cosa cambierà nel rapporto di coppia?”

 

Tali emozioni possono essere anche condivise con altri papà, ecco perché il Centro “Tempinsieme zerotre” intende favorire la nascita di gruppi per papà.

 

Questo percorso vuole dare voce al dialogo interiore dei padri, che se non ha un luogo in cui uscire allo scoperto, talvolta rischia di generare vissuti di inadeguatezza, di ansia, di insofferenza, ecc.

Il gruppo dei padri vuole essere un luogo accogliente e non giudicante in cui consegnare  i propri vissuti e le proprie attese rispetto alla paternità.

Sarà quindi uno spazio di dialogo e di confronto fra chi sta vivendo un’esperienza simile, in cui ognuno avrà la possibilità di portare la propria irripetibile e irriducibile unicità.

 

Il gruppo è rivolto a chi sta per diventare papà oppure a chi lo è appena diventato.

 

Insieme esploreremo alcuni temi centrali nell’esperienza del “diventare padri”:

• le fantasie e le aspettative verso il figlio che sta per nascere o che è  appena nato

• che padre sono  e vorrei essere per mio figlio?

• mio  padre e  la mia esperienza di figlio

• essere genitore

 

I gruppi saranno condotti da Walter Brandani, insegnante, educatore professionale e mediatore familiare.

Indirizzo email: info@walterbrandani.it

Sito internet:     www.walterbrandani.it

 

Primo incontro: martedì 8 maggio

Dalle ore 20.45 alle ore 22.15

Cadenza: un incontro al mese

Presso:

il Centro Tempinsieme zerotre – Castello Monteruzzo a Castiglione Olona

Informazioni e iscrizioni:

Walter Brandani, via email: info@walterbrandani.it      cell:  3470128839

Oppure Segreteria Gqp: via email: gqpquasiperfetti@libero.it    cell. 340 4534516

Il ragazzo con la bicicletta ( Dardenne 2011)

di J.Dardenne, L. Dardenne.  Titolo originale Le Gamin Au Vélo., Ratings: Kids+13 , 87 min. – Belgio, Francia, Italia 2011.

 

 

INDICE

1)RECENSIONE: un film sull’affidamento

2)RECENSIONE: RACCONTARE L’INFANZIA INCOMPRESA

3)RECENSIONE: DOV’E’ IL PADRE

4)TRAILER – SCENE FILM



1)RECENSIONE: un film sull’affidamento e sulla presa in carico di un minore

Cyril, dodici anni, vive in comunità. È alla disperata ricerca del padre che ha cambiato casa e numero di telefono e non si fa vivo da diverso tempo. Non si capacita del fatto che sia sparito nel nulla e non gli abbia nemmeno lasciato la bicicletta cui teneva molto. Gli educatori cercano in tutti i modi di convincerlo a desistere dalla sua ricerca, ma Cyril è testardo, non ascolta nessuno e un giorno scappa dalla comunità per raggiungere in autobus la vecchia casa del genitore e scoprirla ormai disabitata. Quando arrivano anche gli educatori, il ragazzo cerca ancora di fuggire, rifugiandosi in un vicino studio medico. Qui, come ultimo e disperato gesto di resistenza, si aggrappa al corpo di una giovane signora e la abbraccia con tutta la forza che ha.

È in questo primo e provvisorio abbraccio che prende senso e valore l’ultimo film dei fratelli Dardenne. Il Cyril de Il ragazzo con la bicicletta è fratello minore dei tanti adolescenti o giovani che hanno attraversato nel corso degli ultimi quindici anni il cinema dei due registi belgi dall’Igor de La promesse (1996) alla giovane Rosetta (1999), dal Francis de Il figlio(2002) ai poco più grandi Bruno de L’enfant – una storia d’amore (2005) e Lorna de Il matrimonio di Lorna (2008). Con loro condivide l’ostinazione nel perseguire un sogno o un progetto, un’autonomia obbligata da un mondo adulto assente o infantile che lo circonda, il desiderio represso e soffocato di costruire relazioni e affetti, la fatica di sopravvivere a eventi o tragedie inattese, l’accesso quasi inevitabile al mondo della criminalità. A distanziarlo da loro (e a rendere meno cupo il film), giunge però già nelle prime battute della storia questo gesto di improvvisa e gratuita vicinanza con un altro essere umano. Una vicinanza che Cyril non sa ancora elaborare, ma che di fatto diventerà la sua vera ancora di salvezza, la direttrice di senso che lo sosterrà anche nei momenti più difficili. La donna che abbraccia si chiama Samantha, è una parrucchiera senza figli che si dimostra subito attenta alle sorti del ragazzo: riesce a recuperargli la bicicletta, accetta di ospitarlo a casa sua durante i weekend, lo aiuta nella ricerca disperata del padre. Quando finalmente i due trovano il giovane uomo e scoprono che non ha nessuna intenzione di prendersi cura di Cyril è Samantha la persona che sta accanto al dodicenne e assiste all’unico vero sfogo rabbioso del ragazzo, trattenendolo da gesti autolesionisti con un secondo e ancor più significativo abbraccio. La condizione di Cyril non migliora immediatamente, anzi i “quattrocento colpi” che egli, come quasi ogni ragazzo della sua età, è disposto a sperimentare, lo condurranno nelle braccia di un piccolo delinquente e da qui al coinvolgimento in un’arruffata e tragica rapina. E tuttavia, grazie all’intermediazione della donna e al suo modo di porsi non autoritario ma deciso e presente, Cyril troverà qualcuno disposto ad accompagnarlo nei suoi giri in bicicletta e, fuor di metafora, di offrirgli quell’affetto di cui ha bisogno.
Il ragazzo con la bicicletta è insomma un film sull’affidamento e sulla presa in carico di un minore da parte di un adulto, un film su una vocazione all’accoglienza e sulla difficoltà di riconoscerla questa accoglienza da parte di chi ha bisogno. Ma è anche un film che riflette su una genitorialità che sembra sempre più allontanarsi dai vincoli di sangue, specie in situazioni di disagio e degrado, di povertà e assenza di prospettive. I Dardenne, da questo punto di vista, proseguono con coerenza e testardaggine – la stessa dei loro personaggi – un discorso sull’essere umano, sulle condizioni di povertà che la società contemporanea gli costruisce attorno e sulle possibilità di riscatto a cui può accedere attraverso un gesto, uno sguardo, un sentimento gratuito. E se in quest’ultimo film si possono riscontrare alcune debolezze sul piano della sceneggiatura e un minor rigore sul piano della rappresentazione visiva (viene meno per esempio l’uso frenetico della camera a spalla, la grana della pellicola è più pastosa segno di un abbandono forse definitivo al 16mm) è altrettanto vero che pochi altri cineasti avrebbero saputo trattare una materia pluricodificata – a partire dal titolo che allude a Ladri di biciclette di De Sica e ad una prima parte del film che ricorda molto il capolavoro di Truffaut I quattrocento colpi – con una certa originalità di tocco e di scrittura. “Affidarsi” ai Dardenne, anche in questo caso, significa mettersi nelle mani di cineasti che intendono indagare il reale e i suoi anfratti più oscuri e drammatici per elevarli a possibili territori di riscatto. Come avveniva nel cinema di Robert Bresson a cui i fratelli belgi sembrano guardare con sempre più sentita adesione.

Marco Dalla Gassa MINORI.IT
2)RECENSIONE:

Raccontare l’infanzia incompresa    

Di Marzia Gandolfi   –    mymovie.it

 

Cyril ha dodici anni, una bicicletta e un padre insensibile che non lo vuole più. ‘Parcheggiato’ in un centro di accoglienza per l’infanzia e affidato alle cure dei suoi assistenti, Cyril non ci sta e ostinato ingaggia una battaglia personale contro il mondo e contro quel genitore immaturo che ha provato ‘a darlo via’ insieme alla sua bicicletta. Durante l’ennesima fuga incontra e ‘sceglie’ per sé Samantha, una parrucchiera dolce e sensibile che accetta di occuparsi di lui nel fine settimana. La convivenza non sarà facile, Cyril fa a botte con i coetanei, si fa reclutare da un bullo del quartiere, finisce nei guai con la legge e ferisce nel cuore e al braccio Samantha. Ma in sella alla bicicletta e a colpi di pedali Cyril (ri)troverà la strada di casa.
Dalla prima inquadratura il piccolo protagonista de Il ragazzo con la bicicletta infila quella precisa traiettoria che seguivano prima di lui l’adolescente di La promesse, la Rosetta del film omonimo, il padre falegname de Il figlio e ancora il giovane disorientato de L’Enfant. Dentro a una corsa possibile verso una soluzione che arriverà, i Dardenne rinnovano l’interesse per l’infanzia incompresa, che tiene testa e non si assoggetta al mondo degli adulti, fronteggiandolo con improvvise fughe e un linguaggio impudente. Di nuovo è la fragile pesantezza dell’essere, che condizionava (già) le azioni dei protagonisti precedenti, il centro del film. Dopo il tentativo di rinnovamento formale e prospettico del loro cinema (Il matrimonio di Lorna), i fratelli belgi ritrovano la cinetica e un personaggio che avanza negli spazi attraversati e nel proprio destino. Come nel Matrimonio di Lorna sarà l’irruzione di un improvviso atto d’amore a travolgere, fino ad annullare, l’indifferenza di un padre colpevole di abbandono e dello sbandamento emotivo del figlio.
Thomas Doret incarna con lirismo lo spirito gaio e selvaggio dei mistons di Truffaut, di cui riproduce i comportamenti anarchici e antiautoritari negli esterni e in mancanza di interni domestici e familiari adeguati. Cyril, figlio ripudiato con gli anni in tasca, resiste a muso duro al vuoto affettivo che lo circonda, pedalando dentro e attraverso la paura, intestardendosi nel silenzio o facendo il diavolo a quattro. Il reale per il fanciullo è sempre in agguato ma ad esso si oppone ‘aggrappandosi’ e stringendosi forte a una figura femminile bella e raggiungibile come una mamma. Cécile de France, sopravvissuta allo tsunami di Clint Eastwood, è il volto e il corpo che Cyril vuole per sé, la figura materna che pretende e a cui si concede. La loro relazione procede per tentativi ed errori, come ogni processo di apprendimento, producendo una passeggiata a due ruote di grande forza espressiva e creativa. Una promenade che risana lo scarto dell’essere stati generati senza essere stati appropriatamente allevati, ma prima ancora desiderati. Samantha e il suo negozio di coiffeur diventano allora l’ancora di salvezza e il riscatto sociale per quel ‘ragazzo selvaggio’, sempre fiero, sempre contro. Se come sosteneva Luigi Comencini mettersi al livello dell’infanzia è l’unico modo per liberarla, i Dardenne accreditano e ribadiscono la sua affermazione, accompagnando la corsa di Cyril verso una raggiunta consapevolezza e un nuovo elemento: l’amore.

3)RECENSIONE: DOV’E’ IL PADRE

Autore: Curzio Maltese – Testata: la Repubblica

Dov’era il padre? Dove sono i padri nelle storie di cronaca e nella vita quotidiana, nei pensieri dei figli e nelle riunioni scolastiche? Assenti, lontani, incapaci di offrire né regole né protezione. Nella carrellata di trame dei film di Cannes, dove la famiglia torna nucleo del mondo, le figure dei padri sono in genere avvilenti. Falliti e acidi come nell’israeliano Footnote di Joseph Cedar, o distratti al limite della demenza come il padre di Kevin, che regala armi al figlioletto visibilmente già assai disturbato. Tutti terrorizzati dalla responsabilità nei confronti dei figli, reali o metaforici, che partono alla loro disperata ricerca. Così, dopo la rinuncia del Santo Padre in Moretti, in Le gamin au vélo dei fratelli Dardenne si assiste alla rinuncia altrettanto tragica di un padre povero cristo.
Morta la nonna, Guy, un cuoco di bistrot, decide di sparire dalla vista del figlio dodicenne, Cyril, che finisce in un istituto. Qui viene a trovare ogni tanto il bambino una giovane parrucchiera, Samantha, che si offre di ospitarlo nei fine settimana. Cyril accetta soltanto per poter evadere dall’istituto e una volta fuori, montare sull’unico ricordo lasciatogli dal padre, una bici da cross, e mettersi alla sua ricerca. L’immagine di questo bambino tormentato che rincorre su una bicicletta la possibilità di una vita normale, l’amore del padre, l’amicizia, ha la semplicità e la forza del cinema di un tempo. La grandezza dei registi belgi sta nel non usare mai un trucco, una parola, un gesto che possa sfiorare il melodramma. In fondo a strade sbagliate e porte chiuse, dopo l’ultimo straziante negarsi del padre, il bambino capisce qual è la vera strada di casa e torna da Samantha, l’unica persona che ha dimostrato di sceglierlo e amarlo. Nella scena finale compare di passaggio un altro di quei padri che rivalutano la condizione di orfano. È noto come i film di Jean-Pierre e Luc Dardenne non siano passeggiate nel buonumore. Ma rispetto ai precedenti, molto amati a Cannes, dove i Dardenne hanno vinto la Palma due volte con Rosetta (1999) e L’enfant (2005), questo ragazzo con la bicicletta è un film più ottimista. Un Dardenne quasi solare, rispetto ai cupi paesaggi reali e psicologici del passato, girato in una Liegi rallegrata dalla luce dell’estate e dallo splendore di Cècile de France nella parte di Samantha. Ma il momento di massima luce del film è quando, dopo un’ora abbondante, il volto nervoso del piccolo e bravissimo protagonista, Thomas Doret, s’illumina del sorriso dell’infanzia.

4)TRAILER

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Mi dici che ti prende?

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