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Less is more – Le parole dell’educare

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Quando pronunciamo alcune parole come amore, desiderio, regola, ne conosciamo il significato più profondo? Sappiamo farci accompagnare da loro nel nostro agire quotidiano e nelle relazioni con l’altro?

L’autore ha approfondito la natura di tredici vocaboli a lui cari, convinto che chiarire il loro significato originario, cercando di coglierne le potenzialità educative, possa non solo ridare senso alle parole ma anche parlare di noi stessi e del nostro rapporto con alcuni concetti pedagogici fondamentali. Perché le “nostre” parole, come conchiglie silenziose sulla spiaggia, aspettano di essere raccolte e portate all’orecchio per svelare un mare di ricordi ed emozioni.

Mostra che ti ritrovo

Mostra “itinerante” per i luoghi dell’estate.
I libri bianchi raccontano …

MOSTRA DEI LIBRI BIANCHI REALIZZATI DAGLI ALUNNI CLASSE SECONDA ( leggi il progetto LIBRI BIANCHI clicca qui)

Guarda la presentazione realizzata dall’Associazione Grégory per la mostra

(https://www.youtube.com/watch?v=jYEjQYebt9U&t=16s)

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ATTENTI ALLA MOSTRA

INDICE

  1. PRESENTAZIONE
  2. LA LETTURA DELLE FIABE IN CLASSE
  3. LA REALIZZAZIONE DEI QUADRI 
  4. VIDEO ATTENTI ALLA MOSTRA
  5. VIDEO DURANTE ATTENTI ALLA MOSTRA

1. PRESENTAZIONE

 “ATTENTI ALLA MOSTRA!” È LA TAPPA FINALE DI UN PROGETTO MULTIDISCIPLINARE.

PARTENDO DALLA LETTURA DI MOLTE FIABE E STORIE DOVE I LUPI SONO PROTAGONISTI, OGNI ALUNNO HA RAPPRESENTATO IL “PROPRIO LUPO”.

2. LA LETTURA DELLE FIABE IN CLASSE

 L’INIZIO DELLA SCUOLA PRIMARIA È INDUBBIAMENTE UNA TAPPA FONDAMENTALE PER LA CRESCITA DEI BAMBINI: NUOVE AVVENTURE, AMICIZIE, SFIDE E PAURE DA AFFRONTARE E SUPERARE. IN QUESTO ANNO SCOLASTICO SONO STATE LETTE IN CLASSE TANTE FIABE CHE HANNO ACCOMPAGNATO E SOSTENUTO I BAMBINI IN QUESTO IMPORTANTE MOMENTO DI PASSAGGIO.

LA LETTURA DI STORIE HA RAPPRESENTATO UN MOMENTO EDUCATIVO SIA PER I BAMBINI, CHE SI SONO IMMERSI NEI RACCONTI INCONTRANDO LUPI CATTIVI E LUPI BUONI, CHE PER GLI INSEGNANTI, PERCHÉ IL NARRARE FIABE È UN MOMENTO DI BUONA EDUCAZIONE. OGNI BUON RACCONTO DELLA LETTERATURA PER L’INFANZIA HA UN VALORE ALTAMENTE PEDAGOGICO CHE VA OLTRE LA MORALE DELLA STORIA, LEGATO ALL’ATTO STESSO DELL’INSEGNANTE CHE NELLO STRUMENTO DELLA LETTURA AD ALTA VOCE DEDICA TEMPO DI QUALITÀ AL PROPRIO ALUNNO. È UN PREZIOSO MOMENTO EDUCATIVO CHE IL BAMBINO NON PERCEPISCE SUL PIANO RAZIONALE MA CHE AVVERTE CON PIENEZZA A LIVELLO EMOTIVO.

 “CREDO CHE LE FIABE, QUELLE VECCHIE E QUELLE NUOVE, POSSANO CONTRIBUIRE A EDUCARE LA MENTE. LA FIABA È IL LUOGO DI TUTTE LE IPOTESI” (G. RODARI).

 

3.LA REALIZZAZIONE DEI QUADRI

 GLI ALUNNI HANNO REALIZZATO TANTI DISEGNI SUI LUPI, DALLA SCELTA DI UNO O PIÙ DISEGNI È NATA L’IDEA DI COSA DIPINGERE SULLA TELA.

L’OSSERVAZIONE DEI BAMBINI ALL’OPERA E LA LORO DIRETTA SPERIMENTAZIONE DELL’INVENTARE E IMMAGINARE IL PROPRIO LUPO SONO STATI UNA PREZIOSA OCCASIONE DI CRESCITA E CONDIVISIONE.

OGNI BAMBINO HA AVUTO UN APPROCCIO PERSONALE DAVANTI AL FOGLIO BIANCO: C’È  STATO CHI HA DISEGNATO E COLORATO IN MODO IMMEDIATO E QUASI ISTINTIVO E CHI INVECE HA POSTO MOLTA ATTENZIONE E PRECISIONE, CHI SI È CONCENTRATO E CHI INVECE HA LASCIATO PARLARE LE PROPRIE EMOZIONI.

ALCUNI HANNO DISEGNATO IN MODO PIÙ ORIGINALE ALTRI IN MODO PIÙ RIPRODUTTIVO, QUALCUNO SI È ADDIRITTURA BLOCCATO DAVANTI ALLO SPAZIO VUOTO.

MA ALLA FINE TUTTI HANNO TROVATO LA PROPRIA MODALITÀ ESPRESSIVA E I LORO SEGNI, I LORO COLORI SONO DIVENTATI POESIE E RACCONTI PROFONDI.

I BAMBINI NASCONO PER ESSERE ARTISTI RICCHI DI INVENTIVA NEL SENSO PIÙ AMPIO DELL’ESPRESSIONE: DANNO VITA A EVENTI BELLI E SIGNIFICATIVI, CHE VOGLIONO CONDIVIDERE CON ALTRE PERSONE, A CUI SONO LEGATI DA UN RAPPORTO INTIMO E DI AFFETTO.

“IL PROCESSO CREATIVO È INSITO NELLA NATURA UMANA ED È QUINDI, CON TUTTO QUEL CHE NE CONSEGUE DI FELICITÀ DI ESPRIMERSI E DI GIOCARE CON LA FANTASIA, ALLA PORTATA DI TUTTI. […] NON PERCHÉ TUTTI SIANO ARTISTI, MA PERCHÉ NESSUNO SIA SCHIAVO” (G. Rodari)

 

4.VIDEO ATTENTI ALLA MOSTRA

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5 VIDEO “DURANTE ATTENTI ALLA MOSTRA” -realizzato da Tommaso Giudici Mr.Master –

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BUONA VISIONE – educare con i film –

SINOSSI

PRESENTAZIONE AUTORE

LEGGI INDICE E INTRODUZIONE

DOVE ACQUISTARE IL LIBRO:  

SINOSSI

Perché si ama tanto il cinema?

Perché i film, entrando a far parte della nostra vita con le loro storie – drammatiche, romantiche, divertenti o tristi – sono capaci di coinvolgerci ed emozionarci. È quindi inevitabile pensare ai film come ad uno strumento pedagogico.

In questo libro, l’autore mette in evidenza le potenzialità educative di un film e come possa essere utilizzato, sia da professionisti dell’educazione che dai genitori, per favorire una riflessione.

Presenta inoltre una rassegna di settanta film che affrontano alcuni grandi temi educativi, perché “non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”. (Ingmar Bergman)
Buona lettura … anzi buona visione!

PRESENTAZIONE AUTORE

Walter Brandani insegnante, educatore professionale, mediatore familiare e allenatore di rugby. Ha lavorato in vari servizi educativi per minori e adulti.

Per l’Associazione Nazionale Educatori Professionali è stato consigliere nazionale e referente del Centro Studi; attualmente insegna nella scuola primaria di Tradate (VA). Autore di libri per educatori, insegnanti e genitori,  è appassionato di cinema.

LEGGI INTRODUZIONE E INDICE (clicca qui)

 DOVE ACQUISTARE IL LIBRO

La MostraBalena

Copia di 01 - PRIMA DI COPERTINA

 

La MostraBalena è una mostra realizzata dagli alunni della classe 3B scuola primaria Battisti Tradate (VA) nata dalla lettura di Moby Dick e dalle canzoni di Vinicio Capossela

INDICE

  • PRESENTAZIONE

 

  • CATALOGO (puoi vedere tutti i quadri esposti)

 

  • VIDEO PRESENTAZIONE CON MUSICA DI VINICIO CAPOSSELA E ELIE BOTBOL

 

 

PRESENTAZIONE

Call me Ishmael è un progetto multi disciplinare

La lettura ad alta voce di “Moby Dick” ha offerto agli alunni la possibilità non solo di conoscere un classico della letteratura e di esplorare insieme una storia di “altri tempi” ma anche di stimolare la curiosità per le avventure narrate.
Ogni pagina del libro ha suscitato molte domande e riflessioni, che, di fatto, hanno favorito la capacità di comprendere un testo, di esprimersi e di arricchire, indirettamente, la percezione del mondo che ci circonda.

Se un buon libro può rappresentare uno strumento privilegiato per entrare in contatto con la realtà, ecco che, leggere libri ad alta voce, è senza dubbio un modo prezioso di confrontare la propria visione del mondo.

Dalla lettura condivisa hanno avuto inizio tanti viaggi: siamo saliti sulla barca della pittura, della musica, dell’approfondimento scientifico e biblico.
Viaggi che, solcando il mare di Moby Dick, hanno condotto ogni alunno a RICREARE il testo con i propri occhi e la propria mente, per approdare più ricchi in un nuovo porto, pronti a intraprendere, con tutto l’equipaggio, un nuovo viaggio.

videopresentazione

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catalogo

E’ stato realizzato un catalogo della mostra

 

Il pianeta degli alberi di Natale

NATALE

Il pianeta degli alberi di Natale
Autore Gianni Rodari
ETA’ 8 ANNI

EDITORE EINAUDI RAGAZZI

 

EDIZIONE CON I DISEGNI DI MUNARI

EDIZIONE CON I DISEGNI DI ALTAN

AUDIO LIBRO LETTO DA A. FINOCCHIARO

Su questo pianeta
È severamente proibito
Fare la guerra
Per mare e per terra
O sottoterra.
I trasgressori verranno presi per le orecchie
E gettati in cielo

 

 

TRAMA

Un giorno un bambino di nome Marco finì in una scia di un’astronave e il comandante, appena si accorse di lui, lo fece salire a bordo. Il giorno dopo atterrarono sul Pianeta degli alberi di Natale, lasciarono Marco, arrabbiato, e gli fecero conoscere un bambino di nome Marcus, che gli avrebbe fatto da guida. Marco notò degli alberi di Natale e si meravigliò perché era ottobre; chiese spiegazioni a Marcus che gli disse che su quel pianeta era sempre Natale. Marcus gli fece vedere molte altre caratteristiche di quel pianeta, ma Marco pensò che erano inutili.

Verso sera andarono in una casa a dormire, ma quando Marco si svegliò non trovò più il suo amico. Dopo averlo cercato dappertutto lo trovò e decise di seguirlo; arrivarono al “palazzo del governo” dove Marcus entrò per incontrarsi con altri, mentre Marco, fuori dalla porta, ascoltava i loro discorsi. Decisero di rimandare Marco sulla Terra; lui uscì di corsa dal palazzo e andò all’aeroporto dove, dopo del tempo, incontrò Marcus che era andato a salutarlo. Marco ripensò a tutte quelle invenzioni del Pianeta e si mise a piangere. Quando si risvegliò si trovò nel suo letto, però capì che non poteva essere stato un sogno perché i suoi vestiti profumavano di mughetto: un profumo che ricopriva il Pianeta degli alberi di Natale.

L’idea centrale è che con la fantasia si riesce ad immaginare un pianeta degli alberi di Natale con strane caratteristiche.

 

RECENSIONE
Edito in volume per la prima volta nel 1962, dopo essere stato pubblicato il 24 e 25 dicembre del 1959 sul quotidiano “Paese Sera”, “Il Pianeta degli alberi di Natale” è una meravigliosa favola fantastica di Gianni Rodari, maestro italiano della letteratura per ragazzi.
Marco riceve in regalo dal nonno un cavallo a dondolo, dono forse inadatto alla sua età, che lo trasporterà attraverso lo spazio fino a un pianeta dove è sempre Natale, gli addobbi ricoprono ogni cosa e l’atmosfera è sempre gioiosa e amichevole. Qui si troverà di fronte il proprio alter ego, Marcus, e tutta una serie di personaggi bizzarri e divertenti, caratterizzati dall’ironia tipica dei racconti di Rodari, nei quali l’umorismo più assurdo è portavoce di critiche serissime alla società contemporanea, troppo lontana dall’amicizia spontanea e dal profondo senso di giustizia del pianeta Serena.
Sarebbe un errore giudicare anacronistica quest’opera di Rodari, perché la genialità di questo autore risiede proprio nella sua capacità di creare opere solo all’apparenza semplici, ma ricche, nel profondo, di significati nascosti e preziosi.
La seconda parte del libro comprende il calendario del Pianeta degli alberi di Natale, che è più corto di quello terrestre e molto più divertente, seguito da una serie di poesie che dimostrano ancora una volta la bravura di Rodari nel giocare con le parole e il senso dell’assurdo.

Recensione a cura di :romanticamentefantasy.it

 

 

La scuola non serve a niente

 

UnknownAndrea Bajani

La scuola non serve a niente

Edizione: LATERZA 2014
Collana: i Robinson / Letture
Serie: iLibra

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Descrizione

A cosa serve la scuola? A cosa serve un romanzo? A niente. A che cosa servono gli insegnanti? A niente. O al più: a spostare mobili. Si entra a scuola ammobiliati in un modo, e giorno dopo giorno ci sarà
qualcuno che cercherà di spostare la disposizione di quello che siamo. A questo serve la scuola: a cambiarci la disposizione delle stanze. Nient’altro. Ci servono insegnanti che non rinuncino a farlo. E ci serve uno Stato che a questi insegnanti riconosca questa responsabilità. Nient’altro. Solo a questo ci serve la scuola. Con la capacità di cambiare la disposizione di una stanza si fa tutto: si comincia a pensare che se il mondo è disposto in un modo, e quel modo non ci piace, si può anche cambiare. Fare uscire i ragazzi dalla scuola con la capacità di immaginare un mondo diverso da quello che hanno consegnato loro, e non solo essere bravi a inserirsi dentro caselle già disegnate: la scuola a questo dovrebbe servire, a non accettare il gioco, a fare domande scomode. È una scelta politica quella di imparare a immaginare. Immaginare, scegliere, inventare delle parole nuove per dare forma nuova al mondo – liberarlo, in qualche modo, dalle parole in cui l’hanno costretto. È una scelta politica, quella di imparare ad accettare che una scuola non serve a niente se non a questo. A spostare mobili, a cambiare la disposizione del mondo.

 

Indice

Prologo
L’era del «Rinuncianesimo»
Separati in casa
Scaldare la sedia
Cosa resta del Prof 35
La scuola non serve a niente
Epilogo
In questione
Massimo Recalcati, Cari professori, non fate gli psicologi,
Marco Lodoli, Addio cultura umanista. Per i ragazzi non ha senso,
Christian Raimo, Ma a qualcuno interessa educare noi insegnanti?,
Mariapia Veladiano, Maestri con la valigia,
Cronache dal fronte

Silvia Dai Pra’, Il primo giorno,
Chiara Valerio, Almeno una regola, per favore,
Marco Lodoli, Insegnare a imparare,
Christian Raimo, Prof, la richiamo,
Silvia Dai Pra’, Argomento a piacere,
I numeri della scuola
Cronologia delle riforme

 

Biografia

Andrea Bajani
Andrea Bajani è nato nel 1975. Con Feltrinelli ha pubblicato Mi riconosci (2013) e La gentile clientela (2013), oltre ad alcuni racconti nella collana digitale Zoom. Tra i suoi libri, Cordiali saluti (Einaudi, 2005), Se consideri le colpe (Einaudi, 2007, Premio Super Mondello, Premio Brancati, Premio Recanati), Ogni promessa (Einaudi, 2010, Premio Bagutta) e La mosca e il funerale (nottetempo, 2012). Per il teatro è autore di Miserabili, di e con Marco Paolini, e di 18mila giorni, Il pitone, con Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa. Collabora con diversi quotidiani e riviste. I suoi romanzi sono tradotti in molte lingue.

INTERVISTA DA REPUBBLICA

La scuola? Non serve a niente. Non è solo un diffuso e stucchevole stereotipo, ma anche il titolo dell’ultimo, graffiante libro di Andrea Bajani, arricchito dai contributi, tra gli altri, di Massimo Recalcati, Mariapia Veladiano e Marco Lodoli. La scuola non serve a niente (in vendita in edicola, libreria e qui in formato ebook) è sicuramente una forbita provocazione del 38enne scrittore, che sviscera le lacune dell’istruzione italiana, oggi sempre più abbandonata dagli studenti, come mostrano ricchi video, grafici e statistiche allegati al volume. Ma è anche il denso auspicio di un’istruzione che sia sì focolare di nozioni e conoscenze, ma soprattutto faro brillante di una più lucida lettura del mondo. Affinché alunni e studenti possano dare “un nome alle cose” di questa sfuggente società liquida.

Insomma, Bajani, perché oggi «la scuola non serve a niente»?
“È un paradosso: oramai è diventato un mantra della nostra società per qualsiasi cosa, dall’economia al lavoro. Invece, bisogna uscire da questa logica utilitaristica: la scuola non deve soltanto “servire”, alla stregua di una chiave inglese. Bisogna tornare a quello che c’è dentro la scuola”.

E cosa c’è dentro?
“C’è la cultura. E la cultura contiene il verbo “coltivare”: le nozioni, certo, ma anche la convivenza, oltre a una lettura del mondo. Non a caso, la scuola è il nostro primo — e forse ultimo — luogo di aggregazione, comunità, condivisione. E quindi è indispensabile in un’epoca di profonde solitudini come la nostra”.

E invece si allarga il fenomeno del «rinuncianesimo», come lo chiama nel libro una giovane partecipante a un suo seminario. E cioè una scuola di rinunciatari passivi.
“È una parola tremenda e bellissima, a metà tra ideologia e religione. Risuona quasi come un atto di fede, ma purtroppo è una mesta chiave per capire che cosa sta succedendo alla scuola italiana: da un lato, gli studenti tendono sempre più a “disarmarsi”, a rinunciare ad aggredire la vita quotidiana. Dall’altro, considerano gli insegnanti degli impiegati statali e fannulloni. I quali, bisogna dirlo, a volte si attaccano conservativamente al vecchio mondo. E così perdono autorità”.

Perdita di autorità legata anche alla “scomparsa dei padri” nella società odierna, come ha scritto Massimo Recalcati che lei cita nel libro.
“È vero. Come il “Padre padrone”, non esiste più il “maestro Manzi”. Oggi, l’unica cosa che può fare un padre, spiega Recalcati, è testimoniare la propria paternità. E l’unica cosa che può fare un insegnante, di fronte al discredito collettivo, è dare testimonianza di sé, plasmando l’istruzione con entusiasmo e metodi concreti, alternativi alla tradizione. Come diceva Hannah Arendt, del resto: “L’insegnante è il testimone del mondo”. Ma qui c’è un ulteriore passaggio fondamentale”.

Quale?
“L’insegnante è parte integrante dello Stato. E lo Stato deve aiutarlo a restituirgli quell’autorità: dall’immaginario collettivo ai compensi, fino all’agibilità degli edifici. Un insegnante deve avere le spalle coperte. Da solo non ce la può fare”.

Invece, l’istruzione pare spesso trascurata dallo Stato italiano.
“Assolutamente. È inquietante che le riforme degli ultimi anni siano state tutte dettate da esigenze economiche e dai numeri più che da un nuovo approccio pedagogico o di insegnamento”.

Riforme che tra l’altro non hanno allineato l’Italia all’Europa. Un valido paragone nel libro è quello della Germania, dove la lezione è ultrapartecipativa, il professore “supera il fossato” e responsabilizza gli studenti.
“Esatto. In Germania, dove vivo, non c’è, almeno in apparenza, un rapporto di superiorità, perché il docente permette all’alunno di prendere in mano l’oggetto (ossia l’argomento) e di smontarlo e rimontarlo a piacimento. Così si sviluppano dialettica e senso critico. Negli studenti, ma anche negli insegnanti. Da noi, invece, si è sviluppata una passività sempre più marcata”.

Per questo lei scrive che la scuola deve ripartire dalle “parole”. Perché?
“Perché solo le parole possono salvarci. I ragazzi dei miei seminari li lascio sbizzarrire con neologismi perché diano un nome alle cose, che così escono dal buio e diventano conoscibili. È una delle grandi sfide: insegnare agli studenti come farsi certe domande e scegliere, per dare una forma al mondo. Soprattutto nel magma di Internet, dove hanno a disposizione tutta l’informazione possibile. Che però, senza il filtro della scuola, è merce senza valore”.

VIDEO PRESENTAZIONE

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JJJJ

Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione

MARIN INSEGNARE A VIVERE

Autore: Morin Edgar

Titolo: Insegnare a vivere
Sottotitolo: Manifesto per cambiare l’educazione

Pagine: 116
Anno: 2015

editore: Raffaello Cortina Editore

Prezzo: 11,00€

 

 

 

Il libro

Sulle tracce di La testa ben fatta e I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Edgar Morin auspica una riforma profonda dell’educazione, fondata sulla sua missione essenziale, che già Rousseau aveva individuato: insegnare a vivere. Si tratta di permettere a ciascuno di sviluppare al meglio la propria individualità e il legame con gli altri ma anche di prepararsi ad affrontare le molteplici incertezze e difficoltà del destino umano. Questo nuovo libro non si limita a ricapitolare le idee dei precedenti ma sviluppa tutto ciò che significa insegnare a vivere nel nostro tempo, che è anche quello di Internet, e nella nostra civiltà planetaria, nella quale ci sentiamo così spesso disarmati e strumentalizzati.

L’autore

Edgar Morin è una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. Nelle nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, La testa ben fatta (2000), I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001), La nostra Europa (con Mauro Ceruti, 2013), La mia Parigi, i miei ricordi (2013).

 

 

 

Anticipazione  testo pubblicata su Avvenire.

 

RECENSIONE

Edgar Morin. Insegnare a vivere

 

Il novantaquattrenne Edgar Morin, sociologo e filosofo, ci consegna l’ultimo saggio di una trilogia dedicata all’educazione. Insegnare a vivere (Cortina 2015), come i precedenti La testa ben fatta e I sette saperi necessari all’educazione del futuro (Cortina 2000 e 2001), non è un’opera pedagogica né una proposta di riforma del nostro sistema scolastico ma un suo radicale superamento. A indicare l’urgenza della proposta di Morin, due domande in esergo al libro chiudono ad anello le sorti dell’umanità e il destino del nostro pianeta: “Quale pianeta lasceremo ai nostri figli?” (Hans Jonas) ci richiama alla responsabilità nei confronti di quel prossimo che sono le generazioni future; “A quali figli lasceremo il mondo?” (Jorge Semprùn) affida la responsabilità all’insegnamento educativo che fin d’ora dovremmo attivare. L’intreccio fra l’umano e il naturale è ormai diventato un gaddiano garbuglio; gli oggetti con cui conviviamo sono sempre più ibridi, direbbe Bruno Latour, dove si fa indistinto il confine fra quanto è prodotto da noi e quanto si deve alle leggi del mondo. Di qui l’esigenza (che accomuna Morin a un altro “maestro del nostro tempo”, Michel Serres) di superare l’antica barriera che la nostra stupidità ha costruito fra cultura umanistica e saperi tecno-scientifici: non si tratta di questione accademica, o di conflitto di facoltà (mentali ed universitarie), in gioco è l’urgenza di una comprensione che ricollochi l’uomo nella natura. Tema su cui Morin ha l’innegabile merito di aver imposto tra i primi una riflessione, a partire dal lontano Il paradigma perduto (1972), quando ci invitava a comprendere la natura umana muovendo dalle radici evolutive da cui è emersa. Finché continueremo a tenere separate le due rive della cultura (fino a renderle rivali) non riusciremo a gestire le ricadute del nostro intervento sulla natura e di quest’ultima sulla comunità degli umani. Una comunità di destino, ricorda Morin, che si avvia a diventare planetaria, come esito della globalizzazione, o meglio, suggerisce il termine francese, mondializzazione, perché coinvolge non solo i gruppi umani, ma anche le loro relazioni con la biosfera.

 

Con la metafora della testa ben fatta (ripresa da Montaigne), Morin invitava a formare menti che fossero, non tanto piene di conoscenze, quanto in grado di porre e trattare problemi globali, grazie a criteri organizzatori che tengano conto della complessità che li governa. È questo che non sa fare la scuola, dalla primaria all’Università, frantumata com’è in discipline, affidata a competenze unilaterali o settoriali, cullata dalle certezze dei propri limitati campi d’indagine. Sempre più siamo posti di fronte a sistemi instabili, flou, dai confini indistinti e mobili (come le nuvole che già Wiener eleggeva a emblema del sapere cibernetico): in essi entrano in gioco il grande numero e molteplici variabili strette in relazioni non lineari, le leggi che governano le componenti non bastano a spiegare l’evolversi del sistema, con la conseguenza che si stempera ogni certezza previsionale. Se un tempo si poteva guardare alla geometria euclidea e/o alla fisica newtoniana come scienze regine, paradigmi di rigore esplicativo, oggi sono altre le scienze che ci educano a dialogare con l’incertezza. La matematica stessa, in perenne cammino verso il rigore, ci ha svelato la fecondità di campi dove domina il qualitativo e l’anesatto (dalla topologia ai frattali), fornendoci modelli molto più rispettosi della complessità del reale. L’esattezza è una richiesta che dovrebbe adattarsi agli esattori delle finanze più che agli insegnanti di matematica; qualcuno di essi ricorda il nevrotico protagonista di “Bianca” di Nanni Moretti, turbato dal non ritrovare ordine e regolarità fra le coppie degli amici, che fanno errori stupidi, e si separano.

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