Mi è nato un papà

INDICE
SCHEDA
INTRODUZIONE

LA MIA GRAVIDANZA MENTALE
I PRIMI GIORNI SULLA LUNA
IL MOTO PERPETUO

SCHEDA
Mi è nato un papà

di Alessandro Volta

Prezzo: 12,00 EUR

Restituendo il vissuto, anche emotivo, del diventare padri, il libro informa sulle dinamiche individuali e di coppia che si attivano con la gravidanza e la genitorialità, fa riflettere su ciò che questa straordinaria esperienza comporta, suggerisce modi di interazione positiva, esplorando l’arco di tempo che va dal concepimento al primo anno di vita del figlio.
Il racconto in prima persona si alterna a schede informative e d’approfondimento su temi specifici della gravidanza e del puerperio per dare un supporto scientifico e conoscitivo ai contenuti veicolati dalla narrazione.
Dedicato alle future madri, che vorrebbero avere le idee più chiare su cosa passa per la testa dei futuri padri, e ai futuri padri che desiderano una “chiave di lettura” al maschile dell’attesa e della nascita di un figlio.

L’autore
Pediatra e padre di tre figli, Alessandro Volta è responsabile del Servizio Salute Donna del Distretto di Montecchio Emilia (RE). È istruttore regionale per i corsi di Rianimazione Neonatale ed è membro della Commissione Nascita della Regione Emilia Romagna. Tiene periodicamente corsi di accompagnamento alla nascita per i genitori e corsi di formazione per il personale sanitario sulla genitorialità e sul sostegno all’allattamento al seno secondo le linee guida OMS/UNICEF. Autore di diverse pubblicazioni su riviste specializzate e dei volumi Apgar 12 (Bonomi, 2006) e Nascere genitori (Urra, 2008), cura il sito web www.vocidibimbi.it, offrendo preziosi consigli per vivere positivamente e con serenità l’avventura di crescere un figlio.

INTRODUZIONE
Che cos’è la paternità? Non è facile rispondere. È senz’altro più semplice definire la maternità, perché una donna con il pancione è qualcosa di speciale, e ancora più speciale è una mamma che abbraccia il suo piccolino e gli offre il seno.

Il padre è meno visibile, e conduce una gravidanza mentale che potremmo definire “per procura”; per lui assistere al parto può significare semplicemente vedere il suo bambino che nasce e la sua compagna che partorisce. Deve aspettare di poter tenere il suo piccolo tra le braccia, sentirne la consistenza e il peso, incontrare quello sguardo e ascoltare quella incredibile voce: allora probabilmente riuscirà a sentirsi padre. Fare il padre, sentirsi padre, esserepadre non sono esattamente la stessa cosa. C’è una componente sociale e antropologica nel fare il padre che cambia nelle diverse epoche e culture; c’è una complessa componente psicologica nel sentirsi padre che è l’effetto di numerose variabili che si sviluppano fin dall’infanzia; l’essere padre, infine, è una dimensione esistenziale che include anche idee filosofiche e teologiche sull’origine e il senso della vita.

Il ruolo sociale del padre è cambiato nel corso di una sola generazione. Non ho bisogno di confrontare la mia esperienza con quella di mio padre, mi è sufficiente osservare direttamente mio padre: nei primi mesi egli non ha partecipato attivamente al mio accudimento, ma dopo quasi trent’anni ha cambiato i pannolini e ha dato la pappa ai suoi nipotini, i miei figli. Il nuovo padre (e allora anche il nuovo nonno) si è dovuto inventare una nuova funzione, percorrendo un nuovo cammino, quello di caregiver che presta cure alla prole, anche se sempre al fianco della madre.

Così siamo passati dal padre escluso (nella società dove la nascita e la cura dei figli era “cosa di donne”), al padre osservatore (presente ma senza ruolo), e ora al padre partecipe e attivo.Questo “nuovo” padre non ha avuto modelli preesistenti, e ha dovuto riferirsi alla donna per definire il proprio ruolo; il grande rischio è stato quello di diventare un mezzo mostro, il cosiddetto“mammo”, perdendo la sua identità di genere e regalando al figlio due mamme, una delle quali finta. Questa difficile transizione è ancora in corso. Psicologi e sociologi si dividono in scuole di pensiero con idee e opinioni contrastanti, ma alla fine dobbiamo assistere alla pressoché totale e costante presenza dei maschi nei diversi momenti del percorso nascita. Nella nostra realtà, anche nelle popolazioni immigrate, che provengono da Paesi dove ancora la nascita ha una caratterizzazione di genere, il padre è sempre più presente e partecipe.

Occorre allora che si cominci a riflettere più a fondo su come aiutare e dove collocare questo padre; come per la donna che si prepara a essere madre, anche il maschio ha bisogno di occasioni per riflettere sulla sua esperienza, condividendo con altri padri dubbi ed emozioni. Senza occasioni di socializzazione e di confronto, un padre “solo”, ma coinvolto, corre gli stessi rischi della madre e come lei può essere soggetto a crisi di depressione postpartum (sono ormai numerosi gli studi scientifici che analizzano questo problema inaspettato). Il nuovo padre ha la possibilità di maturare ed esprimere una paternità che non imita e non sostituisce quella materna, ma che di questa si mostra complementare e sinergica. Riferendoci ai bambini piccoli potremmo allora parlare di “maternage paterno”, cioè del prendersi cura con sensibilità ed empatia, ma con modalità e caratteristiche maschili.

Affinché questo processo possa realizzarsi pienamente e correttamente occorre che la coppia madre-padre rivisiti la propria relazione alla luce dell’esperienza della nascita e della presenza del figlio, e costruisca un nuovo rapporto fondato sulla fiducia e la collaborazione reciproca, senza interferenze né sovrapposizioni. In questa ridefinizione l’impegno della madre non può essere inferiore a quello del padre, e l’effetto finale sarà una coppia che esce dall’esperienza generativa più forte e consapevole, in grado di presentare al figlio un modello di relazione che lui stesso potrà realizzare quando verrà il suo momento.

Questa lunga e noiosa premessa mi è servita per sottolineare come la nuova paternità sia argomento complesso e controverso. Voglio però rassicurare il lettore: l’obiettivo del libro è molto più semplice. Mi interessa fornire ai “nuovi” padri uno strumento leggero, e mi auguro piacevole, per riflettere sulla loro esperienza e incrementare un po’ la loro consapevolezza. Per questo ho sviluppato il percorso dal concepimento alla nascita e a tutto il primo anno di vita, raccontandolo in prima persona. Le informazioni presentate nel testo non sono esaustive, sono volutamente essenziali e funzionali ai concetti che ho scelto di sviluppare; alcune situazioni descritte sono da considerare a titolo di esempio per contestualizzare e rendere più efficace il racconto. I personaggi sono di fantasia, ma anche molto reali, perché rappresentano la sintesi della mia esperienza personale e di quella di tutti i padri (e le madri) che in più di vent’anni di professione ho osservato e ho cercato di sostenere. In particolare ho ricevuto molti spunti dalle domande e dal confronto avuto con i futuri padri durante i corsi di accompagnamento alla nascita e poi in ospedale durante quei pochi ma significativi giorni dopo il parto. Nel primo anno di vita del bambino ho contatti con i padri in occasione dei controlli del figlio e durante gli incontri periodici che organizziamo in consultorio, ma importanti stimoli mi sono arrivati anche via mail attraverso il sito www.vocidibimbi.it che ho aperto sette anni orsono e dove i padri intervengono con entusiasmo e senza paura.

Alla base di tutto questo ci sono poi letture di saggi e articoli sull’argomento che risparmierò al lettore ma che spero emergano in sottofondo. Mi sono anche riferito a una ricerca che nel 2004, aiutati da alcuni psicologi, abbiamo svolto nel Centro Nascita di Montecchio Emilia (RE) per indagare il vissuto dei padri prima e dopo l’esperienza della nascita. Lo studio completo, con una bibliografia essenziale, è visionabile sul sito all’indirizzo www.vocidibimbi.it/Mondobimbo/Approfondire/Paternita.htm

La mia speranza e la mia ambizione sono che i “nuovi” padri, soprattutto quelli alla loro prima esperienza, possano leggere un po’ meglio dentro se stessi e che le loro compagne possano vedere nel loro uomo che diventa padre un importante tassello dell’esperienza generativa; per tutti la consapevolezza che quando ci ritroviamo il nostro piccolino tra le braccia nulla può essere più come prima.

LA MIA GRAVIDANZA MENTALE

(dal capitolo 2)

Entro in casa stanco e nervoso dopo una giornata di intenso lavoro. Ho lasciato in ufficio alcune cose incompiute che mi hanno seguito, le sento ancora occuparmi la mente. Saluto Monica distrattamente, ma non sento la sua solita risposta. La trovo in bagno a vomitare; in realtà non vomita nulla, ha alcuni conati che le provocano dolori e contrazioni allo stomaco. Dopo pochi minuti, velocemente così come è arrivato, il disturbo sparisce. In un attimo dimentico i problemi del lavoro e provo una certa vergogna al pensiero che avevo completamente scordato la pancia di Monica. Lei ha iniziato questa fatica fisica e mentale, mentre io continuo la mia vita di sempre, al punto da potermi dimenticare questa gravidanza.

Non voglio giustificarmi, ma non è facile sentire con continuità un evento così nascosto. Monica invece è già “occupata” dal nostro esserino che millimetro dopo millimetro cresce dentro di lei; le nausee, i disturbi d’umore, le sensazioni strane, i risvegli notturni sono il segno concreto che lui c’è, è lì a lavorare per crearsi un nido sicuro, e Monica fa spazio dentro di sé, adattando il proprio corpo alle sue esigenze. Questa disponibilità tutta femminile mi provoca tenerezza e meraviglia al tempo stesso; Monica, come ogni donna che diventa madre, fin da questi primi giorni mostra una straordinaria capacità di sacrificio e abnegazione; fa tutto questo apparentemente senza sforzo, con grande naturalezza e semplicità. Il suo comportamento sembra dire: “Faccio soltanto quello che è necessario; per il mio bambino accetto quanto la natura mi chiede”.Nessuna opposizione né resistenza; mi ricorda Maria che all’annuncio dell’arcangelo Gabriele, risponde: “Eccomi, sia fatto di me quello che dici”. In tutto questo sento che Monica è già madre, fin dall’inizio.

Per me è diverso. Non mi sento occupato da nessuno, non provo alcun cambiamento fisico che mi ricorda e mi avvisa che qualcosa di straordinario sta succedendo. In questo momento il mio bambino (o bambina, è lo stesso) è solo pensato, e ho bisogno di qualcosa che me lo renda presente. L’altro giorno pedalavo sulla ciclabile pensando ai fatti miei, quando improvvisamente ho evitato un passeggino e i miei occhi hanno incrociato quelli di un rubicondo bambino dotato di ciuffo; in un attimo la mia mente è volata dentro la pancia di Monica a incontrare il nostro piccolino che sta preparando la sua venuta. Io per ora sono padre a comando, mi accendo e mi spengo senza un motivo apparente; questo bambino ho bisogno di pensarlo, ma a volte mi sembra più una fantasia che una cosa concreta. Anche i miei colleghi non si sono accorti di nulla. Quando ho comunicato la notizia in ufficio mi hanno fatto i complimenti, ma poi hanno continuato come se nulla fosse; mi sono accorto che nella programmazione del lavoro nessuno tiene conto che fra qualche mese per me la vita cambierà profondamente.

(…)

I PRIMI GIORNI SULLA LUNA

(dal capitolo 6)

I miei ricordi del travaglio e del parto sono nitidi e precisi, come scolpiti nella roccia. Se chiudo gli occhi rivedo la sequenza degli eventi e, come in filigrana, in ogni scena compare il viso di Lisa con i suoi grandi occhi aperti sul mondo. Dopo l’uscita dalla sala parto, invece, la mia mente è stata invasa da emozioni e sensazioni confuse e contrastanti. Lisa è in braccio alla mamma, io sono al loro fianco assieme all’ostetrica, attorno a noi molte altre persone parlano e si muovono. Dopo tante ore di penombra e di silenzio, di parole non dette o di frasi interrotte, improvvisamente ci troviamo a percorrere un corridoio pieno di gente e di rumore. Coloro che ci vedono sorridono e si complimentano, sono tutti gentili e affettuosi, ma io mi sento come un astronauta che dopo mesi passati in orbita ricade improvvisamente sulla terra.

Mentre rispondo ai sorrisi mi sento come il replicante di Blade Runner che alla fine del film dichiara: “ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare”. L’ambiente ora è completamente cambiato e mi sento come dissociato rispetto all’esperienza appena vissuta. Penso a Lisa, a come deve sentirsi in queste stanze troppo illuminate, immersa in questi rumori e odori per lei nuovi e incomprensibili; lei ora è priva di filtri e la mamma, pur tenendola in braccio, non è più in grado di mediare tra lei e la realtà esterna. Per nove mesi il corpo di Monica ha impedito che a Lisa giungessero stimoli troppo forti, ma ora il mondo le è addosso e lei si trova esposta e indifesa. Io continuo a sorridere e a rispondere alle solite frasi di circostanza, sono felice e orgoglioso, ma anche disturbato e insoddisfatto, sento intorno a me come una musica che stona, sento una mancanza di ritmo e di equilibrio. Monica forse prova meno disagio, è spossata e quasi senza forze, probabilmente ha soltanto una gran voglia di dormire.

Mentre cerco di fare ordine nel turbinio di questi sentimenti, Lisa viene presa dall’infermiera incaricata dell’assistenza ai neonati. È molto pratica e veloce; è chiaro che da molti anni svolge queste mansioni e probabilmente avrà lavato e vestito migliaia di neonati. Lisa però sembra non gradire tutta questa velocità e manifesta piangendo il suo disappunto. In braccio a noi era tranquilla e rilassata, adesso invece sembra infastidita da queste manipolazioni, chiude gli occhi e aggrotta la fronte. Per pulirla e vestirla è comunque necessario toccarla, girarla e rigirarla, anche i pochi secondi sulla bilancia per lei sono fastidiosi e incomprensibili. La guardo nuda sul fasciatoio, ha le braccia allungate con le mani aperte, anche le gambe sono diritte alla ricerca di un confine, di una sponda; la vedo “afferrare l’aria” alla ricerca di un contenimento. A un certo punto inizia a tremare con le braccia e con il mento; chiedo se sente freddo, l’infermiera mi risponde che non ha freddo, che il suo disagio deriva dallo spazio, anzi dal vuoto che la circonda. Mi viene in mente quanto ci dicevano al corso: Lisa finora ha vissuto nel liquido, come un pesciolino, e non conosce ancora la forza di gravità (è per questo che ha potuto trascorrere tante settimane a testa in giù). Adesso ha perennemente la percezione di cadere o di rotolare. Il pediatra che la visita aggiunge che occorreranno diversi giorni prima che Lisa impari a gestire lo spazio circostante e riesca a sentirsi sicura con il semplice appoggio della schiena; per ora ha bisogno di sentire i vestiti che la toccano, le occorre un limite e un confine soprattutto per gli arti. Dobbiamo considerare che nella pancia la sua schiena era completamente avvolta, i suoi piedi e la sua testa erano contenuti senza alcuna possibilità di estensione.

Attraverso queste semplici spiegazioni riesco a capire meglio il comportamento della mia bambina; vedo infatti che appena immersa nell’acqua per il bagnetto torna a rilassarsi e ad aprire gli occhi; sembra dire: “finalmente sono tornata nel mio elemento,ora davvero mi sento sicura e protetta”. Ma la felicità non dura molto, appena estratta dalla vaschetta si ritrova nel vuoto; pur sorretta da mani esperte, esprime urlando tutta la sua paura. Anche l’asciugatura non viene gradita, troppo veloce e troppo “aggressiva”; come ogni neonato anche Lisa proviene dalla luna, finora è vissuta nello spazio, è quindi un essere delicato e sensibile che ha bisogno di tempo e di gradualità per adattarsi a questa nuova dimensione.

(…)

IL MOTO PERPETUO

(dal capitolo 10)

(…)

In questo periodo è capitato che Monica e sua madre stessero via due giorni per recarsi al matrimonio di una cugina. Potevamo andare tutti assieme, ma per Lisa sarebbe stata un’inutile fatica, anche se le feste le piacciono molto. Dopo otto mesi dal parto questa è un’occasione per valutare se Lisa riesce a stare un po’ senza mamma e se io riesco davvero a occuparmi di lei. Spero in questo modo che Monica possa svagarsi e incontrare con maggiore libertà amiche che non vede da tempo. Ho preso due giorni di ferie e ho programmato di gestire Lisa mantenendo il più possibile invariate le sue abitudini; in pratica è come se fosse domenica, con la differenza che Monica non è presente. Invito mio padre a pranzare da noi, così anche lui non si sente solo.Dopo mangiato Lisa si è addormentata, io ne approfitto per riordinare.

Mio padre mi guarda e, un po’ per scherzo un po’ seriamente, dice che sembro una brava mammina. È soltanto una simpatica battuta, che però permette l’avvio di un’interessante chiacchierata sul ruolo del padre e sul rapporto di coppia. Mio padre ha sempre avuto idee molto moderne, ha fatto per tutta la vita il maestro elementare applicando schemi educativi basati sulla valorizzazione delle risorse del singolo bambino; ha quindi gli strumenti per analizzare e riflettere sui cambiamenti avvenuti nell’accudimento dei bambini in questi ultimi anni. Il suo giudizio complessivo è positivo; considera utile e importante il nostro modo di condividere la crescita di Lisa fin dalla nascita, anche se i compiti di Monica sono predominanti sui miei. “La piccola,” dice, “si è abituata a stare bene anche con te, cerca ugualmente la mamma, ma riesce a sopportarne la mancanza e a sostituirla temporaneamente.”

Concordiamo che Lisa da un po’ di tempo sa distinguere tra il papà e la mamma e si comporta con loro in modo diversificato. Ultimamente comunica sempre più con i nonni e mangia volentieri anche da loro. Mio padre ammette che quando io ero piccolo, non era pensabile che lui facesse quello che ora sto facendo; probabilmente ne sarebbe stato capace, e gli sarebbe anche piaciuto, così come ora si diverte a imboccare Lisa o a cambiarle il pannolino quando occorre. In quegli anni però era prevista una divisione di ruoli molto precisa e non discutibile. C’erano lavori da uomo e lavori da donna; i bambini piccoli erano un lavoro da donna, così come guidare un autobus era un lavoro maschile. “Oggi voi giovani papà,” dice, “vi occupate dei neonati e dei lattanti assieme alle madri, lo fate bene e ne traete anche una certa soddisfazione, dovete però stare attenti a non sostituirvi alle donne e a fare tutto ciò senza perdere la vostra identità.”

Il discorso si è fatto serio e impegnativo, però mio padre ha colto il nocciolo del problema. Lo rassicuro e gli faccio notare: “Hai ragione, ma la soluzione viene sempre dal bambino; se partiamo da lui non possiamo sbagliare. Guarda Lisa, è lei stessa a chiedere a me di giocare rotolandoci sul tappeto e alla mamma di essere coccolata quando inciampa e cade. L’allattamento è formidabile per mantenere ben distinti questi piani: Monica ha il seno da succhiare, io ho la tazza da sorreggere; poi Monica può anche dare la tazza e ogni tanto può rotolare con lei sul tappeto, ma lo farà sempre in maniera diversa da me. Stando con me Lisa conosce un mondo differente da quello che conosce con Monica, con lei ha condiviso tutto fin dal concepimento, io invece sono arrivato dopo e le ho fatto scoprire cose diverse. Quando siamo presenti entrambi, sempre più spesso, Lisa ci guarda alternativamente per osservare le nostre differenti reazioni a qualche suo rumoroso richiamo, sembra che voglia metterci alla prova, o che voglia mettere se stessa alla prova: la prova della differenza nell’eguaglianza”.

Intanto nei due giorni senza mamma Lisa ha avuto soltanto un momento di crisi, quando durante la notte si è svegliata e voleva Monica; le ho detto che la mamma dormiva, che non stava bene e che domani l’avrebbe vista. Questa spiegazione le è bastata e si è calmata. Più tardi, riflettendo sull’episodio, mi sono reso conto che alla sua età non poteva comprendere una frase e un ragionamento di questo tipo. Probabilmente ha funzionato il modo tranquillo ma deciso con cui le ho parlato, l’ho convinta perché sono stato rassicurante o forse semplicemente perché ormai mi conosce bene e si fida di me.

(…)