A.A.A. Achille (Albanese, 2001)

A.A.A. Achille
Indice
Sinossi
Introduzione al Film
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Sinossi

Achille, otto anni, foggiano, è rimasto da poco orfano di padre. La tremenda tragedia familiare ha accentuato un suo vecchio problema: la balbuzie. In casa, per combattere il tartagliamento del piccolo, madre e zii adottano ogni metodo, da quelli scientifici a quelli religiosi. Fallito ogni tentativo, non rimane che il ricovero in una clinica logopedica. Nonostante il suo dissenso, Achille viene portato in un centro specializzato, guidato dal prof. Aglieri, un luminare della logopedia, e sottoposto ad un particolare metodo terapeutico inventato dallo stesso professore: trattasi del “cantoparlare” che, in sintesi, richiede al paziente di comunicare cantando.

A guarire gli ospiti della clinica più dei metodi del dottore – che al contrario di quanto promette, rischia di emarginare definitivamente i balbuzienti – può la presenza di Remo, un ex balbuziente appassionato di costruzioni e di giocattoli. Nella stanza assegnatagli, l’uomo ha creato un vero e proprio laboratorio creativo nel quale i malati, Achille in primis, si rifugiano per divertirsi, giocare, sperimentare e, soprattutto, imparare a prendersi meno sul serio. Alla fine del periodo di cura, Achille non avrà soltanto attenuato significativamente il suo handicap, ma avrà terminato il necessario percorso di elaborazione del lutto per la morte del padre.

Introduzione al Film

Sporcarsi le mani per non sporcare le parole

Giovanni Albanese non è un regista cinematografico, ma un artista, un creatore, uno scenografo. Ha concepito e realizzato il mega-utero dentro al quale era ambientato uno stravagante film di Giovanni Veronesi con Sergio Castellitto e Paolo Rossi, Silenzio si nasce; è stato autore delle fantasiose installazioni di uno spettacolo teatrale di Antonio Albanese (Giù al nord); è un riconosciuto scultore che si ispira ai lavori di Duchamp e di altri artisti dell’avanguardia europea. Soprattutto, è un ex-balbuziente (“un balbuziente a riposo”, come lui stesso si definisce) che – come il giovane protagonista del film – ha conosciuto la balbuzie dopo la morte del padre, avvenuta quando aveva solo otto anni. A.A.A. Achille è quindi un’opera prima imbevuta – come spesso accade negli esordi cinematografici e letterari – di autobiografismo. Ciò che più incuriosisce di questa pellicola è il connubio tra la forza esplosiva della parola e la forza creatrice delle invenzioni (artistiche e non).

Infatti, la storia di Achille e Remo serve al regista per evidenziare il tipo di handicap che ogni balbuziente deve affrontare: l’impossibilità non tanto di comunicare con gli altri, ma di attrarre e accoppiare le parole tra di loro, di farle giocare insieme generando – in questo modo – significati che superano il singolo valore di un vocabolo. A chi esperisce la condizione di Achille non resta che sostituire alle parole le azioni: se non si possono fare “giochi di parole”, sfruttare fino in fondo le figure retoriche, affabulare gli altri come un “azzeccagarbugli”, allora bisogna costruire figure con gli oggetti, mischiare, accozzare, unire pezzi, sfruttare la propria manualità per trasmettere la complessità dell’animo umano. In estrema sintesi: sporcarsi le mani poiché non si possono sporcare le parole.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Prendersi gioco degli altri, prendersi poco sul serio

Remo e Achille sono accomunati dalla stessa passione per il gioco, per l’invenzione, per la costruzione, tanto da poter essere considerati la fase infantile e matura della stessa persona. Lo chiarisce immediatamente il bambino quando, rivolgendosi per la prima volta a Remo, gli ricorda che non è suo padre. L’ex balbuziente, intelligentemente, non cerca di sostituire il genitore deceduto, ma di affiancare il piccolo amico scegliendosi un ruolo che si avvicina a quello dell’angelo custode: lo cerca quando scappa dalla clinica e lo accompagna a casa (un padre l’avrebbe costretto a restare in clinica), non lo rimprovera mai, lo lascia alle grinfie del dottor Alieri anche se sa benissimo che è un cialtrone, perché quello è l’unico modo per stargli vicino. La figura di Remo acquista ulteriore significato se accostata con l’altra figura maschile adulta che interagisce con Achille: il professore (imbroglione) Alieri. Il suo metodo del “cantoparlare” è il doppio, contrario e speculare, del metodo adottato da Remo.

Da una parte assistiamo alla canzonatura dei pazienti, alla trasformazione dei balbuzienti in oggetti da deridere (è questa l’inevitabile reazione di chi si sente interpellato con frasi “cantoparlate”, come conferma la scena del supermarket), dall’altra abbiamo invece un sistema educativo ludico, che concepisce il gioco come momento di formazione, ma anche come festa condivisa (la giornata al mare); da una parte quindi c’è una presa in giro che sancisce l’inevitabilità dell’esclusione del diverso dal convivio sociale, dall’altra c’è un prendersi poco sul serio che produce normalizzazione e integrazione nella comunità. La differenza appare sottile, ma è palesemente spropositata. Achille, almeno inizialmente, è in balia di entrambe le metodologie appena descritte. Con la testa segue le indicazioni del professore, con le mani (e il cuore) si fa affascinare dal laboratorio di creatività, continuando a frequentarlo appena terminate le sedute terapeutiche.

È, quindi, la voglia di costruire e di infondere una forza anarchica agli oggetti (si veda la meravigliosa trottola con cui gioca il bambino) a spostare il piatto della bilancia dalla parte di Remo. L’intuizione (autobiografica) di Albanese nobilita il film: forse meglio di altre pellicole, A.A.A. Achille mostra quanto possa essere decisivo, nelle società della comunicazione visiva e verbale, la manualità soprattutto per i bambini. È uno strumento unico di espressione del sé, consente di trasmettere le proprie paure, i propri desideri e i propri sentimenti agli altri, è la realizzazione pratica del lato fantastico della mente umana, è una risorsa che – come Albanese ha testimoniato costantemente nella sua vita- non dovrebbe mai essere lasciata in disparte o sfruttata solo per un breve periodo della vita.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

AAA Achille è un film fruibile da ogni tipo di pubblico. Può rappresentare un ottimo spunto di riflessione sia sulla relazione tra handicap e società, sia per sottolineare l’importanza delle parole e dei suoni per il nostro stile di vita. Tra tutti i film che trattano tematiche legate all’handicap, segnaliamo la pellicola di Ken Russell, Tommy (1975), storia di un ragazzo che diventa cieco, muto e sordo per lo shock subito alla morte del padre, riuscendo a superare completamente il trauma solo dopo la morte della madre e del patrigno. Un’altra pellicola che sottolinea il bisogno e la forza di comunicare con il mondo è Gaby, una storia vera (1987) di Luis Mandoki, rievocazione della vicenda umana di Gaby Brimmer, una ragazza affetta da paralisi cerebrale capace di comunicare soltanto battendo con il piede su una tastiera.

Achille e Anna – da A.A.A. Achille

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Marco Dalla Gassa (www.minori.it)