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SINOSSI
Un film di Ethan Coen, Joel Coen. Con Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Hailee Steinfeld, Barry Pepper.
continua» Titolo originale True Grit. Western, Ratings: Kids+16, durata 110 min. – USA 2010
Dopo che il padre è stato ucciso da un pistolero di nome Tom Chaney, la 14enne Mattie Ross decide di avere la sua vendetta. Per avere aiuto, assolda il più duro dei Marshall del west, Reuben J. ‘Rooster’ Cogburn, un uomo ruvido e dal carattere difficile che accetta con riluttanza che Mattie lo accompagni nella caccia all’uomo di cui è stato incaricato. A loro si unisce poi un Texas Ranger di nome LaBoeuf, da tempo sulle tracce di Chaney.
Ispirato alle centosettantacinque pagine del libro di Charles Portis, Il Grinta dei fratelli Coen non è il remake dell’omonimo film di Henry Hathaway interpretato da un autunnale John Wayne. Ambientato in Arkansas e girato tra il New Mexico e il Texas, realizza pienamente le suggestioni western di Non è un paese per vecchi, trattando la vendetta e la giustizia in un interregno sospeso tra barbarie e leggi per garantire un ordine necessario a una rassicurante convivenza civile. Intenzionalmente distanti dall’epica solare e dall’avventura benevola di Hathaway, i registi si misurano direttamente con un classico della letteratura americana, aderendo fedelmente ai dialoghi ma intervenendo significativamente sul tessuto narrativo. Interventi, i loro, che hanno liquidato le divagazioni ed esagerato il separarsi e il ritrovarsi dei protagonisti, enfatizzato la cavalcata finale dello sceriffo Cogburn e convertito il realismo letterario in parentesi surreali (l’atmosfera allucinatoria della galoppata notturna), ridimensionato il ruolo del Texas Ranger LaBoeuf col corrispondente incremento delle qualità ‘grintose’ e battagliere della giovane Mattie Ross, che invoca avvocati e ricorsi legali, impugna pistole e predica il Vecchio Testamento.
Fedele al testo è pure la cornice soggettiva del racconto, dichiarata dalla voce over di Mattie che apre e chiude il film, e la triplice prospettiva portisiana: tre personaggi, tre sguardi e tre caratteri dell’America portatori rispettivamente di uno zelo protestante (Mattie), di uno spirito anarchico (Cogburn) e di un’anima repubblicana (LaBoeuf ).
Il raffinato Grinta dei Coen restituisce al western quella centralità nell’immaginario quotidiano che da troppo tempo non deteneva.
Quarantadue anni dopo Il Grinta di Henry Hathaway, i fratelli Coen recuperano lo sceriffo anarchico e sbronzo di whisky di Charles Portise ne restituiscono una lettura fedele al romanzo e conforme al loro cinema. Jeff Bridges, faccia da duro e modi da duro, impugna il fucile e sfida John Wayne, interprete marmoreo del cinema epico-avventuroso, e il ruolo che gli valse il solo Oscar della carriera e un remake nel 1975 con Katharine Hepburn.
Coinvolti loro malgrado in uno scontro a fuoco mediatico, i contendenti incarnano e portano a termine la stessa avventura: accompagnare la vendetta di un’adolescente protestante e ostinata nella terra indiana di Choctaw, dove si nasconde il pavido assassino di suo padre.
Stessa grinta, stessi peccati, stessi morti sulla coscienza, stessa voglia di whisky, stessa benda nera (ma diverso occhio chiuso), Wayne e Bridges producono sullo schermo una discorde eco emotiva ma esibiscono la medesima natura classica.
Le loro performance distanti per ‘corpo’, tenace e atletico il primo, pigro e gravato il secondo, rivelano tracce di emozioni precedenti e di stagioni cavalcate e differenti del cinema americano, dentro il quale condividono John Huston, la malinconia crepuscolare, lunghi anni di gavetta e lo spirito da ‘fondisti’.
A distinguere le interpretazioni corpose sono piuttosto i film che le comprendono e le svolgono. Se il vecchio maresciallo dell’esercito interpretato da John Wayne era protagonista dell’avventura disneyana e paterna di Hathaway, lo sceriffo bevitore di Jeff Bridges è spettatore ravvicinato di un mistero in gonnella che riuscirà comunque a risolvere, trascinandosi dentro un western sospeso e osservando quello che gli accade intorno per poi dare il colpo di grazia con una cavalcata finale fulminante. (Marzia Gandolfi )
Mattie Ross è una quattordicenne fermamente intenzionata a portare dinanzi al giudice, perché venga condannato alla pena capitale, Tom Chaney l’uomo che ha brutalmente assassinato suo padre. Per far ciò ingaggia lo sceriffo Rooster Cogburn non più giovane e alcolizzato ma ritenuto da tutti un uomo duro. Cogburn non vuole la ragazzina tra i piedi ma lei gli si impone. Così come, in un certo qual modo, gli verrà imposta la presenza del ranger texano LaBoeuf. I tre si mettono sulle tracce di Chaney che, nel frattempo, si è unito a una pericolosa banda.
“I malvagi fuggono quando nessuno li insegue”. Con questo passo dal Libro dei Proverbi si apre il film che rappresenta l’ennesima sfida dei Coen. Questa volta i due registi decidono di confrontarsi al contempo con un genere che hanno (seppure a modo loro) già esplorato (il western) e con un’icona del cinema di nome John Wayne. Non era un’impresa facile realizzare un remake del film di Henry Hathaway che fece vincere l’Oscar al suo protagonista. Ma, come sempre, i Coen riescono a costruire un’opera totalmente personale pur rispettando (più dell’originale) lo spirito del romanzo di Charles Portis a cui la sceneggiatura si ispira.
Già la citazione biblica ne è un segno. Mattie è spinta a cercare giustizia da un carattere assolutamente determinato e lontano dall’iconografia della donna del West (Calamity Jane, Vienna/Joan Crawford e pochi altri esempi a parte) ma anche da un fondamentalismo che ha radici religiose. I Coen eliminano visivamente il prologo proponendo la vicenda come un flashback della memoria della donna Mattie. Una donna divenuta troppo precocemente tale perché nata in un mondo in cui dominano l’ignoranza (“Mia madre sa a malapena fare lo spelling della parola cat”) e la morte.
È un film sul distacco, sulla perdita, sulla separazione Il Grinta. Mattie non bacerà il cadavere del padre (per quanto sollecitata) ma assisterà all’impiccagione di tre condannati due dei quali potranno esprimere il loro pentimento o la loro rabbia. Il terzo non potrà farlo: è un nativo pellerossa. La stessa Mattie però dormirà nella stanza mortuaria accanto ai cadaveri degli impiccati. Da quel momento avrà inizio un lungo percorso in cui Rooster Cogburn, detto Il Grinta, sarà una sorta di disincantato ma al contempo dolente Virgilio pronto a raccontare di sé e del suo confronto quotidiano con una morte inferta o subita. Mattie lo vedrà per la prima volta non mentre arriva in città con i malfattori catturati (come nel film del 1969) ma emergere progressivamente alla visione mentre in tribunale gli viene chiesto conto degli omicidi (a favore della Legge certo ma sempre omicidi) compiuti. Jeff Bridges è perfetto nel rendere quasi tangibile questa figura di uomo della frontiera cinematograficamente in bilico tra la classicità e lo spaghetti-western.
Si lascia The Duke Wayne alle spalle e affronta un viaggio in un genere destinato a proporre, incontro dopo incontro e scontro dopo scontro, una riflessione su un modo di concepire il confronto sociale non poi troppo distante da quello in atto in questi nostri difficili tempi. Perché, non dimentichiamolo, anche il più apparentemente astratto film dei Coen morde sempre (e con grande lucidità) sul presente. (Giancarlo Zappoli )