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Finire un po’ prima. Riflessioni pedagogiche sul suicidio

 

Titolo Finire un po’ prima. Riflessioni pedagogiche sul suicidio

Autore  Raffaele Mantegazza

Editore Castelvecchi, 2017

PAGINE 60

PREZZO 11 euro

  1. INTERVISTA ALL’AUTORE
  2. QUARTA DI COPERTINA

INTERVISTA A RAFFAELE MANTEGAZZA

 

Walter Brandani: Perché un libro sul suicidio?

RAFFAELE MANTEGAZZA: Perché paradossalmente è uno dei temi “taciuti” un campo pedagogico; esistono analisi sociologiche e psicologiche ma manca una riflessine di tipo educativo, forse perché il gesto estremo, chiudendo ogni possibilità di futuro, sembra sottrarre all’educazione la sua materia prima, che è proprio il futuro. Eppure un educatore ha molto da imparare e molto da dire attorno a questo tema.

WB: A chi si rivolge il libro?

RM: A chiunque abbia responsabilità educative, che abbia affrontato incontrato o meno personalmente il suicidio nella strada della sua vita. Il testo è per genitori, educatori, insegnanti che incontrano giovani e ragazzi per i quali il suicidio è una possibilità e spesso una tragica realtà.

WB:Qual è il rapporto tra il sudicio e l’educazione?

RM: Sembrerebbe non esservi alcun rapporto tra l’apertura al futuro che è propria dell’educare e la totale chiusura scelta dal suicida. Invece la mai tesi è che, non esistendo il cromosoma del suicidio, il suicida diventi tale grazie a un lavoro di costruzione della soggettività che possiamo definire educativo in senso ampio. Scopo del libro è indagare appunto la costruzione del soggetto suicida e capire come l’educazione possa rispondere passo su passo a questo percorso annichilente.

WB: Il suicidio di una persona ci coglie spesso di sorpresa. Il suicidio è quindi un atto imprevedibile?

RM: Il problema fondamentale è quell’ultimo istante, quegli ultimi millimetri di tempo che separano la tentazione del suicidio dall’esecuzione del gesto annichilente. In questo senso, nel superamento di questo iato, sta tutta l’imprevedibilità del suicidio, il suo poter riguardare chiunque in qualsiasi momento. Fa parte della tragica miopia delle nostre menti e delle nostre sensibilità il fatto di poter solamente sfiorare questa terra di nessuno senza mai poterci mettere piede. Possiamo agire fino a un secondo prima del passo decisivo, ignorando quale sia questo istante.

WB: Molti, dopo un suicidio, si chiedono “perchè l’ha fatto”: è una domanda alla quale è possibile dare una risposta?

RM: E’ una domanda del tutto inevitabile, ma che occorre imparare dolosamente a tenere aperta; e ad essa ne vanno affiancate altre: “cosa resta di questa persona?”, “che ne è di me dopo questo gesto?” e soprattutto “che ne è di questa relazione umana che questa persona ha scelto unilateralmente di interrompere?”. Queste le domande con le quali ci lascia il suicida: una serie di “perché?” che cambiano la nostra vita ma che possono anche permetterci di rileggerla sotto una luce nuova.

 

QUARTA DI COPERTINA

Questo libro pone la pedagogia e le scienze dell’educazione a confronto con il tema del suicidio, seguendo la tesi secondo cui chi si suicida giunge alla sua scelta al termine di un processo formativo, e autoformativo, di una pedagogia latente e invisibile che è importante indagare. Suicidi non si nasce, ma si diventa costruendo e lasciando costruire la propria identità in un labirinto senza fine e senza vie d’uscita. Le forme attraverso cui si perviene alla scelta vengono analizzate sempre con l’attenzione rivolta ai processi pedagogici che hanno agito nei differenti casi, con una particolare attenzione ai legami relazionali (amici, figli, amanti) e al loro ruolo prima e soprattutto dopo il gesto (che assume in questo senso esso stesso una dimensione pedagogica). Nell’ultima parte del testo si propongono piste di riflessione pedagogica che possano portare a una nuova concezione e consapevolezza della vita e della morte, ed essere messe in campo per percorsi educativi che aiutino a evitare di creare soggetti pronti a “levar la mano su di sé”.