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Il calamaro e la balena (Baumbach 2005)

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SINOSSI

Il calamaro e la balena un film di Noah Baumbach. Titolo originale The squid and the whale. Drammatico, durata 81 min. – USA2005. –

Tutto scorre apparentemente tranquillo nella vita di quella che potrebbe essere una qualsiasi famiglia di Brooklyn, padre, madre e due figli, ma a dispetto della facciata perfettamente integra le fondamenta barcollano non poco, fino a crollare fragorosamente. Così, a seguito della separazione tra Bernard, scrittore senza più editori, e l’esasperata Joan, decisa a liberarsi dall’ego e dall’ombra del marito, i figli Walt e Frank si troveranno a fare la spola tra gli appartamenti dei due genitori. Gli adulti si daranno da fare imbarcandosi in relazioni improbabili, chi con un giovane istruttore di tennis, chi con un’acerba ma smaliziata studentessa, influenzando giocoforza le vite dei ragazzi, in una girandola di confusione adolescenziale di mezza età.
Noah Baumbach scrive e dirige l’autobiografia della propria adolescenza, facendoci assistere al racconto da un punto di vista privilegiato: quello di chi lo ha vissuto. Visione cinica quanto trasparente di un particolare collasso familiare e delle sue conseguenze più immediate, Il Calamaro e la Balena (si lascia scoprire allo spettatore il perché del titolo) è un’opera che gioca sulla fragilità dell’essere umano e l’impalpabilità dei suoi sentimenti, sospesi in equilibrio improbabile tra routine, sicurezza e felicità dimenticata per strada. (Giovanni Idili Mymovies)

RECENSIONE

Il calamaro e la balena, uscito in sordina sugli schermi cinematografici italiani, ha avuto una candidatura agli Oscar 2006 come migliore sceneggiatura originale. Noah Baumbach, che ha iniziato la sua carriera come regista nel 1995, a 26 anni, con Scalciando e strillando (Kicking and Screaming, Usa), è stato anche sceneggiatore diLe avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Aquatic With Steve Zissou, Usa, 2004) diWes Anderson, che gli ha reso il favore ne Il calamaro e la balena producendo il film. Ne Il calamaro e la balena, Baumbach riflette autobiograficamente sulla crisi familiare che caratterizzò la sua adolescenza, celandosi dietro il personaggio di Walt, allampanato diciassettenne, la stessa età che aveva il regista nel 1986, anno in cui si svolge il film.
Il Bernard Berkman del film, padre di Walt, riflette il vero padre di Noah, Jonathan Baumbach, scrittore dalle alterne fortune: grazie al rapporto tra Bernie e Walt nel film è però possibile notare le influenze cinematografiche adolescenziali di Noah dovute indirettamente ai gusti del padre Jonathan, che in una fase della sua vita è stato anche critico cinematografico per la “Partisan Review”, storica rivista di sinistra fondata dal teorico del Masscult e Midcult Dwight MacDonald. Ciò che nella pellicola si nota superficialmente è una grande passione per il cinema francese, soprattutto per quello della Nouvelle Vague, di cui si citano Il ragazzo selvaggio (L’enfant Sauvage, Francia, 1970) di François Truffaut eFino all’ultimo respiro (À boute de souffle, Francia, 1960) di Jean-Luc Godard, in particolare l’ultima scena, quella in cui Jean-Paul Belmondo, poco prima di morire, offende Jean Seberg toccandosi le labbra da parte a parte. Sul muro spoglio dell’abitazione di Bernie compare poi la locandina di La maman et la putain (Francia, 1973), capolavoro travagliato di un talento altrettanto inquieto della Nouvelle Vague francese come Jean Eustache. La filiazione, seppur ad una lettura epidermica, appare chiara: così come il cinema francese del periodo a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta puntava a far diventare il film una sorta di diario intimo, sulla scorta di una serie di teorie ed interventi di vari studiosi e critici (Astruc, Bazin, Truffaut stesso), Baumbach assume in prima persona questo invito quasi cinquant’anni dopo e realizza il suo personale diario intimo di un’adolescenza sofferta, condotta all’ombra di un padre frustrato ed egoista, cultore di una personalità continuamente preda della superbia e dei rovesci del destino. L’altro riferimento nel film è a Velluto blu (Blue Velvet, Usa, 1986) di David Lynch, film uscito nel periodo in cui è ambientata la vicenda, altra imposizione di Bernie/Jonathan nei confronti della formazione culturale del figlio: l’assunzione in questo caso è forse meno percepibile e forse anche maggiormente forzata, se si suppone che l’ispirazione lynchiana possa aver influenzato Baumbachnella creazione di un universo in cui l’angoscia si nasconde dietro la patina di perfetta, anche se squilibrata, rispettabilità.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Una partita di tennis familiare

Le vicende narrate in Il calamaro e la balena iniziano in un campo da tennis, con una partita di doppio misto. Misto non tanto perché include anche una donna, quanto perché mette di fronte quasi programmaticamente gli schieramenti protagonisti dell’aspro e rovinoso conflitto che di lì a pocoBaumbach svilupperà in seno alla famiglia Berkmann. Da un lato Bernie, il padre, e Walt, il figlio maggiore, invogliato ad insistere “sul rovescio debole della madre” per portare in porto una partita la cui unica posta in gioco è una vuota soddisfazione personale. Dall’altro, Joan, la madre, moglie di Bernie da diciassette anni, e Frank, il figlio minore della coppia, che nella partita pare essere spettatore della sfida in atto, nella quale invece Walt, stimolato da Bernie, ha invece una ruolo da protagonista. Ed è un incipit che, allegoricamente, anticipa gli equilibri presenti nella storia narrata immediatamente dopo: Bernie e Joan intenti a gestire il loro ormai logoro rapporto; Frank in veste di osservatore passivo e vittima di una situazione che per età e dinamiche non può comprendere appieno; Walt spesso utilizzato dal padre come leva per mutare i già precari equilibri in atto e come figura su cui proiettare i valori ideali a cui farebbe costantemente riferimento se una profonda frustrazione, dovuta all’eclissi del successo letterario, non lo avesse attanagliato. Ma anche la posizione in campo assunta dai due figli è emblematica di ciò che il film rappresenta: Frank, più di Walt – indotto dal padre a gestire insieme la partita contro la madre – è bloccato in quella che nel gergo del tennis si chiama “Nobody’s Land”, terra di nessuno, ossia lo spazio compreso tra fondo campo (in cui ci sono Bernie e Joan) e la rete, una superficie sconsigliata da tutti gli istruttori e i commentatori televisivi perché improduttiva ai fini del risultato, troppo lontana dalla rete per fornire il colpo decisivo (ancor di più se tale colpo non lo si è preparato adeguatamente dal fondo campo), troppo scoperta per potersi difendere in caso di contrattacco. Perfetta metafora della situazione di Frank, costretto, suo malgrado, da una partita che per età e costituzione non può condurre, a vivere senza una vera dimora da sentire propria, alternativamente a casa della madre che egli continua a definire “casa nostra” (mentre Bernie gli fa notare come sia casa della madre) e la nuova abitazione del padre, contraddistinta con “casa di papà” (mentre Bernie si premura di fargli notare come anche quella nuova abitazione, in fondo, sia casa sua). Esemplare è, a questo proposito, l’inquadratura che mostra il povero Frank in campo medio, affranto, seduto su una sedia con bracciolo per mancini (lui che è destrorso) compratagli da Bernie per permetterli di studiare anche nel nuovo appartamento. Terra di nessuno dettata dall’affidamento congiunto, quello stesso affidamento congiunto che “fa schifo”, secondo le parole di Otto, un compagno di scuola di Walt, che ha già provato l’esperienza sulla sua pelle: metodo ipocrita di condivisione di spazi e momenti, perché ciò che interessa realmente è soltanto un risparmio sugli alimenti.
Così, se per il piccolo Frank la separazione dei genitori è dolore da allontanare con improprie bevute di birra e vino e smarrimento in un’ipotetica e confusa dimensione in cui contano le pulsioni sessuali ossessive e la possibilità di circoscrivere gli ambienti frequentati con il proprio seme (il ragazzino, dopo essersi masturbato, “spalma” con lo sperma armadietti e scaffali della biblioteca) quasi a creare quel senso di appartenenza che prima la posizione sul campo da tennis e poi lo squallore scrostato della nuova abitazione di Bernie non gli hanno fornito, per Walt, personaggio dietro cui si cela la figura del regista, si tratta invece di un faticoso percorso di crescita adolescenziale. Walt, seppur illudendosi di gestire individualmente la difficile situazione, vive la sua vita ad immagine della volontà di Bernie, come suo braccio armato pronto a sfruttare “il rovescio debole della madre”: la sua è un’esistenza priva di autenticità, vissuta come proiezione dell’ingombrante – seppur in disarmo – personalità paterna. Il rapporto con Sophie, sua tenera compagna di scuola, è prima diretto, poi catastroficamente mediato dal consiglio paterno volto a crearsi una vasta rete di esperienze; il conversare di letteratura non è scambio di esperienze genuino, ma un pontificare altezzoso e vuoto con il chiaro obiettivo di fornirsi di quella statura culturale che Walt riconosce nel padre; l’attribuirsi la composizione di Hey You dei Pink Floyd non è volontà di frodare il concorso scolastico, quanto il tentativo sconclusionato e irrazionale di garantirsi l’ammirazione paterna. Il cammino di Walt dev’essere indirizzato a recuperare una propria individualità slegata dall’aura di Bernie, una serenità in cui sia possibile anche recuperare il rapporto con una madre che ha mostrato di odiare (ma solo per appartenenza alla “squadra” del padre): l’inquadratura che segna inequivocabilmente questa possibilità è il particolare della mano del ragazzo che si stacca da quella di Bernie, convalescente nel letto di ospedale. Il cammino successivo di Walt è indirizzato al museo di storia naturale di New York, verso quel calamaro addentato dalla balena simbolo di una paura infantile condivisa con la madre, ancora fonte di conforto e non nemica. Osservare da soli quell’enorme duplice mostro, il cui terrore era stato confessato allo psicologo, è un piccolo ma decisivo passo verso la conquista della maturità. (Giampiero Frasca, minori.it)-

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Come due coccodrilli (Campiotti 94)

INDICE
TRAMA
RECENSIONE
SCENE DAL FILM

TRAMA
Gabriele, un quarantenne italiano che vive a Parigi dopo aver abbandonato la casa paterna, si è imposto nell’ambiente dei ricettatori d’antiquariato perchè considerato preparatissimo: si è fatto una fortuna ed ha una relazione con la bella Claire, che però non si decide a sposare, vivendo da “single”. Inaspettatamente Gabriele è fortemente colpito da una notizia: sul lago di Como, sua terra d’origine, è all’asta, nella villa signorile del padre in cui è cresciuto, un vaso antico d’inestimabile valore. Gabriele parte precipitosamente per l’Italia, dopo aver promesso a Claire di farle avere notizie, non senza aver fatto firmare e timbrare dalla segretaria del suo Centro d’antiquariato, una dichiarazione in bianco chiedendole fiducia, con la segreta intenzione di avvalersene per una personale vendetta. Giunto senza preavviso alla villa paterna trova una bambina: le si avvicina riuscendo a conquistarsi l’amicizia della piccola ed a farsene una specie di guida verso l’interno, dove era stata fatta una copia del famoso vaso, da parte dei suoi fratellastri, guidati dal padre. Gli si riaffacciano gli incubi ed i ricordi angosciosi dell’infanzia e dell’adolescenza: la mamma Marta – l’aveva scoperto da bambino – non era la moglie, ma l’amante del padre Pietro, sposato ad un’altra e con figli, che alla morte da parto di lei, aveva voluto con sé Gabriele, affidando il neonato ad una balia. Ha intenzione di denunciare quel falso, riducendoli in miseria. Senonché l’ambiente, il rivedere il padre di cui ricorda d’esser stato amato quanto quegli odiosi fratellastri, ed il fratello molto caro, i ricordi che gli si affollano nell’animo: tutto un insieme di circostanze lo sconvolgono e lo fanno desistere. Distrutte le prove di quel falso, insinuandosi in un ripostiglio nel quale aveva accuratamente nascosto da ragazzo i resti dell’originale, si presenterà ai suoi familiari, ma straccerà davanti a loro la fatale denuncia già pronta, fuggendo ancora una volta, inseguito dai disperati richiami del fratello, mentre già il motoscafo si sta staccando dalla darsena. Gli grida: “ritornerò” ormai trasformato in un nuovo Gabriele, libero dai risentimenti che lo imprigionavano. (cooming soon)

RECENSIONE

“Come due coccodrilli è un film sull’amore, dove questo sentimento è inteso nel senso più ampio e nemmeno nel solo significato positivo del termine.
È una storia che parla di rapporti d’amore tra uomini e donne, a volte felici ma più spesso complicati, fatti anche di passioni, tradimenti, incapacità di
prendere delle decisioni definitive.
È una storia che parla di rapporti tra genitori e figli, delle difficoltà di instaurare da parte dei primi un rapporto educativo veramente di crescita. È
una storia che parla dell’amore tra i fratelli, ma anche dei conflitti, delle gelosie, dell’odio che si può scatenare tra di loro.
È una storia che parla di ingiustizie subite, di come queste si possano radicare nei nostri pensieri e tornare a galla dopo anni sotto forma di desiderio
di vendetta. È una storia che parla del tempo che passa e che trasforma ogni cosa. È una storia che parla della possibilità per ognuno di noi di prendere
coscienza della realtà oltre noi stessi e, forse, della possibilità di cambiare”. Così la dichiarazione di Giacomo Campiotti, regista del film. Campiotti
afferma inoltre di avere utilizzato come fonte di ispirazione per il suo soggetto il lungo racconto di “Giuseppe venduto dai fratelli” che si trova,
senza sostanziali differenze, sia nella Bibbia che nel Corano. “A questo racconto gli autori” aggiunge il regista” si sono accostati con
grande umiltà ma anche con totale libertà, tanto che è estremamente difficile riconoscere nella storia di Come due coccodrilli l’illustre origine.
La storia di Giuseppe è stata solamente uno stimolo per la ricchezza e la qualità con cui tratta la molteplicità dei sentimenti e delle pulsioni presenti nell’uomo e per l’originalità delle situazioni descritte.” Questa premessa può essere utile per inquadrare la storia di un film che ha ottenuto riconoscimenti in molti paesi esteri (compreso un premio dei giovani al Festival Internazionale di Locarno 1994 e la vittoria a un’importante rassegna di film tenutasi nel novembre dello stesso anno a New York) ma ha avuto notevoli difficoltà di distribuzione proprio in Italia.
Il film si struttura, sin dall’inizio, con una forte alternanza tra presente e flashback che fungono da memoria (dapprima inconscia nel sonno e poi
sempre più cosciente) per il protagonista e da nucleo informativo- emozionale per lo spettatore.
Come due coccodrilli viene così a declinarsi (grazie anche all’uso del colore e del viraggio) lungo tre linee temporali: 1) il ‘presente’ di Gabriele
ormai uomo; 2) il ‘passato remoto’ del Gabriele bambino (raccontato facendo uso del viraggio); 3) il ‘passato prossimo’ del Gabriele ragazzo.
Campiotti inserisce la vicenda del protagonista all’interno di luoghi la cui struttura architettonica diviene essa stessa comunicazione di messaggi e veicolo di senso.
Dopo la prima inquadratura fortemente simbolica (che verrà riproposta con variazioni più avanti nel film) che ci mostra un pesce in una boccia di cristallo dinanzi a uno scorcio di Parigi, la macchina da presa prosegue il tema mostrandoci un acquario attraverso le cui pareti si può scorgere una parte dell’appartamento di Gabriele. Una serie di movimenti di macchina (separati dalle irruzioni della memoria dell’infanzia) ci conducono in visita a quella sorta di acquario freddo e tecnologico che è l’abitazionein cui l’uomo sta dormendo dopo un rapporto di quello che lui pensa essere l’amore.
Il passato, che ha la dimensione del sogno in equilibrio tra gioia e sofferenza, ci mostra le condizioni della sua crescita di figlio ‘illegittimo’ in un contesto abitativo che emana il calore di sentimenti vissuti appieno ma le cui dimensioni sembrano modificarsi profondamente nel momento della paura per la vita della madre. Così come, in un’altra fase della storia, sarà un ascensore a marcare fortemente una separazione che costituisce una cesura esistenziale tra il protagonista e il mondo degli affetti.
I luoghi segnano anche lo scorrere del tempo e le trasformazioni profonde che attraversano le persone che li abitano. Si vedano, in proposito, la villa e la vetreria. La prima, coacervo di tensioni nella sua sobrietà architettonica (significativa l’inquadratura dall’alto di Martino che gira in tondo nella sua stanza sul triciclo, con un sacchetto sulla testa per non sentire l’ennesimo e definitivo alterco) che diventa, nel finale, luogo in cui ‘vendere’ il proprio patrimonio dopo che ci si è ridotti a vivere in una sua ala.
La vetreria, nel suo degrado originato dall’abbandono, acquista invece il significato di uno spazio in cui ritrovare il senso del ‘fare’. Gabriele, che si è
rinchiuso nella gelida geometria di una casa tecnologica e ‘commercia’ i prodotti della creatività altrui, riscopre la propria abilità di artigiano grazie a una bambina.
Campiotti lavora molto anche sulle continuità visive. Un dettaglio, un oggetto, una situazione fanno tornare ‘presenti’ episodi che il protagonista credeva di avere ormai sepolto nella memoria. Ecco allora che la corsa di Gabriele ragazzo nel momento in cui fugge da una realtà che è divenuta insopportabile (con Martino che lo insegue per chiedere un aiuto che non verrà) è fatta oggetto di più riproposizioni che marcano le affinità e/o le differenze sostanziali delle diverse fasi del ‘viaggio’ di Gabriele.
Perché Come due coccodrilli, con le sottolineature stilistiche di cui si è detto, è un film sul viaggio dalla duplice possibilità di lettura. Come elemento più evidente si tratta di uno spostarsi ‘fisico’ da un luogo (Parigi) all’altro (Varenna). Quelli che però più contano sono i due progressivi ‘avvicinamenti’. Da un lato c’è quello a un passato rimosso che risale a livello cosciente e dall’altro quello a un presente in cui il futuro (proprio e altrui) dipende dalle scelte che si andranno a operare. Qui, anche se Campiotti non la ripropone più, sembra riecheggiare una frase pronunciata dalla madre e udita dal piccolo Gabriele:”Non si può costruire la propria felicità sull’infelicità altrui”. Il protagonista, divenuto adulto, compie una scelta in quella direzione e la canzone di Lucio Dalla (nei titoli di coda) ne completa il senso. (lombardiaspettacolo)

SCENE

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Risolvere i conflitti in classe (Fabiani, Passantino 2007)

INDICE E PREMESSA LIBRO

SCHEDA
Risolvere i conflitti in classe
Rita Fabiani, Claudio Passantino
ed. Erickson 2007
prezzo € 18,5

Molti dei problemi di apprendimento e di comportamento, frequenti nella scuola, nascono da stati di disagio interiore degli alunni e spesso si traducono in conflitti che rendono la vita di classe una continua e logorante lotta di potere. Per farvi fronte si è dimostrato efficace il metodo dell’apprendimento cooperativo, ma non sempre le sue dinamiche positive sono sufficienti a risolvere le difficoltà alla radice. In alcuni casi, al contrario, la situazione di piccolo gruppo acuisce l’aggressività verbale e non verbale, perché è l’unico modo di cui il bambino dispone per mettersi in relazione e gridare il suo bisogno di essere ascoltato e accolto. È proprio qui che il counseling educativo può fornire preziosissime risorse in termini di strumenti di ascolto, comunicazione e condivisione per entrare in relazione autentica. Il libro propone un fecondo intreccio delle strategie di apprendimento cooperativo e di counseling, esponendone brevemente i principi e presentando poi attività didattiche sperimentate e facilmente fruibili in classe. Dedicato ai docenti della scuola primaria ma adatto anche a quelli dei primi anni della secondaria di primo grado, il testo si propone come una semplice guida passo dopo passo per aiutare insegnanti e alunni, anche senza la presenza in classe dell’esperto, ad acquisire strategie funzionali e permanenti per la gestione dei sentimenti di rabbia e la soluzione dei conflitti, in una dimensione di mutuo ascolto e collaborazione.