Mià e il Migù
Un film di Jacques-Rémy Girerd. Con Dany Boon, Garance Lagraa, Charlie Girerd, Laurent Gamelon, Pierre Richard.
Mià è una bambina di 10 anni orfana di madre. Pedro, suo padre, lavora in un enorme cantiere nel quale si sta trasformando un’area della foresta tropicale in un grande centro alberghiero per ricchi. Una notte la bambina ‘sente’ che suo padre è in pericolo (è rimasto sepolto da una frana in una galleria mentre cercava di individuare l’origine di strani
rumori). Decide di partire da sola per un lungo e non facile viaggio al fine di rivederlo. A proteggerla, lei pensa, basteranno i suoi portafortuna.
Nel frattempo Monsieur Jekhide (l’uomo che ha insediato il cantiere) tiene una riunione in città per convincere alcuni possibili facoltosi partner a investire nell’impresa in vista di facili guadagni futuri. Ma nel corso della riunione viene interrotto dall’annuncio del rinvenimento di misteriose orme. Il contratto però non viene firmato perché due possibili
investitori desiderano visitare il luogo.
Jekhide sta per accompagnarli con il suo jet privato quando sua madre, in partenza a sua volta, gli lascia l’incarico di occuparsi di Aldrin, suo figlio. Jekhide infatti è separato dalla moglie ma si occupa pochissimo del figlio il quale ha una grande ammirazione per la madre, una scienziata che si trova da un mese sulla banchisa polare per studiare il fenomeno del surriscaldamento del pianeta. Aldrin dovrà viaggiare con il padre. Nella foresta li attendono i Migù, spiriti dell’ambiente dotati di poteri magici.
Mià è una bambina di 10 anni che vive in un villaggio dell’America del Sud, sotto la tutela di tre piccole vecchiette centenarie. La madre è morta da tempo mentre il padre, Pedro, è stato costretto a partire per poter lavorare come operaio in un cantiere. Una notte, svegliata di soprassalto da un brutto presentimento, la bambina decide di mettersi alla ricerca del genitore, con il timore che gli sia successo qualcosa e che possa avere bisogno di lei. Così, dopo aver recuperato i suoi tre amuleti (un dado, una piuma e un guscio di lumaca), parte per un viaggio che la porterà a incontrare i Migù (strani spiriti della foresta) e, grazie a loro, a conoscere la forza e le meraviglie della natura.
Jacques-Rémy Girerd, al suo secondo lungometraggio dopo il fortunato La profezia delle ranocchie (La Prophétie des grenouilles, 2003) confeziona un film dolce, impegnato, pedagogico e anti-convenzionale. Lontano anni luce dalla tridimensionalità e dagli ultimi ritrovati in materia di computer grafica, Mià e il Migù si caratterizza per il tratto artigianale dei disegni e per un sapiente uso dei colori – quasi sempre caldi – che ricorda la pittura impressionista di Van Gogh, di Cezanne ma soprattutto di Gauguin, da cui il regista riprende il grande tema della riscoperta della naturalezza.
Una scelta stilistica, dunque, perfettamente in linea con le tematiche affrontate, originali ed inneggianti ad un ritorno alla natura inviolata. Quello della graduale devastazione del pianeta è di fatto un argomento poco trattato nei recenti prodotti cinematografici per ragazzi. Qui, invece, diventa l’elemento cardine dell’intero racconto: il cantiere in cui lavora Pedro è situato al centro della foresta amazzonica, un paradiso naturale che Jekhide, imprenditore edile senza scrupoli, vorrebbe trasformare in un lussuoso complesso alberghiero. A difendere la foresta vi sono però i Migù, buffi personaggi dotati di poteri magici (oltre che della voce di un sempre ottimo Dany Boon) e incaricati di custodire un maestoso albero piantato alla rovescia, cuore dell’intero pianeta. Degna di merito è la decisione di aggiungere alla tematica ecologista anche quelle, non meno importanti ed altrettanto attuali, relative alle differenze economiche tra Nord e Sud del mondo e al difficile rapporto dei figli con genitori troppo presi della propria carriera.
La storia pensata da Girerd può essere considerata a tutti gli effetti una fiaba (lo dimostra la quasi perfetta aderenza con i personaggi e le funzioni teorizzate negli anni venti dal linguista russo Propp) costruita intorno a due protagonisti, entrambi bambini (sebbene appartenenti a contesti socio-culturali assai differenti) ed entrambi impegnati a compiere un importante percorso iniziatico. Se Mià, partendo alla ricerca del padre, offre allo spettatore la possibilità di esplorare la bellezza di una natura e di una cultura incontaminate, Aldrin, figlio intelligente e curioso dell’imprenditore Jekhide, diventa l’inconsapevole chiave per il riscatto di certi valori ormai dimenticati. Saranno così proprio gli adulti, guidati dalla sensibilità naïf dei più giovani, coloro che in conclusione impareranno maggiormente la lezione.
Il finale della storia – ovviamente lieto, com’è d’obbligo per ogni fiaba che si rispetti – infonde nello spettatore un po’ di speranza, non dimenticando però di ricordare quanto sia rischioso rimanere ancora per molto con le mani in mano. Un concetto, questo, ribadito chiaramente nel brano su cui scorrono i titoli di coda (“Arrêtons tous les blablas” di Serge Besset, cantata da Mickey): “Gli uomini fanno tutto ciò che possono per danneggiare il pianeta […] Gli uomini sono diventati così potenti che non ci metteranno tanto a distruggere tutto ciò che la Terra ha impiegato un’eternità per creare”. L’invito allo spettatore – piccolo o adulto che sia – è a darsi da fare concretamente perché del resto, come ripete il ritornello: “Un piccolo Migù sta proprio dentro di noi”.
Fa piacere sapere, infine, che in Mia e il Migù, premiato nel 2009 con l’Oscar europeo per il miglior film d’animazione, vi sia anche un po’ d’Italia. Alle case di produzione francesi (tra cui Folimage, fondata dallo stesso Girerd), si aggiunge infatti, per un 10% del budget complessivo (8,4 milioni di euro), il contributo di due aziende nostrane: la torinese Enarmonia e la milanese Gertie. Una speranza che si accende dunque, oltre che per le sorti del pianeta, anche per quelle – un po’ meno astratte – della nostra industria cinematografica. Luca Volpe
Mià e il Migù è stato realizzato dallo stesso regista de La profezia delle ranocchie, un professionista del mondo dell’animazione da sempre attento a rapportare la qualità del disegno a influssi che derivano dal mondo della pittura. È così che questo nuovo film rinvia alle opere di Cézanne e Van Gogh pur conservando una propria originalità di tratto.
Il film sviluppa il tema ecologico in modo complesso e al contempo semplice e lineare. La complessità è offerta dalla molteplicità delle tematiche affrontate. La salvaguardia dell’ambiente è il tema centrale che viene sviluppato grazie a una serie di elementi talvolta contrastanti. Si parte infatti dallo sfruttamento della Natura a scopo di lucro incarnato nel personaggio di Jekhide, il cui nome non a caso rimanda alla duplice personalità del protagonista di un classico della letteratura come “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde” di Robert Louis Stevenson. Jekhide è’ l’uomo indurito da un affarismo senza scrupoli che si trova progressivamente a fare i conti con la paternità e quindi con i sentimenti e i valori più importanti.
C’è poi (in anticipo su Avatar) la magia della Natura rappresentata dai misteriosi Migù. La magia non significa però solo bucolica pace ma anche capacità di ribellarsi e lottare contro gli abusi e gli scempi. Non mancano poi tematiche sociali come quella dello sfruttamento del lavoro (il padre di Mià e i suoi compagni non vivono certo in condizioni ottimali) a cui si accompagna una riflessione mai didascalica sulla problematica degli infortuni sul lavoro. A tutto questo si aggiunga la lettura in parallelo delle due modalità di rapporto genitori/figli. Mià ama (riamata) così tanto il padre da intraprendere un lunghissimo viaggio per aggiungerlo mentre Aldrin ha, per buona parte del film, un padre che ‘sopporta’ il peso di un figlio che scaricherebbe ben volentieri sulla ex moglie.
Si tratta di un film semplice e lineare adatto ai più piccoli in cui la semplicità e la coerenza sono da intendere rapportandole alla dimensione del viaggio che Mià compie per raggiungere il genitore che ha percepito in pericolo. Nel percorso ci saranno, come ogni narrazione fiabesca prevede, ostacoli da superare. La bambina conta su se stessa e sulla propria determinazione ma trova anche la collaborazione degli altri (anche di chi poteva sembrare potenzialmente pericoloso). Il film finisce così con il presentare duplici possibilità di lettura, ognuna delle quali adatta a una fascia d’età. I più piccoli (pubblico di elezione) coglieranno maggiormente l’avventura (con il ruolo del ‘cattivo’ assegnato al padre di Aldrin), il messaggio
di salvaguardia della Natura e l’elemento fantastico costituito dai Migù con i loro poteri e la loro predisposizione alla discussione. I bambini un po’ più grandi avranno la possibilità di affrontare anche almeno alcuni dei temi più complessi evidenziati sopra. Giancarlo Zappoli
– Rispetto e sfruttamento della natura.
A quali personaggi del film si collegano questi due atteggiamenti ecomportamenti?
– Nella vicenda sono presenti il tema dello sfruttamento del lavoratore equello degli infortuni sul lavoro. In proposito cosa sostiene il film e tu che cosa ne pensi?
– Cosa porta Mià a raggiungere il proprio obiettivo. Rifletti sulla determinazione personale della bambina e sulla collaborazione da parte di chi incontra nel viaggio.
– Componenti realistiche e fantastiche nel film