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I MISERABILI

Regia di Ladj Ly. Francia, 2019, durata 100 minuti. Età V.M. 14

Recensione “I Miserabili” (“Les Miserables”, 2019) – Una Vita da Cinefilo
  1. SINOSSI

2. RECENSIONE

3. IMMAGINI

  1. SINOSSI

Miglior film francese dell’anno e Premio della Giuria al Festival di Cannes, I miserabili, acclamata opera prima del regista Ladj Ly. Girato esattamente dove Victor Hugo aveva ambientato il suo romanzo, a Montfermeil, nella periferia a un’ora dal cuore di Parigi si consuma un thriller dal ritmo avvincente e adrenalinico. Stéphane, insieme a due colleghi veterani di una squadra anticrimine, si trova a fronteggiare una guerra tra bande, membri di un ordine religioso, ragazzini in rivolta. Un semplice episodio di cronaca diventerà il pretesto per una deflagrante battaglia per il controllo del territorio, in un tutti contro tutti senza pietà

2. RECENSIONE

CINEFORUM.IT Chiara Borroni

Victor Hugo con  I miserabili aveva cercato di mettere in un libro “il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l’uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo”; l’ispirazione della prima opera di finzione di Ladj Ly (dopo la coregia del bellissimo documentario A voce alta – La forza della parola) è dunque dichiarata fin dal titolo che ricalca letteralmente quello di uno dei monumenti della storia della letteratura e non solo perché è ambientato nella Montfermeil dove Hugo fa muovere parte dei suoi personaggi intorno alla locanda dei Thénardier. La vocazione – vedi ambizione – del giovane regista nato e cresciuto nella stessa banlieue, è infatti realizzare un affresco storico, sociale, politico (come lo era d’altra parte anche il documentario sulla competizione di arte oratoria all’università di Saint-Denis) e di metterlo, questa volta, in forma di finzione narrativa. Per questo Ladj Ly sceglie di calare la sua materia nel poliziesco e di farlo spingendo sugli stilemi del genere (inteso in una declinazione action decisamente più americana che europea) che adatta a mettere in scena la vita dei quartieri della periferia parigina. Il destino, la vita, il tempo e soprattutto l’uomo sono al centro del racconto che ruota intorno a tre flic incaricati di tenere sotto controllo la situazione tra i casermoni di periferia in cui l’equilibrio è sempre sul punto di saltare. I tre (uno nero e uno bianco radicati, ognuno a suo modo, nelle dinamiche del quartiere, e poi il novizio appena trasferito da Cherbourg), a bordo della loro Peugeot grigia si muovono nel dedalo degli hlm tra le vie ingombre di detriti, il campo da calcio, i giardinetti, l’ufficio del cosiddetto “Sindaco”, il kebabbaro punto di riferimento della comunità islamica: osservano, controllano, intervengono dalla strada. Non vegliano perché vegliare prevede di mantenere una distanza che non possono avere in mancanza di una soluzione sistemica. Si muovono dal basso, allo stesso livello degli abitanti, non dissimili, mai davvero uguali, tutti parte dello stesso meccanismo in cui l’unica via è assecondare le pressioni e le tensioni per evitare che esplodano. Questa negazione della possibilità di un ordine sociale ri-stabilito diventa per Ladj Ly anche la negazione di uno sguardo esterno agli avvenimenti (oggettivo si potrebbe dire): tutto è portato dentro all’azione continuamente e senza sosta, la narrazione è totalmente immersa, la macchina da presa segue, incalza, racconta, senza prendere mai posizione perché non ci sono in fondo né buoni né cattivi. Gli unici che provano a reagire riprendendosi quella distanza necessaria sono i bambini, i soli – non a caso – che riescono a osservare da “fuori”, dall’alto, dai tetti, attraverso un drone o dietro uno spioncino, i soli a poter provare – forse – a scardinare questo ordine non costituito. La scelta di Ladj Ly diventa però anche il limite del film che asseconda la narrazione senza riuscire a dominarla fino in fondo, ritrovandosi a più riprese a svicolare, scegliendo la soluzione più semplice, senza osare davvero, senza, appunto, prendere per davvero una posizione.

3. IMMAGINI

Trailer

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Clip “Noi non giochiamo”

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L’età giovane

(Leggi anche BUONA VISIONE EDUCARE CON I FILM )

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne.
Belgio, 2019
Titolo originale: Le Jeune Ahmed
Età dai 13 anni

  • Sinossi
  • Recensione
  • Video

SINOSSI

Ahmed, adolescente musulmano del Belgio, pianifica l’omicidio della sua insegnante dopo aver abbracciato l’ala più radicale della sua religione.

RECENSIONE

Leonardo Gandini cineforum.it
Questo film inizia con un’ascesa – per le scale, di corsa – e finisce con una caduta, dall’alto, in un prato. Se parto da qui, è perché le traiettorie fisiche del protagonista, in L’età giovane come in tutto il cinema dei Dardenne, sono al contempo la bussola della nostra visione – la messa in scena è interamente definita dai movimenti e dalle soste del personaggio principale – e il centro nevralgico della loro riflessione sulla possibilità che nel mondo, malgrado tutto, ci sia ancora posto per qualche forma malconcia di umanità. A contrastare la quale entra in campo questa volta non la miseria, come in Rosetta e L’enfant, ma l’intolleranza religiosa. Ossessionato dal Corano e plagiato da un imam che butta benzina sul fuoco, il giovane Ahmed del titolo è un ragazzino con un’ansia di purezza che sbatte continuamente contro le pareti del Belgio laico e mondano nel quale si trova a vivere. Da qui la voglia di lavare nel sangue i peccati nel mondo, un po’ come Travis Bickle in Taxi Driver e Mishima nel film omonimo (entrambi scritti da Paul Schrader, il cineasta che più di ogni altro, prima dei Dardenne, ha celebrato la dannazione dei puri in un mondo che trabocca imperfezione). Ma Ahmed, a differenza dei suoi predecessori, è appunto jeune, posseduto quindi dalla fragilità interiore di un ragazzino che scambia l’intransigenza per passione e l’intolleranza per amore; e soprattutto, ha l’età giusta perchè i Dardenne credano in lui e ci facciano di conseguenza appassionare al suo lento, tormentato, soffertissimo percorso di redenzione. Avengers dell’anima, i due fratelli belgi, ma senza mai retorica, al netto di effetti speciali e colonna sonora, sempre e solo instancabilmente appiccicati al corpo del ragazzo, alla sua febbrile irrequietezza fisica, che ne esteriorizza una spirituale. Il cinema di chi è sorretto da una fede incrollabile nel genere umano e nell’evidenza delle immagini: come sosteneva Bresson (il maestro di Schrader: c’è qui una linea genealogica in atto, nel segno di una spiritualità sposata all’austerità estetica), l’idea più preziosa del film, è anche quella che devi nascondere meglio. Qui è nascosta così bene, fra le pieghe e negli anfratti del corpo acerbo di Ahmed, che si intravede solo nell’ultima, memorabile sequenza. Prima appunto bisogna cadere, anzi precipitare: la drammaturgia di un corpo disteso e inerme che, con l’eloquenza muta del dolore, racconta che sì, alla fine, l’umanità anche questa volta ce l’ha fatta.

VIDEO

TRAILER

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Ahmed e Inès

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l’incontro con la mamma in carcere

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Ahmed e Louise

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