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GREEN BORDER

Regia di Agnieszka Holland

– durata 147 min.

– Polonia, Germania, Francia, Belgio 2023

– Età dai 14 anni

TRAMA

Nelle gelide foreste che ricoprono il confine tra la Bielorussia e la Polonia, teatro dal 2021 della crisi migratoria istigata dal governo bielorusso, si incrociano le vicende di una famiglia di rifugiati siriani che lotta per attraversare il confine, della loro compagna di viaggio afghana, di una giovane guardia di frontiera polacca che sta per avere un bambino e di un gruppo di attivisti che aiuta i migranti respinti al confine.

RECENSIONE

Annalisa Camilli, internazionale.it
“Ho cominciato a girare Green border pochi mesi dopo che il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko aprisse una specie di corridoio per i profughi verso la Polonia. È stata la prima volta che la violenza e i respingimenti al confine polacco sono stati tollerati in questa forma in Europa”, afferma Agnieszka Holland, regista e sceneggiatrice del film, nelle sale italiane dall’8 febbraio. La contatto su Zoom, mentre è a Parigi e sta lavorando al suo nuovo progetto.

“Ovviamente respingimenti di questo tipo ai confini europei si verificavano anche prima: in Grecia, Croazia, Italia e Francia. Ma questa volta mi è sembrato che ci fosse un accordo generale sul fatto di permetterli, sono stati ‘normalizzati’. Il piano di Lukašenko era molto chiaro: voleva usare i profughi come un’arma di pressione, lo aveva già fatto in passato per minacciare la stabilità e l’integrità dell’Europa. E ci è riuscito”, continua la regista.

Holland, 75 anni, è forse la più famosa tra i registi polacchi e nel suo ultimo film ha usato il linguaggio cinematografico per mostrare la realtà, come non erano riusciti a fare i giornalisti e i documentaristi che hanno provato a raccontare la stessa vicenda: migliaia di famiglie condotte con l’inganno in Bielorussia dalla Siria e dall’Iraq con dei voli di stato e poi abbandonate al confine con la Polonia, nella foresta di Białowieża, nell’inverno 2021.


Il film che ha fatto infuriare il governo polacco
“Il cinema è il mio linguaggio, così ho immediatamente trasformato in finzione la realtà. È il mio lavoro: trovare un aspetto universale nelle questioni particolari e soggettive”, spiega la regista, che con Green border ha vinto il Gran premio della giuria all’ottantesima mostra del cinema di Venezia. “Quasi tutti i miei film sono basati su storie vere, è quello che faccio da sempre. Il mio sforzo è di non perdere la soggettività, provando a trasformare una storia in qualcosa di più universale”.

“In questo caso l’operazione è stata più difficile – sia per quanto riguarda la sceneggiatura sia per la regia – perché non avevo la distanza storica, non vedevo e non potevo vedere tutto l’arco della storia, i fatti stavano succedendo in quel momento. Ma allo stesso tempo ho pensato che il film avrebbe avuto un calore unico. È il primo che si occupa di questa frontiera, così mi è sembrato ancora più importante che fosse autentico”, racconta la regista, che in passato si era già occupata dell’idea di Europa e della sua ambiguità in Europa, Europa, la storia di due fratelli ebrei ambientata durante le persecuzioni naziste.


“Uno dei protagonisti del film e uno dei principali protagonisti di tutta la storia è la foresta, la natura è così potente che non riesci a pensare che sia un confine”, spiega Holland, che ha girato il film nella foresta di Białowieża, l’ultimo lembo della foresta vergine che un tempo ricopriva l’intero continente europeo. Il territorio è rimasto com’era perché era usato come riserva di caccia dello zar. Ora ricopre una parte della Polonia, della Bielorussia e dell’Ucraina.

“Attraversare la foresta e starci dentro è qualcosa che è connesso con le origini stesse dell’Europa e della storia del continente, la foresta porta con sé un’infinità di significati: è insieme pericolo e meraviglia. Anche dal punto di vista cinematografico è uno strumento molto espressivo, interpreta bene l’ambiguità dell’Europa. Da una parte il continente è la culla dei diritti umani, della democrazia, ma d’altra parte è stato ed è autore di crimini contro l’umanità”.

Per realizzare un film così direttamente legato alla realtà, Holland si è servita di attori che hanno davvero un background migratorio: sono attori professionisti, ma sono anche rifugiati. Jalal Altawil, che interpreta il ruolo del padre nella famiglia di profughi siriani (Bashir) che è al centro del film, ha vissuto per anni in un campo profughi in Europa. Mentre Maja Ostaszewska, che interpreta l’attivista Julia, uno dei personaggi principali del film, è una famosa attrice polacca, ma è anche un’attivista e interpreta se stessa.

Nel film Julia è una delle tante volontarie che pattugliavano la foresta per cercare i profughi e aiutarli con il gruppo Grupa granica. Nella realtà è stata una delle portavoce del gruppo: gli attivisti hanno di fatto sfidato il governo polacco e hanno agito al limite di quello che era consentito, rischiando di finire in carcere.

“Gli attori sono stati anche dei consulenti durante le riprese: per questo sono credibili. Hanno saputo portare nel film le loro conoscenze”, spiega la regista. “È stato un film realizzato in tempi record: ho cominciato a scriverlo nell’ottobre 2021, quando la crisi al confine era cominciata da qualche mese. Abbiamo cominciato le riprese solo nel marzo 2023, e sei mesi dopo eravamo a Venezia. La post-produzione è stata molto veloce, anche se il materiale era tanto, abbiamo dovuto correre per partecipare alla Mostra del cinema di Venezia”, continua Holland.

Fin dal principio la scelta è stata quella di girare in bianco e nero: “Ci ha aiutato a risolvere alcuni problemi dovuti al fatto che abbiamo girato in diversi mesi dell’anno. Ma la vera ragione è artistica: volevo uno stile crudo, diretto, come quello di un documentario”. Inoltre, l’ha aiutata a trovare un collegamento con il passato: “Volevo qualcosa che ricordasse l’immaginario della seconda guerra mondiale, che è ancora molto forte in quella foresta”.

Holland è una dei tre registi europei che quest’anno hanno girato film importanti sulla migrazione, quasi in contemporanea. Io capitano di Matteo Garrone mostra l’origine del viaggio, il desiderio di partire di due ragazzi del Senegal. Ken Loach nel suo The Old Oak racconta invece cosa succede a chi è già arrivato in Europa, dopo avere attraversato la frontiera. Holland rimane sulla frontiera, anzi usa il cinema per mostrare quello che nella realtà è vietato documentare, la ferocia delle recinzioni costruite per segregare chi non è europeo da chi invece lo è. I tre film, visti insieme, sembrano quasi una trilogia su uno dei temi più importanti del presente.

“Le leggi internazionali e nazionali che avevamo scritto dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo le tragedie del nazismo e dell’olocausto, sembra che siano state dimenticate. Parliamo di immigrazione, ma in realtà stiamo parlando del futuro di questo continente e anche della natura democratica dei nostri governi, dello stato di diritto. Nel film volevo dare voce ai senza voce, un volto ai senza volto. È stato anche un modo per dire che il nostro futuro è in pericolo e che il continente sta cambiando velocemente”, spiega Holland.

TRAILER

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welcome film immigrazione

WELCOME

Regia di Philippe Lioret. Francia, 2009, durata 110 minuti. Età: più 12

Welcome" un film di Philippe  immigrazione adolescenza

  1. SINOSSI
  2. RECENSIONE
  3. VIDEO
  1. SINOSSI

Welcome racconta la storia del giovane rifugiato curdo . A soli diciassette anni, il ragazzo ha vagato per mesi in Europa, nel tentativo di ricongiungersi con la sua amata fidanzata, che ha emigrato con la famiglia in Inghilterra. Il viaggio per Bilal è stato molto duro, ma finalmente riesce a raggiungere il nord della Francia, da dove spera di prendere una nave per attraversare il mare e approdare nel Regno Unito.
Proprio lì la polizia ferma il ragazzo: a causa delle leggi in vigore sull’immigrazione, il giovane curdo non può oltrepassare il canale della Manica. Senza perdersi d’animo, Bilal progetta di superare le fredde acque del mare del Nord nuotando, ma per riuscirci deve prepararsi. Così, con i pochi soldi che ha si iscrive in una piscina dove inizia l’allenamento.
Lì Bilal incontra Simon , un istruttore di nuoto di mezz’età in piena crisi, a causa dell’imminente divorzio con la moglie Marion . Nonostante le evidenti differenze, i due scoprono in realtà di avere molto in comune: nasce così una forte amicizia che darà la forza a entrambi di lottare per i loro sogni di un avvenire migliore.

2. RECENSIONE

di Simone Emiliani sentieriselvaggi.it

I limiti invalicabili della frontiera prendono forma in Welcome, diretto dal francese Philippe Lioret che in Italia si era fatto conoscere per Mademoiselle (2001) ma che a France Cinéma, nel 2006, ha presentato uno dei suoi film più belli, Je vais bien, ne t’en fais pas. Il canale della Manica, che divide la Francia dall’Inghilterra, rappresenta infatti un ostacolo insormontabile per numerosi immigrati clandestini. Bilal è un ragazzo di 17 anni originario dell’Irak che ha lasciato il suo paese per raggiungere la ragazza che ama, Mina. Lei vive a Londra con la sua famiglia e suo padre non vuole che frequenti il ragazzo. Con alcune persone, ha tentato di nascondersi dentro un camion che stava per imbarcarsi da Calais, ma è stato scoperto dalle autorità. A questo punto il ragazzo pensa all’impresa disperata: cercare di attraversare la Manica a nuoto. Inizia così a prendere lezioni nella piscina locale e il suo insegnante Simon (Vincent Lindon) inizia a prendersi cura di lui ospitandolo di nascosto a casa sua e aiutandolo a mettersi in contato con Nina. Welcome è un film disperato, senza speranza, ma di un’intensità tale che non lascia indifferenti. Lioret mette innanzitutto in maniera straordinaria le forme differenti di razzismo che serpeggiano a Calais: il vicino di casa di Simon che avverte la polizia dopo che ha visto il maestro di nuoto entrare nella sua abitazione con Bilal; lo sgombero degli immigrati nei pressi del porto; un addetto di un supermercato che impedisce a due uomini di entrare. La macchina da presa attraversa il porto di notte, luogo di provvisorie speranze ma anche impermeabile verso l’esterno, avvolto da un blu sospeso tra il malinconico e lo spettrale. Al tempo stesso però Welcome è anche una struggente storia di amori impossibili. Ciò è evidente nei continui tentativi di Bilal di mettersi in contatto con la ragazza ma anche nella sofferta separazione tra Simon e l’ex-moglie, ancora emotivamente coinvolti e attratti ma ormai distanti. Per certi aspetti, le forme di un nomadismo, anche sentimentale, congelate dentro lo spazio provvisorio del porto, ricordano Lontano di André Téchiné. Rispetto a quel bel film, però Welcome va oltre e raggiunge continuamente momenti emotivamente mai esibiti ma che catturano e lasciano i suoi segni. Basta vedere lo sguardo di Vincent Lindon su un ragazzo che nuota in piscina. Non è più Bilal ma un’altra persona. Lui lo osserva come stordito, rivedendo in quel corpo l’altra immagine. Forse di un desiderio di paternità negato, forse un inconscio tentativo di desiderio, dove nella ricerca della felicità del ragazzo c’è dentro anche la sua.

3. VIDEO

TRAILER

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L’ordine delle cose

Regia di Andrea Segre

Italia, Francia, Tunisia, 2017

durata 112 minuti

1) SINOSSI E NOTE DI REGIA

2) INTERVISTA

3) SITO E PAMPHLET

4) TRAILER

 

1. SINOSSI E NOTE DI REGIA

LA STORIA

Corrado è un alto funzionario del Ministero degli Interni italiano specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione irregolare. Il Governo italiano lo sceglie per affrontare una delle spine nel fianco delle frontiere europee: i viaggi illegali dalla Libia verso l’Italia. La missione di Corrado è molto complessa, la Libia post-Gheddafi è attraversata da profonde tensioni interne e mettere insieme la realtà libica con gli interessi italiani ed europei sembra impossibile. Corrado, insieme a colleghi italiani e francesi, si muove tra stanze del potere, porti e centri di detenzione per migranti. La sua tensione è alta, ma lo diventa ancor di più quando infrange una delle principali regole di autodifesa di chi lavora al contrasto dell’immigrazione, mai conoscere nessun migrante, considerarli solo numeri. Corrado, invece, incontra Swada, una donna somala che sta cercando di scappare dalla detenzione libica e di attraversare il mare per raggiungere il marito in Europa. Come tenere insieme la legge di Stato e l’istinto umano di aiutare qualcuno in difficoltà? Corrado prova a cercare una risposta nella sua vita privata, ma la sua crisi diventa sempre più intensa e si insinua pericolosa nell’ordine delle cose.

NOTE DI REGIA

2. INTERVISTA

WALTER BRANDANI: “Com’è nata l’idea di realizzare il film L’ordine delle cose?”

ANDREA SEGRE: Il film si inserisce all’interno di un percorso di ricerca e di narrazione che, ormai da una decina d’anni, cerca di capire quali sono le direzioni di sviluppo del sistema di protezione europeo e quali sono le conseguenze nella vita delle persone. Dopo aver raccontato, in diversi film e anche diversi articoli, le conseguenze sulla vita dei migranti, mi interessava capire le conseguenze sulla vita degli europei.

Allora ho utilizzato la figura dei funzionari ( che si occupano di costruire questo sistema ) per riuscire a parlare un po’ anche di come stiamo NOI, anche se questo NOI, così come il pronome LORO, sembra troppo generalizzante.

Sicuramente ci sono diverse definizioni sia per NOI che per LORO. C’è però certamente un NOI e un LORO causato dall’appartenere a chi ha il diritto di muoversi e a chi questo diritto non ce l’ha.

Il NOI che ha il diritto di muoversi è attraversato da un sentimento, che parrebbe maggioritario, di limitare il numero di LORO che arrivano.

Allora come si fa a limitare questo numero? Chi lo fa? E che cosa succede a chi lo fa? Come si sente? Qual è la sua vita?

Da queste domande è iniziato un lungo percorso di ricerca. Abbiamo incontrato alcuni dei funzionari che fanno questo lavoro e abbiamo costruito la figura di Corrado Rinaldi (il protagonista del film), che serve non solo a dare informazioni su quanto succede al confine con la Libia e a raccontare quali sono gli sviluppi di quella situazione.

Corrado Rinaldi serve anche a riflettere su quali sono le conseguenze di quella che sembrerebbe appunto la scelta maggioritaria ed inevitabile, cioè, la scelta di cercare di fermare e di diminuire il numero di LORO.

Ecco che quando quel numero diminuisce NOI ci sentiamo più felici. Ma quali sono le conseguenze di ciò?  Quali sono le ferite che questa scelta apre? Corrado racconta anche questo.

 

WB: Quando si parla di immigrazione se ne parla spesso in termini problematici e catastrofici, come causa del disordine. Eppure i flussi immigratori sono sempre esistiti. Sono quindi inevitabili? Sono cioè come la pioggia, i cui effetti dipendono anche dalla “qualità” del terreno?

AS: Questo è vero, ma quello che sta avvenendo oggi è qualcosa di più della inevitabile volontà delle persone di muoversi. Quello che sta succedendo in questa epoca storica è un aumento costante delle diseguaglianze economiche e di condizioni di vita, una crescita molto forte della comunicazione globale e della globalizzazione delle merci e una tendenza dei più ricchi a proteggersi.

All’interno di questo scenario non ci si aspettava che i più poveri si mettessero in cammino creando un movimento tellurico non irrilevante.

Il come rispondere a questo movimento ha a che fare sicuramente con la metafora dell’acqua ed è innegabile che le cause di questa tensione migratoria siano profondamente interconnesse con noi, perché siamo noi la parte che gestisce la globalizzazione delle merci, siamo noi la parte che produce spettacolo e spettacolarizzazione del nostro stile di vita, siamo noi che vogliamo la protezione.

Ecco quindi che non possiamo esimerci dall’avere un ruolo in questa storia.

I modi per affrontare l’immigrazione sono di fatto due.

Il primo modo è quello di cercare “cattivi” alleati, che possono fare i cattivi senza avere pudori democratici, e a loro si affida il lavoro sporco. Perché per fermare esseri umani, che non hanno nulla da perdere, c’è un unico modo: essere violenti. Ed è quello che l’Europa sta facendo, con una capacità di rompere il senso del pudore esagerata, perché ormai possediamo anche le informazioni di come agiscono i nostri “cattivi” alleati, ma il fatto che agiscano “di là” ci rasserena.

Il secondo modo è quello di reagire a queste cause di oggettiva ingiustizia e di trovare un modo affinché questa esigenza migratoria entri all’interno di un flusso di movimento regolare e controllato, perché l’individuo si muova, secondo una norma, in un percorso documentabile.

Invece oggi nessuno ha la possibilità di andare in un consolato e dire: “io vorrei andare in Germania perché c’è mio fratello” o “io voglio trovare lavoro in Europa, aiutatemi a capire dove posso trovarlo”. Nessuno ha la possibilità di avere un visto per partire regolarmente, cosa che consentirebbe di sapere dov’è e cosa fa.

L’angoscia legata agli arrivi delle persone in barcone è una angoscia che io capisco. Ma non voglio pensare a quelle persone come povere vittime che hanno bisogno di aiuto.

Voglio pensare a loro, come a persone che non devono viaggiare in quel modo perché, così facendo, prima di tutto mettono a rischiano loro vita, secondo pagano e finanziano organizzazioni criminali molto pericolose e, terzo, ci mettono nella condizione di essere o angosciati (e quindi mossi verso pulsioni xenofobe ) o spinti a istinti umanitari.

Istinti Umanitari che, negli ultimi tre anni, hanno obbligato centinaia di uomini e donne a fare domanda d’asilo, quando volevano semplicemente cercare lavoro, e a bloccarsi in luoghi dove non hanno nessuna intenzione di stare.

Questo è stato un grave errore, sicuramente molto meno grave di chi ordina blocchi stradali o di chi li vorrebbe eliminare, perché è un errore mosso da un sentimento di bontà, ma la bontà in questa storia deve fare un passo indietro.

Credo che invece sia importante accorgersi che tutto ciò è conseguenza di un sistema molto chiaro, di un potere che vuole proteggere il proprio privilegio, che è poi la causa delle disuguaglianze e delle tensioni immigratorie.

 

WB: Ho trovato un forte legame tra il suo film e il film L’intrusa. In entrambi i protagonisti sono in dubbio se mantenere l’ordine delle cose o cambiarle, e in ambedue i film mi sembra che allo spettatore venga posta la domanda: “TU AL POSTO DEL PROTAGONISTA COME AVRESTI AGITO?” Può, secondo lei, il cinema favorire una riflessione per meglio definire i problemi della nostra società?

AS: Nei due film la struttura narrativa e il rapporto emotivo con lo spettatore è simile, ma quello che io vorrei è che le persone si chiedessero non solo che cosa io avrei fatto ma anche che cosa io sto già facendo?

Cioè se io non sto facendo nulla di esplicitamente contrario all’ordine che Corrado (il protagonista del film ) applica, io sono correo di Corrado in quella storia, perché Corrado non è un singolo individuo che agisce per interesse privato, è un funzionario di polizia che sta applicando un ordine.

Un ordine che corrisponde ad una scelta politica che, se noi non contestiamo o non smontiamo chiaramente, fa di noi i datori di lavoro di Corrado.

L’intrusa, che è un bellissimo film, è un film sociale. L’ordine delle cose è un film politico.

L’intrusa si occupa della scelta individuale di una donna che ha un peso civico e sociale: scegliere di far stare l’intrusa ha un peso nella comunità. L’ordine delle cose è un film politico, nel senso che decidere che cosa avrei fatto non dipende solo dalla mia scelta ma dipende anche dall’ordine che è sopra.

Se si generasse davvero una pressione di opinione in grado di affermare che questa cosa non la vogliamo per tre motivi

– perché non funziona e perché è una cosa che reitera costantemente  un meccanismo molto costoso e non efficiente;

– perché genera violenza e perché  ha bisogno della violenza di forze di polizia non democratiche per fermare corpi inermi;

– perché non affronta la causa  rispetto alla quale noi siamo corresponsabili

 

Ecco se riuscissimo a generare un movimento di opinione partendo da questi tre punti,  si creerebbe anche una spinta per cambiare L’ORDINE DELLE COSE.

3 SITO E PAMPHLET

Qui trovate l’edizione integrale del pamphlet “Per cambiare l’ordine delle cose”, ma vi chiediamo di leggerlo solo dopo aver visto il film. Leggerlo prima della visione del film rischia di non renderne chiara la sua funzione.

SCARICA IL PAMPHLET 

4. TRAILER E VIDEO

 

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L’ora di svegliarsi

Front-cover-191-710x1024E’ appena uscito il  numero 19 della rivista “GLI ASINI – educazione e intervento sociale -“.

La riflessione  pedagogica è il filo conduttore di questa interessante rivista, una riflessione che intreccia alla teoria le buone prassi, una riflessione che vuole mettere in luce temi  come l’educazione, la scuola, le culture “altre” , l’immigrazione  e il diritto all’istruzione.

In particolare nel numero 19 intitolato ” L’ORA DI SVEGLIARSI”  si parla molto di scuola anche con  il racconto di alcune esperienze sul tema degli stranieri a scuola.

 1) INDICE
2) INTERVISTA A FOFI
3) LEGGI ALCUNI ARTICOLI
4) INFORMAZIONI SULLA RIVISTA

1) INDICE

Gli asini n. 19
gennaio/febbraio 2014

Strumenti
Come si formano i maestri di Giovanni Cuculi
Obiezione di coscienza all’Invalsi di Piero Castello
I Bes: bisogni educativi specialissimidi Edoardo Acotto

Scuola e migranti
Una classe di soli stranieri di Roberto Panzacchi
incontro con Luca Lambertini e Gianluca D’Errico
Idee per l’accoglienza di Gianluca D’Errico
Disorientamento o orientamento di Marco Romito
Nessunposto. Una scuola a Milano di Sara Honegger
Diritto d’asilo di Michele Manocchi 

Guerra e pace, violenza o nonviolenza
Sangue risparmiato di Anna Bravo.
Incontro con Luigi Monti
La guerra ai migranti. Riflettendo sul saggio di Anna Bravo di Sara Honegger

Film: Educazione e ecologia
Il clima è fuori dai gangheri di Gianfranco Bettin
Breve storia dell’ambientalismo italiano di Pier Paolo Poggio
Terra dei fuochi 1. Emergenza rifiuti tossici di Giovanni Zoppoli
Terra dei fuochi 2. I giovani si organizzano
di Fabio Guida incontro con Goffredo Fofi
Orti di pace di Pia Pera
Giardinaggio planetario di Lorenza Zambon
La teoria dell’educazione cosmica di Grazia Honegger Fresco 

i doveri dell’ospitalità
La lepre con la faccia di bambina di Laura Conti

Immagini
Un teatro delinquenziale nella fortezza di Volterra 

Scenari
Adèle disegnata e filmata di Federica Lucchesini
Giochi o non giochi di Beniamino Sidoti
I film che raccontano i minori di Dario Zonta
Come si inganna la gioventù di Nicola Villa

2)Asini pensanti. Una nuova rivista. Intervista a Goffredo Fofi

3) Leggi alcuni articoli:

– I film che raccontano i minori di Dario Zonta

– Come si formano i maestri di Giovanni Cuculi

3) INFORMAZIONI SULLA RIVISTA

sito web http://gliasinirivista.org/

Per richiederne copia
abbonamenti@gliasini.it

Abbonamento on-line con carta di credito: http://www.asinoedizioni.it/products-page/abbonamenti/479-2/

 

 

 

Miracolo a Le Havre ( Kaurismäki, 2011)

 

 

Miracolo a Le Havre

Un film di Aki Kaurismäki. Con André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel, Elina Salo.

Titolo originale Le Havredurata 93 min

  • Il nuovo film di Aki Kaurismäki, mago finlandese delle emozioni, è una favola dai toni lievi e delicati, che tocca uno degli argomenti più attuali: l’immigrazione. Per noi Le Havre rappresenta solo una cittadina portuale, famosa per i suoi intensi scambi commerciali. Ma per i clandestini è una meta agognata, dalla quale imbarcarsi per l’Inghilterra mediante un piccolo tragitto sulla Manica. Quelle navi merci che per noi sono simbolo di ricchezza e di commercio, per gli immigrati sono un nascondiglio per raggiungere la “terra promessa”. È questa la storia di Idrissa, un ragazzino che arriva dall’Africa, perennemente inseguito dalla polizia e con il grande sogno di ricongiungersi con la famiglia che si trova a Londra. Incontra un angelo custode, l’anziano Michel, un lustrascarpe dall’animo sensibile e artistico, il quale cercherà di aiutarlo in tutti i modi. In Le Havre ci sono i tipici personaggi di Kaurismäki sospesi tra Chaplin, l’estetica degli anni cinquanta, una dimessa eleganza e un’icastica bontà, come già in quel Nuvole in viaggio che nel ’96, con le sue battute glaciali e i colori da modernariato ante litteram, sedusse la Croisette e portò finalmente fuori dalla Finlandia il nome di Kaurismäki. Una favola realistica e ironica, popolata di personaggi ritratti in tutta la loro umanità e i loro sentimenti. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes.
  • La scelta di Kaurismäki fa sì che la riflessione sulla condizione dei minori migranti da lui avanzata si allontani dalle logiche dello spettacolo o dell’intrattenimento fine a se stesso, rinunci alla fatica di confrontarsi da una parte con lo stereotipo dello straniero da abbattere e dall’altra con il dispiegarsi di un fenomeno che il cinema deve certo raccontare, ma che non ha i mezzi per rappresentare in tutta la sua ampiezza e complessità. E sappia collocarsi piuttosto in mezzo o meglio ancora fuori e oltre i discorsi comuni, scegliendo una narrazione che va dritta al cuore dei principi e dei valori, dei diritti e dei bisogni dell’uomo. Quelli che alcuni chiamerebbero “non negoziabili”. Ma la macchina da presa del regista non si prende sul serio, non fa sermoni, non ha verità precostituite. Si accontenta di mettere in scena il miracolo di un concerto rock d’altri tempi, di una guarigione inaspettata, di un ciliegio che fiorisce nel giardino di casa.Marco Dalla Gassa  minori.   Marco Dalla Gassa  minori.it

 

  • TRAILER

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