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IL CASTELLO NEL CIELO (animazione, età dai 6 anni)

Il castello nel cielo
Un film di Hayao Miyazaki. Titolo originale Tenku no shiro Rapyuta. Animazione, Ratings: Kids, durata 124 min. – Giappone 1986.

Indice: TramaRecensioniTrailer

Trama

La storia inizia con una bambina, Sheeta, che, per scappare da un gruppo di pirati intenzionati a catturarla, scivola dalla sua aeronave e cade dal cielo su un villaggio. Durante la caduta una misteriosa luce avvolge la piccola, che improvvisamente inizia a galleggiare nell’aria, fino ad atterrare dolcemente nelle braccia di un ragazzo orfano, Pazu, di ritorno alla fine del suo turno in miniera.

Dopo averla soccorsa, Pazu la porta nella sua casa. La mattina, appena svegli i due fanno subito amicizia, e durante la conversazione Pazu scopre che Sheeta è una discendente del popolo di Laputa, un leggendario castello volante che viaggia nel cielo nascosto dalle nuvole da centinaia di anni. In pochi credono alla sua esistenza, ma Pazu ne è convinto grazie al fatto che suo padre, anni addietro fotografò parte della imponente struttura. Pazu racconta che persino nel romanzo I viaggi di Gulliver diJonathan Swift vi è una descrizione del castello. Il ragazzo decide quindi di aiutarla a ritornare nella sua città e insieme intraprendono una lunga avventura, costantemente inseguiti dai pirati e dall’esercito.

Recensioni

Repubblica

Corriere della sera

luckyred

Mereghetti

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Educare con lo sport

Educare con lo sport

Conferenza pubblica 13 aprile 2012- ore 21.00  Centro Culturale Ferraroli – Cogliate (MB) p.zza Giovanni XXIII

Relatore prof. Raffaele Mantegazza

 

 

 

 

La pratica sportiva rappresenta un elemento fondamentale per lo sviluppo psicofisico dei  bambini e un’opportunità per confrontarsi con alcuni importanti valori quali amicizia, solidarietà, lealtà, lavoro di squadra, autodisciplina, autostima, fiducia in sé e negli altri, rispetto degli altri, leadership, capacità di affrontare i problemi, ecc.  Eppure molti bambini abbandonano dopo pochi anni la pratica sportiva perdendo così un importante occasione educativa. Con questa conferenza vogliamo non solo riportare al centro della pratica sportiva il tema dell’educare ma anche riflettere su come vivono i bambini lo sport e quanto le proposte sportive che ricevono siano veramente a misura di bambino.

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La squadra scolastica di rugby e l’Istituto Cesare Battisti di Cogliate organizzano in collaborazione con il Centro culturale Ferraroli, i comitati dei genitori, rugby Lainate, rugby Seregno, Tennis Club Ceriano e il circolo Strafossati  una conferenza pubblica per genitori, insegnanti, educatori, allenatori, dirigenti sportivi  e tutte le persone interessate agli aspetti educativi della pratica sportiva. Per informazioni e per richiedere l’attestato di partecipazione rugbycogliate@gmail.com

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R. Mantegazza è professore di Pedagogia presso l’Università di Milano Bicocca e autore di vari libri  sui principi educativi dello sport.

Segui l’evento su facebook

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Manuale di piccolo circo (Madia Claudio 2003)

Maria è una bambina che sogna di lavorare in un circo.

“Impossibile!” dicono tutti. “Per lavorare in un circo devi esserci nata perchè è un lavoro che si impara da piccoli.”

Ma la bambina non si perde d’animo e sogna di diventare una circense, continua a fare capriole sui prati, i salti sul letto, l’equilibrista sui bordi delle aiuole e il giocoliere con le mele.

“Forse da grande diventerò avvocato o ingegnere…ma non smetterò mai di sognare, di volermi stupire, di giocare!

(dal libro pag.43)

Titolo Manuale di piccolo circo
Autore Madia Claudio
Prezzo

Prezzo di copertina € 15,00
Dati 2003, 199 p., ill., cartonato
Editore Feltrinelli  (collana Feltrinelli kids. Sbuk)
Età di  lettura da 8 anni

In breve

Per insegnanti, mimi, animatori, ragazzi, aspiranti saltimbanchi – Il manuale di Piccolo Circo è la sintesi di anni di studio e di sperimentazione, di una lunga esperienza maturata al sole delle piazze e ai riflettori dei palcoscenici. È dedicato ai giovani che vogliono affrontare questa strada.

 

Il libro
In questo volume si parla non di Circo ma di Piccolo Circo, una differenza sottile ma sostanziale. Non del Circo Equestre, quello che si tramanda da quasi due secoli in poche e rinomate famiglie e quello che vanta numeri ginnici di matrice militaresca. Questo Circo, versione ottocentesca del Circo dell’Antica Roma tutto gare e combattimenti, ha già la sua storia scritta in una vastissima produzione letteraria e cinematografica. L’arte del Piccolo Circo è un’arte che si tramanda non da genitori a figli ma da compagno a compagno, sembra scomparire per poi riaffiorare sempre uguale, sempre diversa e vitale. Come accade nel Circo Equestre, anche gli artisti del Piccolo Circo hanno voglia di stupire, di meravigliare, di divertire, e tuttavia questo Circo ha scritto la sua storia con piccole esperienze di grande valore sociale, nelle corsie degli ospedali come nelle strade di Bucarest. Il manuale di Piccolo Circo è la sintesi di anni di studio e di sperimentazione, di una lunga esperienza maturata al sole delle piazze e ai riflettori dei palcoscenici. È dedicato ai giovani che vogliono affrontare questa strada (che, in realtà, è molto spesso una mulattiera irta di ostacoli) ma potrà essere di stimolo a genitori e insegnanti che vogliano rimettersi in gioco magari per ridare forza a un diritto fondamentale per ognuno di noi: il diritto al gioco.


La volpe e la bambina (Età dai 7 anni)

Scheda
Recensione
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Scheda

La volpe e la bambina

LA VOLPE E LA BAMBINA

Titolo originale Le renard et l’enfant Regia Luc Jacquet

Origine Francia, 2007 Durata 92’ Distribuzione Lucky Red3 5

In autunno, sulla montagna, una bambina dai capelli rossi incontra nel bosco una volpe selvatica che poi scappa via. La bambina torna sul posto a cercarla ma si fa male al piede. D’inverno, confinata in casa, la bambina pensa alla sua volpe, alla sua vita con un compagno, ucciso poi dal veleno dei cacciatori.

A primavera, la bambina la troverà rintanata e scoprirà i suoi cuccioli. Dopo lunghi appostamenti, disturbati da porcospini affamati, le due si rincontrano e diventano amiche. La bambina chiama la volpe “Titou”.

Un giorno, inseguendo la volpe sotto la pioggia, la bambina finisce in una grotta. Sarà salvata dai genitori dopo aver passato la notte su un albero. Le amiche si lasciano andare a giochi e scorribande nella natura, finchè la bambina non mostra alla volpe la sua casa con i genitori. Rinchiusa nella cameretta della bambina, però, la volpe ringhia, si ribella e corre, finché con un salto rompe il vetro della finestra e cade rovinosamente sul terreno. Ferita gravemente, sarà riportata tra i suoi piccoli.

Lentamente l’animale si riprende. Anni dopo, la bambina, ormai madre, racconta al figlioletto quell’amicizia, nella stessa cameretta d’un tempo.

Recensione

Il regista del sorprendente La marcia dei pinguini (2006), che è stato biologo prima di essere cineasta, continua a raccontarci gli animali dal loro punto di vista e a mostrarci quanto essi ci possano educare. Qui la protagonista è la volpe, onnipresente nelle favole d’ogni tempo (da Esopo a Fedro, da La Fontane ai fratelli Grimm) e considerata dall’immaginario popolare come dotata di caratteristiche umane: furbizia, invidia, avarizia. Jacquet s’ispira a un suo ricordo d’infanzia, quando ebbe un affascinante incontro con una volpe sulle montagne dell’Ain, nella regione francese del Rodano-Alpi dove egli è nato. Così confida:“Mi trovavo in una radura circondata d’abeti. La volpe non mi aveva visto, tutta presa dalla sua caccia. Provai il desiderio irrefrenabile di avvicinarmi. Lei mi guardò con una forza che mi sconvolse, poi fuggì. Questa è la prima scena del film. Un giorno ci s’imbatte in una volpe e trent’anni dopo si finisce per farne un film”.

La volpe e la bambina racconta, appunto, la nascita, gli ostacoli e lo sviluppo di un’amicizia quasi impossibile. Il risultato si pone tra il documentario naturalistico di fattura convenzionale e la favola ecologista a finalità pedagogica. Gli animali del film (dalla volpe a tutti i comprimari ovvero porcospini, rane, lupi, linci, orsi, cerbiatti, ricci, ermellini, ma anche uccelli e molti insetti) sono davvero protagonisti ma non solo: essi non sono mai né antropomorfizzati né parlanti come nella favole classiche. Il racconto è narrato in voice over dalla bambina (come ne La marcia dei pinguini, dove a doppiare è un personaggio televisivo; qui un’Ambra Angiolini mai invasiva né didascalica), ma il percorso è sempre di rispetto e ascolto verso l’animale, verso il suo ambiente naturale e la sua condizione diversa dall’essere umano. In questo racconto di formazione, lo stesso sviluppo psicologico della bambina si misura con il ciclo di vita della volpe e dei suoi simili: quindi esso sarà “stagionale” e “naturale”, modellato sul conflitto predatore-preda, sul corteggiamento, la sessualità e la maternità come sui rischi causati dall’uomo cacciatore e sull’opposizione cattività/libertà. Solo seguendo liberamente Titou, lontano dalle sicurezze (casa, genitori), la bambina può apprendere direttamente i comportamenti e il “carattere” della sua amica, nonché comprendere tutta la ricchezza della biodiversità. Come in una storia d’amore.

E come quando la piccola si smarrisce nello scenario molto affascinante delle grotte, finendo drammaticamente sola in una notte rischiarata dalla luna, poi protetta da tutti gli animali della foresta. La Natura può anche essere paurosa e crudele. Quindi il rispetto (l’amore) non deve prescindere dalla conoscenza reciproca e dalla coscienza delle differenze, anche se la volpe è un animale “di soglia”. Infatti, considerata un predatore in quanto animale selvaggio, la volpe è insieme molto curiosa e disposta ad avvicinarsi agli uomini e alle città.

La struttura classica della fiaba è rispettata ma è ribaltata dal punto di vista: l’eroina non è la bambina ma la volpe, com’è nel titolo. L’evoluzione fiabesca del racconto con la conquista della libertà, tra Avversari (lupi, orsi, linci e cacciatori) e Aiutanti, va considerata sempre dal punto di vista della volpe-eroina. Anche il finale un po’ sanguinolento, persino horror per qualcuno, è solo la dimostrazione dell’“irriducibilità” della volpe alla vita umana e alle sue convenzioni. La tragedia si fa parabola. È un passaggio utile a dare l’ultima lezione etologica alla bambina sulla libertà. “Non è possibile un’amicizia con la volpe senza fraintendimenti. Bisogna aspettarla”, dice la giovane madre al figlioletto.

Per quel che riguarda linguaggio e strumenti, Jacquet mescola tutte le tecniche del documentario naturalistico con quelle del cartone animato 2D e 3D, passando per il citazionismo dalla letteratura per l’infanzia (Peter Pan, Alice, Heidi, Pippi Calzelunghe, il Piccolo Principe, e altri). Carrelli, panoramiche, animazioni, trucchi, macrofotografia, microcamere nascoste, animali addestrati e selvaggi (trovati nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), elicottero e pallone aerostatico per riprese aeree, steadicam, computer grafica: tutto serve a rafforzare il messaggio ambientalista, compresa la contemplazione lenta dei ritmi della natura e della vita degli animali. Il regista filma questi ultimi (un misto di volpi selvagge e addomesticate) e i paesaggi allo stesso modo, facendo immergere il nostro sguardo nei boschi e nelle grotte per abituarci all’oscurità come alla maestosità dei panorami. Il comportamento della bambina ha un tocco d’inattualità ma è tanto necessario in una società frenetica e inquinata come la nostra.

In tal senso la scelta di due location molto distanti tra loro, come le montagne francesi dell’Ain e il Parco Nazionale d’Abruzzo (in particolare, la Difesa di Pescasseroli e i Prati d’Angro nel comune di Villavallelonga), vale a ricreare un “ambiente ideale”, in una combinazione di pezzi diversi di Natura. Secondo il regista, La marcia dei pinguini racconta una storia già scritta dalla Natura, mentre La volpe e la bambina racconta la Natura vista dall’infanzia. Per questo c’è una mescolanza di messa in scena e riprese “rubate”: una parte selvaggia per rispecchiare i comportamenti della volpe e una parte di finzione per la bambina. Una troupe ha realizzato un documentario osservando per sei mesi le volpi selvatiche nel loro ambiente, adeguandosi ai tempi della Natura, passando notti al freddo con le cine-3 6 prese pronte, per stabilire un rapporto con gli animali. I materiali sono stati d’aiuto alla sceneggiatura, oltrechè alle riprese con le volpi. Ilfilm ha poi avuto una lavorazione durata per quattro stagioni (dall’autunno all’estate), a dimostrazione di una coerenza ambientalista tra mezzi e fini.

Elio Girlanda lombardiaspetacolo.com

SPUNTI DI RIFLESSIONE

• Quattro sono i punti di forza, presenti già ne La marcia dei pinguini: ruolo centrale della Natura come elemento drammaturgico; rapporto uomo-animale ribaltato rispetto agli stereotipi dell’animazione; struttura della fiaba a funzione ecologista; nascosta la forza visionaria degli effetti speciali. Tutto ciò è molto diverso dalla tradizione del cinema naturalistico, sia documentario che di finzione, quindi può risultare utile per l’educazione ambientale.

• Nelle inquadrature si lavora molto sui rapporti di scala:“Ho cercato di mantenere lo stupore dell’infanzia di fronte alla Natura d’una volta, popolata da orsi, linci e lupi”, dice il regista. La Natura vista dagli occhi di una bambina o di una volpe non è la stessa. I paesaggi cambiano dimensione, tutto diventa più impressionante e fantastico.

• All’inizio il comportamento della bambina è modellato su quello degli adulti: dal possesso all’astuzia, dalla caccia alla cattura. Poi il rapporto tra i protagonisti cambia quando sarà la volpe a invitare la bambina nel suo territorio. L’esplorazione si fa, allora, scoperta di meraviglie e contatto con le bellezze naturali. A far paura alla bambina sarà sempre la sua immaginazione, più che la presa di coscienza dei comportamenti

reali della piccola amica lombardiaspettacolo.com

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Almeno questi!

 

Quanti e quali libri non può fare a meno di possedere una biblioteca rivolta a bambini e ragazzi? Non è possibile rispondere a tale domanda, ma si può almeno tracciare un’accurata cernita di libri per qualche motivo indispensabili – quindi meritevoli e interessanti – per l’orientamento dei giovani lettori. È quanto tenta di fare ogni anno la bibliografia dal programmatico titolo “Almeno questi!”, prodotta dal Centro regionale di servizi per le biblioteche per ragazzi attivo presso la Biblioteca di Villa Montalvo e curata da LiBeR, giunta ora alla sesta edizione, aggiornata a giugno 2011, con 2600 titoli. La bibliografia è scaricabile in formato pdf dal portale LiBeRWEB

Lo spacciatore di fumetti (età dai 12 anni)

“Lo spacciatore di fumetti” di Baccalario € 10,00

Editore Einauidi Ragazzi

LA STORIA

Budapest, 1989. Sandor Foldesi ha 15 anni. È uno spacciatore di fumetti, si rifornisce l’undici di ogni mese dal signor Mikla Francia Kiss, che li importa di straforo. Li nasconde in una tasca segreta del giubbotto, attraversa la città facendo attenzione a evitare i poliziotti. I fumetti vengono distribuiti prima agli amici fidati: Nikolai, il suo miglior amico, che sostiene di poter diventare invisibile (e forse è vero); Bibo, il taciturno; Zio Zabo, che lavora in officina. Poi i fumetti vengono venduti, o scambiati con amici degli amici. Una sera Sandor e Nikolai iniziano a rielaborare le loro avventure in un fumetto: Fog Gray, eroe, vendicatore ed alter ego dei due, che diventano inseparabili: Nikolai disegna e Sandor scrive, almeno finché non vengono riportati alla realtà: il signor Francia Kiss non si presenta al solito appuntamento, i ragazzi rimangono senza fumetti da distribuire e vengono traditi da Lajos, un falso amico. Sandor, portato dal preside, rischia di perdere l’anno scolastico. Poi una sera, tornando a casa, Sandor scopre che sua madre è morta. Se ne fa una colpa: sapeva che stava male, ma aveva deciso rifugiarsi nel suo mondo fantastico. È tempo di uscirne: gli eroi di carta scompaiono poco a poco, e così gli amici. Una sera dopo una terribile lite l’insopportabile padre di Sandor cade dalle scale e rimane tramortito. In quel momento, Nikolai emerge dall’ombra dove si trovava, invisibile, e gli dice esattamente quello che Sandor vuole sentirsi dire: “Vai via di qui! Scappa!” Sandor esce in strada. Incredibilmente scopre che la sera in cui ha deciso di iniziare una nuova vita è la stessa in cui, a Budapest, migliaia di persone sono scese in piazza a festeggiare la caduta del regime. Nell’epilogo, un Sandor più adulto, sposato e con tre figli, fa ritorno nella Budapest di oggi, trovandola cambiata, piena di librerie e di fumetti. Uno attira la sua attenzione: Fog Gray, disegnato proprio da Nikolai. Lo apre, lo legge e…

Il castello errante di Howl (animazione, età dai 9 anni)

Inghilterra, fine Ottocento. La piccola Sophie lavora nel negozio di cappelli appartenuto al padre deceduto e viene tiranneggiata dalla madre a caccia di nuovi mariti. Casualmente, incontra il bellissimo mago Hawl, in fuga dagli scagnozzi della perfida strega delle terre desolate. Quest’ultima, mossa da invidia, trasforma Sophie in una vecchietta novantenne. La claudicante nonnina si mette alla ricerca del famigerato castello errante di Howl, l’unico in grado di liberarla dall’incantesimo. Ma sarà il potere dell’amore a farle riassumere l’antico sembiante e a far ravvedere la regina guerrafondaia.

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Stand by me. Ricordo di un’estate (film, età dai 10 anni)

di Rob Reiner (1986), 89′

Sinossi

A Castle Rock, una piccola città dell’Oregon, era il 1959.

A raccontare la storia è Gordon Lachance, uno scrittore che ha appreso della morte di Chris Chambers, il miglior compagno della sua giovinezza. Gordie, Chris, Teddy e Verne apprendono che lungo i binari della ferrovia, a molti chilometri da lì, giace il cadavere di un ragazzo, Ray Brower, investito dal treno. I quattro amici decidono di andare alla ricerca del corpo, senza avvertire le rispettive famiglie, con le quali hanno tutti un pessimo rapporto. Gordie è un ragazzo sensibile, uno scrittore in erba tormentato dalla morte prematura del fratello maggiore Danny. Chris ha una saggezza inconsueta per la sua età. Teddy è il pazzerello del gruppo, mentre Vern è un grassottello pauroso e imbranato.

I quattro riusciranno a trovare il cadavere solo dopo aver superato diverse prove, alcune molto impegnative, come quella finale contro una banda di ragazzi più grandi.

Il tema centrale del film è l’amicizia. È dal ricordo di un’amicizia eccezionale, infatti, che nasce nel protagonista adulto la voglia di raccontare la storia vissuta un tempo insieme ai suoi tre piccoli amici. Il film stesso si chiude su una considerazione del personaggio intorno al carattere delle amicizie che si hanno negli anni dell’infanzia e della preadolescenza.

Del resto, lo ricorda lo stesso Gordie nel suo racconto, il periodo dell’esistenza attraversato dai protagonisti è quello in cui non si pensa ancora alle ragazze. Tutti i pensieri dei ragazzini sono dunque dedicati all’avventura e alla fantasticheria.

Il viaggio attraverso un paesaggio naturale incontaminato, alla ricerca del cadavere, non potrebbe costituire un’occasione migliore per realizzare concretamente un’avventura prima soltanto sognata, in cui ciascuna tappa diventa il tassello fondamentale di un percorso di crescita e formazione vissuto dai personaggi. Essi vengono chiamati ad affrontare e superare una serie di prove da ciascuna delle quali impareranno qualcosa di nuovo. Ma non tanto rispetto a una prospettiva pratica e materiale, quanto piuttosto rispetto alla sfera esistenziale e morale. Un po’ alla volta Gordie, Chris, Teddy e Vern attraversano livelli diversi di consapevolezza. Dapprima scoprono la differenza che intercorre tra il mito e la realtà. Quindi iniziano a prendere coscienza del fatto di dover decidere da soli senza più l’aiuto di nessuno e si confrontano con l’idea di un futuro incerto. Sperimentano quindi la paura, il dolore fisico legato alla sessualità, la visione della morte. Nel giro di un paio di giorni sono chiamati a crescere più di quanto non avevano fatto nel resto della loro vita.

La città incantata (animazione, età dai 9 anni)

(GIAPPONE, 2002) regia di Hayao Miyazaki

Sinossi

Chihiro, dieci anni, non salta di gioia all’idea di trasferirsi in un nuovo quartiere. È in macchina, insieme alla famiglia, e sta viaggiando alla volta della nuova casa. Quando suo padre si accorge di essersi perso e, per giungere in tempo per il trasloco, prende una scorciatoia, finisce in una strada senza uscita. Chihiro vorrebbe convincere i genitori a non scendere dalla macchina per andare a vedere cosa c’è in fondo ad uno strano e buio tunnel, ma, per non restare sola, è costretta a seguire mamma e papà. Ritrovatasi improvvisamente in un paesaggio incantato e, poi, all’interno di un parco giochi bello e stranamente deserto, Chihiro vaga per le sue strade inquietanti, mentre i genitori si abbuffano ad una tavola imbandita di ogni golosità. Quando ritorna dalla perlustrazione scopre, però, che sia la madre sia il padre si sono trasformati in maiali. Non sa che fare per liberarli da un probabile incantesimo. Così, discesa la sera e popolatasi la città di spiriti, divinità e altri strani esseri, decide di intrufolarsi nelle grandi terme dove si dirigono tutte queste strambe presenze. Qui, in mezzo a creature bizzarre, impara ad ambientarsi in breve tempo: segue gli utili consigli di Haku, un ragazzo che ha dimenticato il proprio nome e che studia per diventare mago, convince la strega Yubaba ad assumerla nel complesso termale come pulitrice; affronta con coraggio e umiltà tutte le situazioni più improbabili e inaspettate. Riesce, così, a conquistare l’affetto e la fiducia di molti frequentatori e lavoranti della città incantata. Ma non basta, serve uno sforzo in più per salvare i genitori. Occorre recuperare la propria identità (in città tutti la chiamano Sen), quella di Haku (costretto a seguire i voleri della strega), quella della stessa Yubaba, per tornare alla vita di tutti i giorni.

PRESENTAZIONE CRITICA

INTRODUZIONE AL FILM
La stratificazione dell’animazione

Impossibile sintetizzare in poche righe la sinossi del film. Impossibile, soprattutto, descrivere il mondo di straordinaria forza immaginativa che sgorga dalla mente e dalla matita lucida di Hayao Miyazaki, il più grande maestro di cinema d’animazione degli ultimi trent’anni. La visione di ogni suo film è un accumulo di stupore, eccitazione, commozione, sollievo, consapevolezza e abbandono. Non è solo una questione di immaginari e mitologie altre che lo spettatore occidentale non riesce a cogliere (il genere letterario e cinematografico giapponese detto kaidan, ossia dedicato ai fantasmi, agli spiriti, ai demoni), ma è un atto di fiducia nel racconto – quello chiesto dall’artista giapponese – che per essere tale non deve costringere alla parafrasi e all’interpretazione, ma all’aderenza (come vedremo, non supina) a ciò che viene rappresentato.

Per quanto sia strutturato su diversi livelli di lettura e di fruizione, La città incantata si presenta innanzi tutto come un’esperienza fantasmagorica, nel senso che comunica direttamente con la sfera spirituale, immaginativa, onirica e, in definitiva, “aerea”, di chi assiste alle avventure di Chihiro (adulti o bambini che siano). Comunicare con lo spettatore sul piano del fantastico significa costringerlo, volente o nolente, a volare. E non può essere un caso, allora, che sia proprio il volo in cielo una delle attività preferite dai personaggi miyazakiani. A cavallo di scope, nelle cabine degli aerei, a bordo di alianti o di biciclette volanti, in questo film aggrappata ad un drago dalle fattezze umane, le ragazzine di Miyazaki volano per un’esigenza fisica, perché l’aria rappresenta un luogo ideale per manifestare la propria leggerezza nei confronti di mondi “pesanti” e opprimenti, un’esperienza generatrice, capace di attribuire identità e personalità a chi solca questi oceani evanescenti. Lo conferma la trasvolata di Chihiro e Haku, nel corso della quale il drago/stregone – grazie all’aiuto della bambina – riesce finalmente a rammentarsi il proprio vero nome: è il primo passo per liberarsi da un incantesimo che lo imprigiona ai voleri della strega Yubaba.

Come accade per ogni fiaba, anche quella di Miyazaki si presta a letture allegoriche che coinvolgono, partendo da mondi fantastici, le sfere del reale. La città dove è ambientata la storia, un centro termale ai margini di un parco giochi in disuso, ad esempio, è una perfetta metafora della società contemporanea, non solo per l’edonismo e la ricerca del benessere personale che la pervade e che la svuota di senso dal suo interno, ma anche per la stratificazione gerarchica del potere che, di fatto, la rende un regime dispotico truccato da casa di piacere. Quando Chihiro si trova alle sue porte, decisa ad entrarvi per cercare di salvare i genitori trasformati in maiali, non sa che la struttura è regolata – anche fisicamente – in modo piramidale, con ai vertici una strega tirannica (ma anche estremamente servile verso i clienti più facoltosi o coloro che possono distruggere il suo giocattolo), e alla base un nugolo di lavoratori tenuti insieme dall’illusione dell’arricchimento, da un lavoro alienante, dall’assenza di alternative.

Da questo punto di vista il film appare un adattamento in cartoni animati e per bambini di Metropolis di Fritz Lang (film che, tra l’altro, è stato trasposto in disegni animati pochi anni fa da un altro maestro giapponese, Rin Taro). Che la pellicola di Miyazaki abbia molti aspetti in comune con il capolavoro tedesco è d’altronde evidente dalla centralità tematica assurta dal lavoro (alienante, meccanizzato, dispotico e, in rari casi, istruttivo). Pur senza toccare le certezze ideologiche langhiane (figlie di tutt’altra stagione storica, soprattutto dal punto di vista culturale), anche l’animatore giapponese attacca il sistema sociale contemporaneo fondato sullo sfruttamento della manodopera. Chihiro – non si dimentichi solo perché stiamo parlando di un personaggio di cartone – è una bambina sfruttata, spinta al lavoro minorile perché non esistono alternative. Lo scostamento di Miyazaki rispetto alla via tracciata da Lang si manifesta comunque, nel tentativo di dipingere sotto una luce più contrastata l’esperienza del lavoro minorile: per un verso assolutamente negativa, ma per l’altro, almeno in parte, formativa. Chihiro, infatti, non lavora per soldi, per arricchirsi o per fare carriera, ma per un atto nobile, salvare i genitori e trova sulla sua strada anche adulti pronti ad aiutarla. Nondimeno, resta – senza alcuna attenuazione – la dura accusa lanciata dal cineasta contro l’avidità umana che colpisce, senza remore, quasi ogni individuo adulto: i genitori di Chihiro che, noncuranti dei pericoli che possono correre, si abbuffano ad un banchetto come maiali; i lavoratori delle terme che si accalcano bramosi ai piedi di un fantasma facoltoso che crea e distribuisce monete d’oro; la strega Yubaba che accumula ricchezza con rara ingordigia per proteggere un figlio che invece di svilupparsi resta neonato per sempre, crescendo solo in volume e profondità della voce. Bou, questo il suo nome del grosso bambolotto, è anch’egli l’incarnazione di una devianza, quella che ha trasformato l’istinto di protezione materna verso un figlio in una prigionia dorata, la crescita in allevamento all’ingrasso, il rimprovero in permissivismo assoluto.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Un altro mondo è possibile

Certo, una fiaba non sarebbe tale se non avesse personaggi positivi, adatti ad incarnare valori e atteggiamenti etici che consentono a bambini (e adulti) di costruirsi chiari punti di riferimento morali. Come si diceva poc’anzi, Chihiro ne incontra alcuni: c’è la donna delle pulizie Rin che la aiuta ad ambientarsi nella sua nuova vita, c’è il ragno/uomo Kamajii (doppio dello stesso Miyazaki) che la protegge di nascosto e ne facilita il percorso di formazione/liberazione, ci sono tante figure soprannaturali dall’animo e dall’aspetto gentile, c’è Haku che non esita a soccorrerla nel momento del bisogno, suggerendole i passi da compiere (andare a chiedere lavoro a Yubaba), errori da non commettere (dimenticarsi il proprio nome), parole da somministrare con parsimonia (soprattutto quando è davanti alla strega). A ben vedere, tutti questi personaggi sostituiscono, in qualche modo, i genitori che Chihiro ha perduto, dimostrando che possono esistere modelli adulti di comportamento: sono protettivi senza essere invadenti, “silenziosamente” prolifici nel dare consigli (non imponendo un punto di vista, né soffocando la libertà – anche di sbagliare – della ragazzina), sono pronti al rimprovero quando necessario, senza mai essere dispotici, duri, ingiusti.

Lungi quindi dall’essere completamente sola, Chihiro/Sen rappresenta la classica eroina cui si chiede di superare una serie di ostacoli fisici e allegorici per acquisire una nuova consapevolezza di sé. Nondimeno, a differenza di altri personaggi fiabeschi che si ritrovano in mondi sconosciuti per conquistare una nuova maturità (si pensi a Pinocchio o ad Alice nel paese delle meraviglie), in questo caso abbiamo un personaggio che supera gli ostacoli che le si presentano davanti solo con lo scopo di recuperare la propria identità, quella di una ragazzina di dieci anni. Nulla più. Miyazaki non è Spielberg e ne La città incantata non si celebra in maniera sotterranea il “complesso di Peter Pan”, ossia il desiderio di non crescere e non avere responsabilità adulte. Al contrario, i piccoli personaggi disegnati dal maestro giapponese (insieme a Chihiro ci sono Kiki, Nausicaa, San e Ashitaka, i protagonisti de La principessa Mononoke , ecc.) sono già maturi e responsabili e non hanno bisogno di cambiare in meglio. Anzi, pur senza saperlo, invecchiando rischiano di perdere tutte le loro migliori qualità: il senso del dovere, il coraggio, la fantasia. Così le loro prove mirano a raggiungere uno stadio grazie al quale assaporare in pieno la loro età, senza nostalgie, senza desideri di crescere, ma nemmeno di restare fermi allo stesso punto per sempre.

Lo scarto tra adulti e bambini è evidente proprio nel loro porsi nei confronti del sovrannaturale. I genitori di Chihiro non vedono i fantasmi, non li riconoscono perché sono i prodotti (bulimici) di una società che prevede solo “una realtà dei fatti”, una sola dimensione sensoriale, una sola faccia degli oggetti, una sola strada per raggiungere una meta (infatti i genitori finiscono nella città incantata dopo aver sbagliato strada e aver cercato una scorciatoia). Appena scendono le tenebre e i genitori della protagonista si trasformano in suini, ecco comparire una serie di personaggi fantastici, dai contorni, dai colori e dai comportamenti incredibili che solo Chihiro riesce a vedere. La bambina – contrariamente a quel che farebbe un adulto – non mette in discussione il mondo in cui si trova e nemmeno prova incredulità di fronte ad esseri mai visti prima. La ragione è semplice: Chihiro, e con lei tutti i bambini, concepisce la possibilità di una moltiplicazione dei punti di vista, delle realtà, delle dimensioni e crede fermamente nella possibilità di armonizzare le diversità. Sarà il compito assegnatole da Miyazaki, portato avanti con grande fatica nel corso di tutto il film (tanto che alla fine la liberazione dall’incantesimo avverrà solo dopo aver avvicinato Yubaba alla sorella gemella, da sempre in guerra tra loro) ma alla fine ricompensato dalla consapevolezza che un altro mondo è possibile.

Marco Dalla Gassa