Le nevi del Kilimangiaro (Robert Guédiguian 2011)

Le nevi del Kilimangiaro

Un film di Robert Guédiguian              107 min. – Francia 2011

INDICE
SCHEDA

SCHEDA

Michel non ha più un lavoro ma ha ancora una moglie a cui lo legano trent’anni d’amore, due figli e tre piccoli nipoti. La sua vita serena, trascorsa all’insegna dell’amicizia e della solidarietà, viene bruscamente interrotta da una rapina, in cui resta coinvolto e sconvolto insieme alla compagna, alla sorella e al cognato. Deciso ad ottenere giustizia e a recuperare il maltolto e due biglietti per l’Africa, regalo di anniversario dei figli, Michel scoprirà accidentalmente che uno dei suoi rapitori è un giovane operaio licenziato insieme a lui. Amareggiato ma persuaso all’azione, lo denuncia alla polizia che lo arresta davanti agli occhi dei due fratelli minori. Il ragazzo rischia adesso una pena di quindici anni e una detenzione lontana dai fratellini di cui da anni si occupava da solo. Dopo un duro scontro verbale col suo rapitore, Michel lo colpisce con uno schiaffo. Il gesto involontario lo getta in una profonda crisi da cui riemergerà interrogandosi sulla sua vita, sul valore del perdono e sul futuro di due bambini scompagnati.
Ispirato dalla “Les pauvres gens” di Victor Hugo e accompagnato dalla canzone di Pascal Danel (che fornisce il titolo al film), Le nevi del Kilimangiaro è il nuovo dramma sociale di Robert Guédiguian sulla disoccupazione e la dolorosa perdita della dignità. Nondimeno è un’opera leggera come un palloncino, che racconta la vita quotidiana di una coppia aperta e accogliente alla maniera dei cortili che abita. Ancora una volta il regista marsigliese mette in scena una piccola storia che ha il sapore e la solidarietà del cinema del Fronte Popolare. Partendo da un licenziamento, quello del protagonista, il film avrebbe potuto precipitare in un dramma da socialismo reale, al contrario il clima è lieve e gioioso, si ride spesso e si rimane sedotti dalla voglia di vivere di due coniugi operai che lottando negli anni Settanta sono andati ‘in paradiso’. Il loro paradiso è la casa che hanno costruito e la famiglia che hanno formato ed educato ad essere onesta e di grande cuore. Ma il cinema di Guédiguian non si è mai fermato alle mura domestiche, scendendo in strada attraverso quelle finestre e quelle porte sempre spalancate sul mondo e sulla società. Ed è proprio da quei varchi che il brutto del mondo entrerà, portandosi via ‘proprietà’ e sicurezze ma insieme offrendo una possibilità di comunione e partecipazione. Perché il ragazzo che ha occupato il loro Eden, derubandoli, è un giovane uomo di una generazione cresciuta senza testimonianze né esempi di quella che un tempo era la lotta di classe, ovvero un modo (giusto) di cambiare la vita di chi è sempre in soggezione. E a questo punto Le nevi del Kilimangiaro gioca le sue carte migliori per rigore e sensibilità, portando alla coscienza del protagonista la necessità di fare qualcosa, individuare una possibile canalizzazione del malessere giovanile in funzione di una nobiltà d’animo che risollevi il morale e la morale.
È la forza dell’etica la cifra del cinema di Guédiguian. L’unica che resta. Come restano nella memoria e negli occhi le immagini dei suoi corpi proletari, fragili nel loro errare, tenaci nel loro cercare, abili a capire la generosità di un gesto. Daccapo Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan interpretano il suo cinema operaio e la forza discreta dell’esempio. L’esempio che emerge dal silenzio commosso di un’intesa in riva al mare. Infine Le nevi del Kilimangiaro è una miscela di disincanto e romanticismo che sta a metà strada tra un poema popolare e una canzone pop.

Marzia Gandolfi  (my movie)

RECENSIONE

L’attuale crisi economica non avrà colpito la Francia così come ha fatto con Italia, Portogallo e Grecia, ma questo non significa che i nostri cugini d’oltralpe siano esenti da problemi sociali anche gravi. Ne sa qualcosa Michel, operaio iscritto al sindacato che si ritrova ad essere licenziato dopo anni di battaglie, avendo accettato di partecipare, alla pari con i suoi compagni, a un sorteggio per decretare chi avrebbe dovuto abbandonare la fabbrica. Ne sa qualcosa anche, e soprattutto, Christophe, collega ventiduenne di Michel anch’egli costretto a lasciare il lavoro, che vive la difficile condizione di dover badare ai suoi due fratellini dopo l’abbandono da parte dei genitori. Una volta venuta meno l’unica fonte di sostentamento per sé e per i due ragazzini, la strada di un atto criminale, per Christophe, è quasi obbligata; ma a farne le spese è proprio Michel, rapinato in casa davanti a sua moglie, alla sorella e al cognato, vittima di un atto che scuote dalle fondamenta tutte le certezze della vita “borghese” che si era costruito. Venuto a conoscenza dell’identità del rapinatore, e una volta che questo è stato arrestato, Michel è roso dai dubbi e dai sensi di colpa: specie dopo aver appreso della difficile condizione sociale del giovane, e delle motivazioni che lo hanno portato alla rapina. Il vecchio operaio, dopo aver denunciato il ragazzo, sente il bisogno di riparare compiendo un atto di quella che una volta era definita “solidarietà di classe”: ma le persone a lui vicine, i suoi figli e i suoi amici, e soprattutto sua moglie, come accoglieranno questa decisione?

Regista impegnato, che non ha mai fatto mistero delle sue tendenze politiche, Robert Guédiguian ha voluto, con questo Le nevi del Kilimangiaro, raccontare una storia di drammi quotidiani. Lo ha fatto prendendo lo spunto iniziale da un poema di Victor Hugo intitolatoLes pauvres gents (La povera gente), prendendo l’atto di solidarietà narrato da quest’ultimo e ponendolo al centro di una vicenda contemporanea, incentrata sulle trasformazioni sociali intervenute negli ultimi decenni e sulla perdurante presenza nella società contemporanea di gravi ingiustizie. Intelligentemente, il riferimento alla poesia di Hugo viene posto dal regista immediatamente prima dei titoli di coda: quasi una rivelazione per lo spettatore che fosse a conoscenza dello scritto ma non dell’ispirazione, e che avesse ritrovato nella decisione finale dei due protagonisti una felice corrispondenza con quel poema di oltre un secolo fa, quasi a rimarcare che atti come quello lì descritto sono senza tempo. Il regista fa una riflessione sul concetto di classe sociale e su come questo si è trasformato nell’ultimo scorcio di secolo, sull'”imborghesimento” della generazione che aveva duramente lottato qualche decennio fa, sull’inevitabile conflitto generazionale con i lavoratori più giovani, privi di punti di riferimento ideologici ma spesso anche pratici; lo fa, tuttavia, in modo fresco e originale, senza l’enfasi “militante” che ci si sarebbe potuta aspettare da un film con queste tematiche.

Le nevi del Kilimangiaro (nessuna parentela con l’omonimo film statunitense del 1952, se non nella canzone che dà il titolo a entrambi) è, sorprendentemente, un film leggero e solare. A parte la sequenza della rapina, messa in scena con notevole realismo e crudezza, il film scorre tra la descrizione dei rituali quotidiani dei due protagonisti, anche di quelli più minuti, con un placido adeguarsi ai nuovi ritmi di vita che contempla la riflessione sul passato, ma che non diventa mai passiva rassegnazione allo status quo. Al contrario, l’atteggiamento del regista sembra essere lo stesso del protagonista Michel (ben interpretato da Jean-Pierre Darroussin): abbiamo lottato, e quel poco benessere che abbiamo raggiunto non è stato immeritato, ma dobbiamo continuare a dare il nostro contributo con la forza dell’esempio. Lo stesso esempio che Michel e Claire (una altrettanto efficace Ariane Ascaride) forniscono con la loro decisione finale, descritta con una semplicità e una tanto evidente schiettezza di intenti da diventare toccante. Una decisione che sembra suggerire una strada possibile a chi, come i figli della coppia, si è chiuso nella sua realtà autoreferenziale rinunciando a guardare oltre il proprio recinto, ma anche a chi, come l’amico Raoul, ha ceduto a una logica vendicativa e forcaiola, abdicando alla necessità di comprendere. Necessità che invece sembra più che mai animare gli intenti del regista, e che tocca anche i personaggi apparentemente più negativi, come la giovane madre di Christophe e dei due ragazzini; il tutto, mantenendo un tono ben lontano dal buonismo, ma improntato a una placida fiducia nel futuro, a quello che potrebbe forse essere definito ottimismo dell’intelligenza. Tono che si traduce anche nella fotografia solare, che ritrae il porto di Marsiglia e il quartiere di L’Estacque sempre bagnati dalla luce del sole, oltre che da un mare simbolo di condivisione ma anche di esclusione sociale, con le gru della fabbrica portuale in primo piano. Il riscatto dei miserabili moderni, sembra dirci Guédiguian, può iniziare forse proprio da qui, e da una semplice azione che si fa esempio per tutti.

di Marco Minniti movieplayer.it

QUATTRO VIDEO

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