Dopo il matrimonio (Bier, 2006)

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SINOSSI
Da molti anni il danese Jacob lavora in India come volontario in un orfanotrofio che rischia di chiudere per difficoltà finanziarie, quando riceve da Jörge, milionario suo compatriota, la promessa di 4 milioni di euro a condizione di incontrarlo personalmente alla vigilia del matrimonio di sua figlia. Perché? Perplesso, Jacob accetta l’invito.

SCHEDA
Quando Jakob, che in India dirige un orfanotrofio sull’orlo della chiusura per mancanza di fondi, riceve dalla natia Danimarca una generosa proposta di aiuto con l’unica clausola di un viaggio in patria, non può certo rifiutare. Ma una volta a Copenhagen le cose si complicano. Partecipando alle nozze della figlia del misterioso benefattore, infatti, Jakob reincontra la sua fidanzata di un tempo, che è poi la madre della sposa. E mentre Jakob viene posto di fronte ad una scelta dolorosa (accettare la donazione e rimanere in Danimarca ad amministrarla oppure rifiutarla e veder chiudere la sua opera benefica), un segreto che riguarda il passato (e uno che getta un ombra sul futuro) costringe tutti i personaggi a fare i conti con sé stessi e a riscoprire i legami che li uniscono.

Quando al matrimonio del titolo la sposa si alza per fare un brindisi e la madre si inquieta per le possibili rivelazioni, lo spettatore potrebbe temere di trovarsi di fronte all’ennesimo film danese pronto a gettare una palata di terra sulle istituzioni familiari o a mostrarne la corrotta natura tra morbosità e desiderio di vendetta. Invece, per una volta, anche se dietro al ritrovarsi di due amanti di un tempo c’è un segreto e il protagonista è costretto a mettere a nudo sé stesso prima di poter giungere alla fine del suo percorso, la regista Susanne Bier (Non desiderare la donna d’altri), coadiuvata dallo sceneggiatore Anders Thomas Jensen (autore anche de Le mele di Adamo) decide di raccontare una vicenda in cui i legami familiari escono rafforzati dalla prova del dolore, della verità e della morte.

Costretto a scegliere tra un’astratta benché benintenzionata forma di carità (che non a caso ha più volte conosciuto il fallimento) e il concreto bisogno del suo prossimo, il protagonista viene messo di fronte alla necessità di esercitare una forma di amore molto più stringente e difficile.

Allo stesso tempo il suo «antagonista», il ricco uomo d’affari Jorgen, affronta un percorso altrettanto doloroso, che lo porta a spogliarsi di tutto prima di affrontare la morte. Anche lui, tuttavia, prima della fine, deve ritrovare la certezza dell’amore dei suoi cari, che forse si era appannata nella preoccupazione e nel desiderio di «mettere tutto a posto».

È un insolito gruppo di personaggi quello che popola la pellicola della Bier, per certi versi segnati da un passato di dolore che sembra destinato a ripetersi, per altri fortunatamente non determinati da esso, ma messi di fronte a una seconda possibilità che si fonda sull’amore e sul riconoscimento delle proprie responsabilità. Fa piacere per una volta che la famiglia, lungi dall’essere rappresentata come luogo di corruzione e disperazione, sia vista come possibilità di realizzazione e compimento, anche quando nella vita entrano il dolore, il tradimento e infine la morte.

Manca, è vero, un ultimo salto di qualità che permetta di andare oltre l’immanenza di una laica carità per aprirsi a una dimensione soprannaturale, ma resta apprezzabile la volontà di indicare una positività umana fondata sulla solidarietà reciproca, sull’apertura all’altro e sul perdono.

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